2023-06-26
«Aiuto i più deboli. Ma non sopporto la parola inclusione»
Annalisa Minetti (Marco Piraccini/Archivio Marco Piraccini/Mondadori Portfolio via Getty Images)
La cantante Annalisa Minetti: «La politica trascura chi soffre, vedi Bibbiano. Mi candidai, ma fu una fregatura. Il Cav? Lo ammiravo molto».Canta di un amore tanto intenso da sconvolgere e tanto effimero da svanire con il giorno. Chiedi ad Annalisa Minetti perché si sia cimentata con un tormentone estivo, il brano Blu, e lei come ad ogni domanda ti risponderà entusiasta, in questo caso che è importante essere anche leggeri, nella vita. «Ci si concentra troppo su quello che non si ha. Ma questa cosa la dovremmo decorticalizzare, togliercela dalla testa: gustare quello che abbiamo. Godere persino del caldo dell’estate, e non subirlo». È solo uno dei fiumi in piena che senti scorrere parlando con la sua voce cristallina. La stessa che ha fatto innamorare - artisticamente - di lei il rapper Fre, che voleva riportarla a Sanremo, impresa in cui un po’ entrambi sperano ancora. Blu è il secondo singolo insieme dopo essersi conosciuti per il tramite di amici comuni. «Con Annalisa si vola», mi dice Fre, «perché raggiunge tonalità vocali che sono per pochissimi». Il più giovane dei due è quello che produce il rap - è nato negli anni ’90 - e stupisce un po’ che sia lui a faticare a dire la sua età, perché «il tempo è un tema sempre più importante per me. Temo non sia abbastanza, lo inseguo, a volte quasi con angoscia». Rincorre anche lei il tempo, Annalisa Minetti, che dei suoi 46 anni ne fa però una medaglia quando racconta di aver vinto l’argento ai campionati italiani assoluti paraolimpici di triathlon, gareggiando con gente più giovane e con uno sport che ha iniziato solo due anni fa. «Ha un’energia impressionante», anticipa lui. In effetti basta chiacchierare con lei per scoprirlo. Cantante, conduttrice, appassionata del sociale. Lo sport è una delle sue passioni, ma - perdoni l’indelicatezza - qualche incidente di percorso c’è stato anche su questa strada. «Un infortunio, sì. Ai tendini. Sembrava impossibile che io tornassi a correre ma con la riabilitazione ce l’ho fatta».E non per la corsetta mattutina…«No, anzi: ora ho pensato che per dare l’addio allo sport professionistico vorrei una sfida nella sfida e mi piacerebbe partecipare a Parigi 2024».È nata nel milanese, ma già glielo avranno detto che ha preso l’accento romano, vero?(Ride) «Ogni volta che torno su. E a Roma - ci vivo dal 2013 più o meno - mi dicono che son troppo milanese, sì».Cosa vuol dire per lei prestare la voce oggi a Blu? «È un modo per dire che è importante vivere le passioni, farsi coinvolgere, amare la vita».Un po’ come recitava l’omelia di Delpini per Berlusconi?«Esattamente, brava, davvero, intendo proprio che è importante amare quello che si ha».Sui social ha pubblicato un addio al Cavaliere. «Sì, perché è la storia. È un po’ come salutare Napoleone. Ammiro chi come lui è arrivato con una valigia di cartone e ha iniziato una carriera. Ci hanno provato, a infangarne il nome. Ma si attacca solo chi è forte. E lui ha fatto secondo me bene: è stato uno stimolo per gli altri, ha aiutato tante persone. Mezzi discutibili? Non lo so, non li conosco, so solo che fanno parte della politica».Sport estremo, la politica, in cui lei ha provato a cimentarsi. Pure in questo.«Sì ma sono troppo onesta».Addirittura.«L’inizio è da ridere: Mario Monti mi chiamò da Chigi per candidarmi e io pensai che fosse Max Giusti che ne faceva l’imitazione e riattaccai. Mi richiamarono. Che figura. Però poi sono ancora davvero dispiaciuta di come andò».Accettò di correre in Lazio era il 2013. Non venne eletta. «Spesi la mia parola con tante associazioni nel sociale. Ero convinta che il quinto posto in lista fosse sicuro, non avevo capito che stavo solo aiutando chi era stato messo prima di me. Sono stata uno strumento per altri, e mi è dispiaciuto tanto che tutte le persone con cui ho parlato siano poi state abbandonate a se stesse, usate anche loro».Stava facendo campagna elettorale. «Non riesco a prendere le distanze dal dolore altrui, a fregarmene. Conosco molto bene l’ambiente delle case famiglia e di ogni persona che incontro ricordo nome e storia».Per questo mondo la politica cosa potrebbe fare?