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2022-08-31
Al-Qaeda e la sindrome di Teheran
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L’organizzazione terroristica fino ad oggi non ha ancora ammesso la morte del vecchio leader tanto che nell’ultimo numero di One Nation (la sua rivista ufficiale), l’editoriale è firmato ancora da al-Zawahiri. Non è detto che questo sia un segnale di difficoltà perché le organizzazioni terroristiche agiscono sempre sulla base dell’opportunità e a questo proposito basta ricordare che i Talebani prima di ammettere la morte del loro fondatore il Mullah Omar avvenuta nel 2013, ci misero due anni. Quindi il canto funebre su al-Zawahiri potrebbe arrivare fra un minuto, un giorno, un mese oppure tra un anno oppure due. Detto questo chi potrebbe essere il nuovo leader dell’organizzazione (che è sicuramente già operativo da tempo) del gruppo terroristico fondato da Osama bin Laden? Un nome forte è quello dell’egiziano Mohammed Salah al-Din Zaidan-Saif al-Adel ( oAdl) nato nel 1960, ex ufficiale delle forze speciali egiziane, è un membro di alto rango di al-Qaeda. In passato è stato il capo della sicurezza di Osama Bin Laden e sulla sua testa pende una taglia da oltre 10 milioni di dollari che gli Usa offrono per le informazioni utili alla sua cattura. Tuttavia, alcuni esperti ritengono che il fatto che l’ex colonnello dell’esercito egiziano viva da tempo in Iran, oltretutto sottoposto ad alcune restrizioni, renderebbe impossibile la sua nomina. Ma attenzione a non farsi ingannare dalle apparenze.

Altro nome da tenere d’occhio è quello di Izz al-Din Abdul Aziz Khalil, meglio conosciuto come Yassin al-Suri, uno dei leader più importanti di al-Qaeda, nato nel 1982 a Qamishli, nel Nord-Est della Siria. Gli Stati Uniti lo hanno inserito nella lista dei terroristi e hanno assegnato 3 milioni di dollari a chiunque aiuti ad arrestarlo nel 2011. La sua attività con al-Qaeda è iniziata nel 2005 e da quell'anno vive in Iran. Yassin al-Suri è stato coinvolto nella supervisione del trasferimento di denaro e uomini da vari Paesi arabi nel territorio iraniano, che è diventato il suo passaggio preferito in Pakistan, dove risiedono alcuni leader dell'organizzazione. Secondo il programma statunitense Rewards for Justice, al-Suri è stato un facilitatore degli affari di al-Qaeda in Iran, responsabile dell'incanalamento di donazioni di denaro ai leader di al-Qaeda all'interno dell'Iran, oltre a facilitare il movimento dei combattenti in Occidente e in Afghanistan. Inoltre, è stato dimostrato che era coinvolto nella raccolta e nel trasferimento di denaro degli uomini di al-Qaeda e ha lavorato direttamente con il governo iraniano per facilitare il rilascio di agenti di al-Qaeda in Iran.

Il regime iraniano che in passato ha ospitato Osama Bin Laden e successivamente suo figlio Hamza (morto il 31 luglio 2019 in circostanze mai chiarite), ha consentito a Yasin al-Suri di operare sul suo suolo dal 2005, riuscendo così a trasferire le donazioni concesse da molti sostenitori dell'organizzazione da tutto il mondo arabo, all'Iran come prima tappa, e da lì sono state distribuite ai teatri delle operazioni in Afghanistan e Iraq o dove serviva.
Il 28 luglio 2011, il Tesoro degli Stati Uniti ha designato Yassin al-Suri nelle liste del terrorismo e il programma Rewards for Justice del governo degli Stati Uniti ha promesso una ricompensa fino a dieci milioni di dollari per informazioni su di lui, ma di recente la ricompensa è stata stranamente ridotta a tre milioni. Secondo Orwa Ajoub, ricercatrice negli affari dei gruppi militanti, è difficile determinare la natura del rapporto tra Yassin al-Suri e l'Iran dal suo arresto nel 2011 perché la questione non è stata divulgata dagli Stati Uniti, che erano dietro la sua classificazione come collaboratore con l'Iran.
