
Inchiesta Reuters smaschera il malaffare sulle derrate alimentari per i poveri, finite ai soldati e al mercato nero. Gli Usa scaricano le Nazioni Unite e bloccano gli invii.Gli aiuti alimentari destinati a milioni di persone che soffrono la fame in Etiopia sarebbero stati rubati e dirottati verso i soldati etiopi e tigrini e pure verso il mercato nero, secondo un’inchiesta di Reuters. E chi doveva controllare e agire per interrompere questo schema era proprio l’agenzia Onu del Programma alimentare mondiale, creata per garantire assistenza alimentare nei luoghi più fragili. La faccenda ha causato una spaccatura, forse insanabile, tra l’agenzia Onu e Usaid, ovvero l’agenzia statunitense per lo Sviluppo internazionale nonché il maggior donatore a livello globale per la fornitura di cibo ai più bisognosi. Secondo quanto riportato da un funzionario americano a Reuters, sembra infatti che l’agenzia americana voglia interrompere la collaborazione con il Programma alimentare mondiale, eliminando progressivamente l’agenzia dell’Onu quale distributore di cibo nell’Etiopia settentrionale e nel Tigray per i prossimi nove mesi. Si tratta di un Paese che è stato martoriato dalle carestie per decenni a causa dei conflitti. L’ultimo in ordine di tempo è stato quello contro il Fronte popolare di liberazione del Tigray nel 2020, a cui è seguita due anni dopo la firma di un accordo di pace. E nonostante la fine del conflitto, sono ancora milioni le persone che non hanno cibo. Tornando alle origini di questa grave vicenda, l’amara scoperta risale a marzo dello scorso anno, quando un dipendente dell’agenzia americana che si trovava nel Tigray, aveva notato un camion rosso pieno di sacchi di grano che portavano il timbro Usaid, ma anziché raggiungere il luogo preposto alla consegna di cibo, aveva volutamente cambiato direzione. Da lì, Usaid ha iniziato a indagare e i risultati preliminari mostrerebbero un dirottamento «a livello industriale»: il grano finanziato dai donatori veniva dirottato dal governo etiope verso i mulini privati per essere trasformato in farina e sfamare i soldati etiopi e tigrini. Non solo, si parla anche del racket che avrebbe manipolato le persone malnutrite spingendole a vendere le loro razioni. Si parlerebbe di ben 7.000 tonnellate di grano che, se avessero raggiunto la corretta destinazione, avrebbero sfamato 450.000 persone nell’arco di un mese. Ciò che emerge dall’indagine di Reuters è che il Programma alimentare mondiale è a conoscenza di questo schema da anni, ma non ha mai agito per fermarlo. Tant’è che i funzionari americani avrebbero accusato, in via privata, l’agenzia Onu di essere inaffidabile e già nel maggio del 2023 uno dei massimi diplomatici americani in Etiopia aveva comunicato: «La portata e la profondità del dirottamento degli aiuti alimentari mette in discussione l’abilità del Programma alimentare mondiale di essere un partner fedele e di sani principi». Sulla stessa linea, anche il senatore americano James E. Risch, che ha definito la situazione «intollerabile»: «Questo sistema ha negato a milioni di persone l’accesso agli aiuti salvavita, consentendo ai funzionari corrotti e ai combattenti armati di perseguire i propri obiettivi». Sembra che il sistema di assistenza alimentare dell’agenzia Onu in Etiopia, fino all’anno scorso, si sia basato su liste scritte a mano fornite dal governo etiope con indicati i nomi dei più bisognosi, migliaia dei quali si sono rivelati duplicati. A seguito della sospensione degli aiuti alimentari da parte di Usaid per vederci chiaro sulla vicenda già nell’aprile dell’anno scorso, ovviamente a pagarne le conseguenze sono state le persone più bisognose, con un incremento della malnutrizione. Ma per loro oltre il danno la beffa: un report interno dell’agenzia Onu avrebbe riconosciuto in parte il dirottamento degli aiuti umanitari, eppure si autoassolve, sostenendo di non aver trovato prove su «larga scala» sulla propria responsabilità e punta il dito contro i «beneficiari» in Etiopia, ovvero la popolazione che soffre la fame.