«C’è bisogno di tanto. Di regole, o di regole diverse. Conosco storie di fratelli divisi, che si disperano per potersi incontrare senza poterlo fare. So che il dolore di molti ragazzi si trasforma in rabbia e per tenerli buoni, perché non si riescono ad ascoltare, li zittiscono con la pastiglia. Non generalizzo, ma non sempre si mette al centro la vera vittima, per una vera giustizia. Veda Bibbiano: un esempio di come spesso si metta a tacere tutto, ma vengono fatte - me lo consenta - porcate molto serie».Dopo quell’esperienza a molto altro ha continuato a dedicarsi. Dovesse scegliere tra i progetti che più le stanno a cuore oggi?«Vorrei costruire una scuola diversa, che permetta a tutti - anche a chi non può permetterselo - di essere educati alla vita. Sto per presentare - la prossima settimana - la Leonardo Leone Foundation: con lui, formatore, lavoreremo in questa direzione».Sono i suoi due figli a spronarla sul tema educativo?«Prima di tutto, certo. Pensi che con mio marito abbiamo inventato un gioco nuovo, una sorta di palla a mano adattata, a cui possono partecipare sia normodotati che non vedenti, ad esempio». Per includere?«No per piacere quella parola lasciamola perdere, che ormai è come il parmigiano. Per vincere ogni qualsiasi bando pubblicato in Italia, le parole vincenti sono sostenibilità ambientale e inclusione».Bene, no?«Inclusione è però uno stile di vita, una cultura, non basta parlarne soltanto. Penso che l’attività motoria sia uno strumento molto efficace per insegnarla ai giovanissimi. Mi pare invece che stiamo dividendo il mondo per categorie, e non per persone, che hanno ciascuna un valore. Omosessuali, persone con ritardo cognitivo, non vedenti… Si divide, non si unisce». Sta sotto la grande campana del battersi per i diritti. I diritti di tutti, si dice.«Fantastico, ma io penso che il diritto principale sia il diritto alla vita. Se non la rendo perlomeno fruibile, come posso parlare di diritti? Spesso ci si concentra su cose che non servono, cazzate, al posto di quel che davvero sarebbe utile».Esempi? «Le parlo di me. Se devo stare in coda alla Posta, è stabilito che io possa saltarla. E perché mai? Non ho problemi alle gambe, sono non vedente. Invece se devo muovermi a Roma senza un accompagnatore è impossibile, non ci sono trasporti facilitati che mi possano rendere autonoma. Non posso adottare se non dimostro di avere una tata a casa h24, pure se ho già due figli che accudisco ed educo anche da sola se mio marito è in viaggio». Lei è molto amata, ma anche criticata. Ci fu persino chi la insultò perché aveva scelto di avere una seconda bambina, perché non vedente.«Me ne hanno dette un po’ di tutti i colori, nel corso della carriera».Che iniziò al Karaoke di Fiorello, nelle piazze. «Questa cosa non la cita mai nessuno, ma io ne vado molto fiera. Chissà se Fiorello se lo ricorda».Poi ci fu pure miss Italia…«Un po’ rosico, che non posso più vedermi. Sono come mi sento: oggi in tuta, e quando vado in tv vestita da gnocca».Ricordo che aveva raccontato di vedere qualche ombra…«Ora non più, nero totale. L’oculista mi ha detto poco tempo fa che anche anatomicamente sto peggiorando, ma neanche me ne accorgo a questo punto».Sua sorella ha la stessa patologia, giusto?«Sì, siamo in quattro fratelli. Francesca e io con una diagnosi di retinite pigmentosa e degenerazione maculare. Poi c’è Fabio che per colpa di un’asfissia prenatale ha un ritardo cognitivo. E c’è la Vale che ci ha supportate e sopportate in adolescenza, con grande amore ma pure con sacrificio. Ci sarebbe dovuta essere anche Barbara, ma è stato un lutto». La malattia, l’infortunio, la fregatura della politica… eccomi con la seconda indelicatezza: resta la domanda di come lei possa sorridere sempre, e non per finta. Decidere di avere sempre nuovi progetti.«Merito soprattutto di genitori fantastici. Mamma ha sofferto, e molto, ma ha riso e scherzato tanto con papà che era l’unica roccia della famiglia. A 19 anni persi il controllo: dopo la diagnosi, battevo i pugni per terra in silenzio, vicino al letto, piangendo. Mi si avvicinò mio padre e gli domandavo: “Perché a me?”. Mi rispose: “Perché non a te?”. Qui sta il ribaltamento della fede in Dio». Si è fidata di suo papà? O c’è stato un vero e proprio momento di conversione?«Mi sono fidata e affidata all’educazione della mia famiglia. Cose normali: la preghiera della sera, la confessione… Mio padre mi ha sempre detto che non sarebbe stato importante andare in Chiesa, se non la avessi rappresentata al meglio fuori dall’edificio. Un poliziotto, dalla vita disciplinata. Mi disse: sarai tu la luce. Faccio quel che posso».
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
Continua a leggereRiduci
Silvia Salis (Imagoeconomica)