Orwa Ajoub ha detto in un'intervista ad Akhbar al-Aan: «Ma quando la questione è legata al rapporto tra la madre al-Qaeda e l'Iran, questo rapporto può essere descritto come cooperazione tattica, come descritto da uno degli specialisti accademici nello studio dell'antiterrorismo, Assaf Makdana, e quello che intendiamo qui è che al-Qaeda e l'Iran condividono lo stesso nemico, che sono gli Stati Uniti, ma allo stesso tempo, ognuno di loro ha le proprie idee ideologiche che ritraggono l'altra parte come un nemico». Secondo le dichiarazioni di Orwa Ajoub: «Le radici del rapporto tra al-Qaeda e Iran risalgono ai primi anni Novanta, quando l'Iran concluse un accordo con uomini di al-Qaeda per addestrarne alcuni in Iran e in Libano nella valle della Bekaa con gli agenti di Hezbollah, ma la presenza dei leader di al-Qaeda e dei membri della famiglia bin Laden in Iran è iniziata nel 2002 o 2003 effettivo dopo l'invasione americana dell'Afghanistan». Quello che è certo è che Teheran ha continuato a consentire ad al-Qaeda di trasferire denaro attraverso l'Iran, nonché di far transitare personale e risorse attraverso zone di conflitto come l'Afghanistan e la Siria, secondo il rapporto sul terrorismo del 2019 del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. La posizione geografica dell'Iran, vicino all'Afghanistan e al Pakistan, ha anche aiutato in modo critico al-Qaeda a muoversi attraverso i campi di battaglia chiave quando era sotto la diretta pressione degli Stati Uniti. Mentre l'assistenza dell'Iran ha consentito ad al-Qaeda di sfidare continuamente gli Stati Uniti e i suoi alleati, inclusa l'Arabia Saudita, il gruppo terroristico sunnita in cambio si è astenuto dal commettere attacchi all'interno dell'Iran o contro le popolazioni sciite in altri Paesi della regione. Guardando ai casi di Yassin al-Suri, Saif al-Adel e altri leader di al-Qaeda che soffrono della «sindrome di Teheran», è evidente che il rapporto dell'Iran con al-Qaeda potrebbe dargli la capacità di interferire nella scelta della personalità che succederà ad Ayman al-Zawahiri alla guida dell'organizzazione, in quanto è diventato il principale motore di al-Qaeda.
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Dopo l'uccisione di Ayman al-Zawahiri in un attacco aereo effettuato da un drone della Cia, che ha preso di mira il suo nascondiglio a Kabul il 31 luglio scorso, ci si interroga su chi sarà il nuovo leader di al-Qaeda.L’organizzazione terroristica fino ad oggi non ha ancora ammesso la morte del vecchio leader tanto che nell’ultimo numero di One Nation (la sua rivista ufficiale), l’editoriale è firmato ancora da al-Zawahiri. Non è detto che questo sia un segnale di difficoltà perché le organizzazioni terroristiche agiscono sempre sulla base dell’opportunità e a questo proposito basta ricordare che i Talebani prima di ammettere la morte del loro fondatore il Mullah Omar avvenuta nel 2013, ci misero due anni. Quindi il canto funebre su al-Zawahiri potrebbe arrivare fra un minuto, un giorno, un mese oppure tra un anno oppure due. Detto questo chi potrebbe essere il nuovo leader dell’organizzazione (che è sicuramente già operativo da tempo) del gruppo terroristico fondato da Osama bin Laden? Un nome forte è quello dell’egiziano Mohammed Salah al-Din Zaidan-Saif al-Adel ( oAdl) nato nel 1960, ex ufficiale delle forze speciali egiziane, è un membro di alto rango di al-Qaeda. In passato è stato il capo della sicurezza di Osama Bin Laden e sulla sua testa pende una taglia da oltre 10 milioni di dollari che gli Usa offrono per le informazioni utili alla sua cattura. Tuttavia, alcuni esperti ritengono che il fatto che l’ex colonnello dell’esercito egiziano viva da tempo in Iran, oltretutto sottoposto ad alcune restrizioni, renderebbe impossibile la sua nomina. Ma attenzione a non farsi ingannare dalle apparenze. Altro nome da tenere d’occhio è quello di Izz al-Din Abdul Aziz Khalil, meglio conosciuto come Yassin al-Suri, uno dei leader più importanti di al-Qaeda, nato nel 1982 a Qamishli, nel Nord-Est della Siria. Gli Stati Uniti lo hanno inserito nella lista dei terroristi e hanno assegnato 3 milioni di dollari a chiunque aiuti ad arrestarlo nel 2011. La sua