
Maggioranza appesa a un filo sulla Nadef: a Montecitorio se la cava per 3 voti. E al Senato dovrà aver paura. Quando arriverà lì la manovra, non basteranno regali e mancette varie per salvarsi dai franchi tiratori.Per il governo giallorosso c'è un grana che si chiama Parlamento. Rimandato alle calende greche il voto e la possibilità per il popolo di esercitare il potere alle urne, resta ancora da superare l'inghippo della democrazia. I giallorossi si trovano a fare i conti con l'Aula. E ieri, che doveva essere una giornata di routine, il governo ha rischiato di finire a gambe all'aria. Dopo il passaggio in commissione, la nota di aggiornamento al documento di economia e finanzia, il primo passo verso la manovra, era attesa al vaglio della Camera, dove i margini della maggioranza sono decisamente più ampi rispetto al Senato.La risoluzione sulla Nadef è passata con soli 319 voti a favore (193 contrari e 3 astenuti), contro i 316 necessari, ossia la maggioranza assoluta dei deputati, come prevede la legge che regola la sessione di bilancio. Dei gruppi di maggioranza non hanno partecipato al voto 14 deputati grillini e 5 del Pd, tra cui la neo arrivata Beatrice Lorenzin. Assente anche una deputata di Leu. I dem hanno diffuso una nota per far sapere che si trattava di assenze giustificate: chi all'estero e chi malato. Imbarazzo maggiore sul fronte dei 5 stelle dove si è glissato sul fatto, salvo celebrare lo stop agli aumenti dei ticket sanitari per il ceto medio. Purtroppo si tratta pure di una vittoria di Pirro, visto che le bastonate al servizio sanitario nazionale sono solo rimandate. Le dichiarazioni non bastano dunque per nascondere il vero rischio politico di questo governo. Veleggiare sempre sul filo del rasoio, alla Camera e ancor di più al Senato. L'ha detto bene il leghista Roberto Calderoli, tra i più esperti di macchina parlamentare. «La nota di aggiornamento al Def passata per soli 3 voti è un campanello d'allarme per il governo», ha detto l'ex ministro. Riferendosi indirettamente ad alcuni schemi che ben conosce. Quando arriverà la vera manovra le commissione, in gran parte in mano ai leghisti, inizieranno con il fuoco incrociato, senza contare che ci sono punti morti dove Pd e 5 stelle non riescono a mettersi d'accordo. Basti pensare alla commissione Lavoro al Senato dove la presidenza è ancora vacante da quando Nunzia Catalfo ha lasciato per andare al ministero. L'incarico in commissione è rivendicato dai grillini. Luigi Di Maio l'ha promesso al Pd. E l'impasse rischia di creare dissapori forti, tanto forti che poi quando si tratterà di votare si rischiano brutte sorprese. Calderoli sa anche che il testo della Nadef è un guscio vuoto (stavolta più che negli anni scorsi) e che quando arriverà la manovra gli emendamenti non arriveranno solo dalla minoranza, ma ci saranno anche i veti incrociati della maggioranza. Per tenere incollati tra loro Pd, 5 stelle, Leu e Italia viva la prossima manovra sarà un collage di marchette e di regali agli uni e agli altri. Contributi a pioggia che però nel complesso non potranno essere ricchissimi. Il testo avrà più tasse che regali e proprio per tale motivo gli scontenti saranno numerosi. Il riferimento della Lega è proprio all'eventualità dei franchi tiratori che spuntano nel momento in cui si piazza la fiducia, consapevoli che molti deputati o senatori della maggioranza si scoprono delusi. E lì rischia di cascare l'asino. D'altronde le dichiarazioni del ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, non sembrano aiutare. «La Commissione Ue», ha spiegato Gualtieri, che ieri a margine dell'Ecofin, ha parlato sia con il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, sia con il vicepresidente dell'esecutivo Ue, Valdis Dombrovskis, «deve aspettare di ricevere la manovra per esaminarla, ma conosce già i numeri del Nadef. Abbiamo illustrato ovviamente le cifre, i contenuti, la logica che ci ha portato a prevedere un deficit del 2,2% sul Pil, come punto di equilibrio», ha sottolineato il ministro, «fra la necessità di mantenere il debito su una traiettoria discendente, salvaguardando la stabilità della finanza pubblica, e la necessità di evitare una manovra restrittiva». Così dicendo, Gualtieri ha condannato sé stesso e il governo al vincolo del 2,2% di deficit rispetto al Pil. Una percentuale che non consentirà né spesa né investimenti, ma imporrà solo tasse. Di conseguenza sarà una manovra restrittiva che avrà pure infranto il tabù del deficit. I gialloblù per la sinistra erano una banda di sporchi e cattivi perché, esattamente un anno fa, trattavano con l'Ue per stare tra il 2% e il 2,4%. In futuro i dem non potranno nemmeno più cavalcare il mantra del rispetto dei conti, anzi ai propri colleghi di governo dovranno spiegare in Aula che loro hanno sfasciato i conti e in cambio hanno solo garantito più tasse. Un record della follia che di solito è ripagato con le imboscate.
