2019-12-23
Alitalia e Ilva simboli degli incapaci al potere
Siccome la maggioranza giallorossa non ha abbastanza grane, ogni tanto per complicarsi la vita se ne inventa una. Il problema è che a pagare il conto poi sono i contribuenti. Tranquilli, non alludo al crac della Popolare di Bari, dove le responsabilità sono equamente distribuite su più governi (...)(...) e su più autorità di vigilanza. Parlo di Alitalia e Ilva, due casi in cui si dimostra l'incapacità e l'incompetenza di chi ci guida. Quella dell'ex compagnia di bandiera è ormai una soap opera a puntate, dove nell'ultimo anno abbiamo dovuto registrare svariate svolte improvvise. Dal fallimento dell'operazione Etihad voluta da Matteo Renzi, sono entrati in scena diversi soggetti: prima l'americana Delta, che doveva rilevare tutto, ma alla fine voleva mettere sul tavolo solo 100 milioni; poi le Ferrovie dello Stato, che per volere del governo dovevano farsi carico, oltre che dei treni, anche degli aerei; quindi i Benetton, che essendo così benvoluti per il crollo del ponte Morandi parevano proprio le persone giuste per un salvataggio; dopo di che Lufthansa, compagnia che fu candidata all'acquisto direttamente da una parlamentare dei 5 stelle che s'incaricò delle trattative; da ultimo ecco spuntare Air France, con cui i contatti risalgono all'era di Romano Prodi. Sì, insomma, si ritorna da capo, a un fallimento di oltre dieci anni fa, quando dopo una lunga trattativa la compagnia transalpina si sfilò approfittando della contrarietà del sindacato all'operazione. Nel frattempo, Alitalia per ogni aereo che decolla brucia soldi pubblici. Già, perché il vettore nazionale non consuma cherosene, ma quattrini dei contribuenti e ogni giorno che passa è una perdita netta. Un ministro dei Trasporti che abbia a cuore i conti pubblici prenderebbe in mano la situazione. Invece no, da mesi assistiamo a un palleggio tra commissari e governo, senza che nessuno decida il da farsi e a noi tocca aspettare il prossimo colpo di scena, che potrebbe prevedere un ritorno sul luogo del delitto proprio dei Benetton, magari come contropartita per il mantenimento delle concessioni autostradali.Il peggio del peggio, però, questa maggioranza lo ha dato con Ilva, l'acciaieria più grande d'Europa. Anche questa è una storia che si trascina tra mille giravolte, ma le più recenti lasciano intravedere meglio di altre come il governo sia in un totale stato confusionale. Cominciamo con il dire che dopo un'asta e una difficile trattativa nel 2018, sembrava essere stata raggiunta un'intesa per il rilancio. Dopo l'esproprio proprietario che aveva privato la famiglia Riva della conduzione dell'azienda a seguito di un'inchiesta della magistratura, Renzi e Gentiloni avevano deciso, a seguito del commissariamento, di affidare a terzi la gestione. Per prendersi le spoglie del colosso si fecero avanti alcuni gruppi stranieri, tra i quali Arcelor Mittal, su cui alla fine, dopo un complesso iter, ricadde la scelta. Fin qui la storia, che pareva giunta a una sua logica conclusione: visto che lo Stato con l'acciaio ha già dato e non proprio con risultati soddisfacenti, mettiamo tutto nelle mani di una società straniera del settore. Peccato che quando i nuovi investitori si sono fatti avanti e hanno preso le redini del laminatoio, la prima cosa che la nuova maggioranza giallorossa ha saputo fare è stato cambiare le regole. Se prima ad Arcelor Mittal era stata promessa una specie di immunità penale, per consentire l'ammodernamento degli impianti senza subire le iniziative della Procura, poi lo scudo è stato cancellato con un emendamento. Risultato, gli stranieri hanno restituito le chiavi. E all'improvviso a Palazzo Chigi è andato in scena uno psicodramma, perché l'addio di Arcelor Mittal era una specie di campana a morto per l'acciaieria, soprattutto a seguito di un'ordinanza della magistratura di spegnimento di un altoforno. Così, prima Giuseppe Conte ha mostrato i muscoli, sfoderando la sua competenza giuridica e minacciando i gruppi stranieri di una causa per danni. Poi, rinfoderati gli artigli, con Arcelor Mittal ha tentato la via del patteggiamento, anzi, dell'accordo extragiudiziario con tanto di risarcimento sì, ma per gli stranieri. Già, perché per convincere il gruppo a non andarsene, ora il governo non solo è pronto a garantire l'immunità penale che era stata tolta con un emendamento, ma anche a metterci dei soldi, facendo sostenere la ristrutturazione da Invitalia e Cdp. Poi, siccome l'azienda non fidandosi nicchia, in sovrappiù, come regalo, il Conte bis sarebbe disposto anche a consentire la riduzione di personale, mettendo sul banco un po' di soldi - ovviamente pubblici - per la buonuscita di alcune migliaia di lavoratori. I sistemi sono i soliti: prepensionamenti, cassa integrazione, ma anche sgravi fiscali per chi assuma gli esodati dell'Ilva. Insomma, detta in una parola, un capolavoro. Con un solo emendamento i giallorossi sono riusciti a scaricare sulle casse pubbliche qualche miliardo.Alitalia e Ilva rappresentano il simbolo del pressapochismo al governo. Un esecutivo dove, come nel caso della manovra, tutto è «salvo intese» e ciò che è deciso oggi è poi rinviato a domani.Ps. Per carità di patria in questo articolo evitiamo di commentare lo spettacolo di due Procure, quella di Taranto che ordina di spegnere un altoforno, e quella di Milano che indaga su Arcelor Mittal perché restituendo le chiavi rischia di far spegnere l'acciaieria. Come si diceva, neanche in una soap opera brasiliana ci sono tanti colpi di scena. Ma forse si tratta di colpi di sole. Però d'inverno.
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