attività con al-Qaeda è iniziata nel 2005 e da quell'anno vive in Iran. Yassin al-Suri è stato coinvolto nella supervisione del trasferimento di denaro e uomini da vari Paesi arabi nel territorio iraniano, che è diventato il suo passaggio preferito in Pakistan, dove risiedono alcuni leader dell'organizzazione. Secondo il programma statunitense Rewards for Justice, al-Suri è stato un facilitatore degli affari di al-Qaeda in Iran, responsabile dell'incanalamento di donazioni di denaro ai leader di al-Qaeda all'interno dell'Iran, oltre a facilitare il movimento dei combattenti in Occidente e in Afghanistan. Inoltre, è stato dimostrato che era coinvolto nella raccolta e nel trasferimento di denaro degli uomini di al-Qaeda e ha lavorato direttamente con il governo iraniano per facilitare il rilascio di agenti di al-Qaeda in Iran. Il regime iraniano che in passato ha ospitato Osama Bin Laden e successivamente suo figlio Hamza (morto il 31 luglio 2019 in circostanze mai chiarite), ha consentito a Yasin al-Suri di operare sul suo suolo dal 2005, riuscendo così a trasferire le donazioni concesse da molti sostenitori dell'organizzazione da tutto il mondo arabo, all'Iran come prima tappa, e da lì sono state distribuite ai teatri delle operazioni in Afghanistan e Iraq o dove serviva.Il 28 luglio 2011, il Tesoro degli Stati Uniti ha designato Yassin al-Suri nelle liste del terrorismo e il programma Rewards for Justice del governo degli Stati Uniti ha promesso una ricompensa fino a dieci milioni di dollari per informazioni su di lui, ma di recente la ricompensa è stata stranamente ridotta a tre milioni. Secondo Orwa Ajoub, ricercatrice negli affari dei gruppi militanti, è difficile determinare la natura del rapporto tra Yassin al-Suri e l'Iran dal suo arresto nel 2011 perché la questione non è stata divulgata dagli Stati Uniti, che erano dietro la sua classificazione come collaboratore con l'Iran.Orwa Ajoub ha detto in un'intervista ad Akhbar al-Aan: «Ma quando la questione è legata al rapporto tra la madre al-Qaeda e l'Iran, questo rapporto può essere descritto come cooperazione tattica, come descritto da uno degli specialisti accademici nello studio dell'antiterrorismo, Assaf Makdana, e quello che intendiamo qui è che al-Qaeda e l'Iran condividono lo stesso nemico, che sono gli Stati Uniti, ma allo stesso tempo, ognuno di loro ha le proprie idee ideologiche che ritraggono l'altra parte come un nemico». Secondo le dichiarazioni di Orwa Ajoub: «Le radici del rapporto tra al-Qaeda e Iran risalgono ai primi anni Novanta, quando l'Iran concluse un accordo con uomini di al-Qaeda per addestrarne alcuni in Iran e in Libano nella valle della Bekaa con gli agenti di Hezbollah, ma la presenza dei leader di al-Qaeda e dei membri della famiglia bin Laden in Iran è iniziata nel 2002 o 2003 effettivo dopo l'invasione americana dell'Afghanistan». Quello che è certo è che Teheran ha continuato a consentire ad al-Qaeda di trasferire denaro attraverso l'Iran, nonché di far transitare personale e risorse attraverso zone di conflitto come l'Afghanistan e la Siria, secondo il rapporto sul terrorismo del 2019 del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. La posizione geografica dell'Iran, vicino all'Afghanistan e al Pakistan, ha anche aiutato in modo critico al-Qaeda a muoversi attraverso i campi di battaglia chiave quando era sotto la diretta pressione degli Stati Uniti. Mentre l'assistenza dell'Iran ha consentito ad al-Qaeda di sfidare continuamente gli Stati Uniti e i suoi alleati, inclusa l'Arabia Saudita, il gruppo terroristico sunnita in cambio si è astenuto dal commettere attacchi all'interno dell'Iran o contro le popolazioni sciite in altri Paesi della regione. Guardando ai casi di Yassin al-Suri, Saif al-Adel e altri leader di al-Qaeda che soffrono della «sindrome di Teheran», è evidente che il rapporto dell'Iran con al-Qaeda potrebbe dargli la capacità di interferire nella scelta della personalità che succederà ad Ayman al-Zawahiri alla guida dell'organizzazione, in quanto è diventato il principale motore di al-Qaeda.
Getty Images
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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