Elly Schlein (Ansa)
La leader Pd dice che la manovra «favorisce solo i ricchi», come se avere un reddito da 50.000 euro lordi l’anno fosse da nababbi. In realtà sono fra i pochi che pagano tasse dato che un contribuente su due versa zero Irpef. Maurizio Landini & C. insistono con la patrimoniale. Giorgia Meloni: «Con me mai». Pure Giuseppe Conte non ci sta.
Di 50.000 euro lordi l’anno quanti ne finiscono in tasca a un italiano al netto di tasse e contributi? Per rispondere è necessario sapere se il contribuente ha moglie e figli a carico, in quale regione viva (per calcolare l’addizionale Irpef), se sia un dipendente o un lavoratore autonomo. Insomma, ci sono molte variabili da tener presente. Ma per fare un calcolo indicativo, computando i contributi Inps al 9,9 per cento, l’imposta sui redditi delle persone fisiche secondo i vari scaglioni di reddito (al 23 per cento fino a 28.000 euro, al 35 per la restante parte di retribuzione), possiamo stimare un netto di circa 35.000 euro, che spalmato su tre dici mensilità dà un risultato di circa 2.600 euro e forse anche meno. Rice vendo un assegno appena superiore ai 2.500 euro al mese si può essere iscritti d’ufficio alla categoria dei ricchi? Secondo Elly Schlein e compagni sì.
Elly Schlein e Vincenzo De Luca (Ansa)
Dopo aver sfidato lo «sceriffo di Salerno» il segretario dem si rimangia tutto. E per Roberto Fico conta sui voti portati dal governatore, che impone ricompense per il figlio. Sulla partita veneta, Ignazio La Russa apre a Luca Zaia nel governo.
«Vinciamo»: il coordinatore regionale di Forza Italia in Campania, Fulvio Martusciello, capodelegazione azzurro al Parlamento europeo, lo dice alla Verità e sembra convinto. L’ennesima manifestazione elettorale di Fi al centro di Napoli è un successo clamoroso: centinaia di persone, il ritratto di Silvio Berlusconi troneggia nella sala. Allora crede ai sondaggi più ottimisti? «No», aggiunge Martusciello, «credo a quello che vedo. Siamo riusciti a entrare in tutte le case, abbiamo inventato il coordinatore di citofono, che si occupa di curare non più di due condomini. Parcellizzando la campagna, riusciremo a mandare a casa una sinistra mai così disastrata». Alla remuntada in Campania credono tutti: da Giorgia Meloni in giù. Il candidato presidente del centrodestra, Edmondo Cirielli, sente aria di sorpasso e spinge sull’acceleratore.
Matteo Zuppi (Ansa)
Il cardinale Matteo Zuppi, in tv, svela la fonte d’ispirazione della sua dottrina sociale sui migranti: gli «industriali dell’Emilia-Romagna». Ai quali fa comodo la manodopera a buon mercato, che riduce le paghe medie. Così poi la sinistra può invocare il salario minimo...
Parafrasando Indro Montanelli, viene da pensare che la Chiesa ami talmente i poveri da volerne di più. Il Papa ha appena dedicato loro un’esortazione apostolica, ma le indicazioni di politica economica ai cattolici non arrivano da Leone XIV, bensì dai capitalisti. E vengono prontamente recepite dai vescovi. Bastava ascoltare, venerdì sera, il presidente della Conferenza episcopale italiana, Matteo Zuppi, intervistato a Propaganda live: l’immigrazione, ha insistito il cardinale su La 7, «è necessaria. Se si parla con qualsiasi industriale in Emilia-Romagna dice che non c’è futuro senza».
Il Carroccio inchioda i sindacati: «Sette mobilitazioni a novembre e dicembre. L’80% delle proteste più grosse si è svolto a ridosso dei festivi. Rispettino gli italiani».
È scontro politico sul calendario degli scioperi proclamati dalla Cgil. La Lega accusa il segretario del sindacato, Maurizio Landini, di utilizzare la mobilitazione come strumento per favorire i cosiddetti «weekend lunghi», sostenendo che la maggioranza degli scioperi generali indetti nel 2025 sia caduta in prossimità di giorni festivi o di inizio e fine settimana.