Agostino Ghiglia e Sigfrido Ranucci (Imagoeconomica)
Il premier risponde a Schlein e Conte che chiedono l’azzeramento dell’Autorità per la privacy dopo le ingerenze in un servizio di «Report»: «Membri eletti durante il governo giallorosso». Donzelli: «Favorevoli a sciogliere i collegi nominati dalla sinistra».
Il no della Rai alla richiesta del Garante della privacy di fermare il servizio di Report sull’istruttoria portata avanti dall’Autorità nei confronti di Meta, relativa agli smart glass, nel quale la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci punta il dito su un incontro, risalente a ottobre 2024, tra il componente del collegio del Garante Agostino Ghiglia e il responsabile istituzionale di Meta in Italia prima della decisione del Garante su una multa da 44 milioni di euro, ha scatenato una tempesta politica con le opposizioni che chiedono l’azzeramento dell’intero collegio.
Il sindaco di Milano Giuseppe Sala (Imagoeconomica)
La direttiva Ue consente di sforare 18 volte i limiti: le misure di Sala non servono.
Quarantaquattro giorni di aria tossica dall’inizio dell’anno. È il nuovo bilancio dell’emergenza smog nel capoluogo lombardo: un numero che mostra come la città sia quasi arrivata, già a novembre, ai livelli di tutto il 2024, quando i giorni di superamento del limite di legge per le polveri sottili erano stati 68 in totale. Se il trend dovesse proseguire, Milano chiuderebbe l’anno con un bilancio peggiore rispetto al precedente. La media delle concentrazioni di Pm10 - le particelle più pericolose per la salute - è passata da 29 a 30 microgrammi per metro cubo d’aria, confermando un’inversione di tendenza dopo anni di lento calo.
Bill Gates (Ansa)
Solo pochi fanatici si ostinano a sostenere le strategie che ci hanno impoverito senza risultati sull’ambiente. Però le politiche green restano. E gli 838 milioni versati dall’Italia nel 2023 sono diventati 3,5 miliardi nel 2024.
A segnare il cambiamento di rotta, qualche giorno fa, è stato Bill Gates, niente meno. In vista della Cop30, il grande meeting internazionale sul clima, ha presentato un memorandum che suggerisce - se non un ridimensionamento di tutto il discorso green - almeno un cambio di strategia. «Il cambiamento climatico è un problema serio, ma non segnerà la fine della civiltà», ha detto Gates. «L’innovazione scientifica lo arginerà, ed è giunto il momento di una svolta strategica nella lotta globale al cambiamento climatico: dal limitare l’aumento delle temperature alla lotta alla povertà e alla prevenzione delle malattie». L’uscita ha prodotto una serie di reazioni irritate soprattutto fra i sostenitori dell’Apocalisse verde, però ha anche in qualche modo liberato tutti coloro che mal sopportavano i fanatismi sul riscaldamento globale ma non avevano il fegato di ammetterlo. Uscito allo scoperto Gates, ora tutti possono finalmente ammettere che il modo in cui si è discusso e soprattutto si è agito riguardo alla «crisi climatica» è sbagliato e dannoso.
Elly Schlein (Ansa)
Avete presente Massimo D’Alema quando confessò di voler vedere Silvio Berlusconi chiedere l’elemosina in via del Corso? Non era solo desiderare che fosse ridotto sul lastrico un avversario politico, ma c’era anche l’avversione nei confronti di chi aveva fatto i soldi.
Beh, in un trentennio sono cambia ti i protagonisti, ma la sinistra non è cambiata e continua a odiare la ricchezza che non sia la propria. Così adesso, sepolto il Cavaliere, se la prende con il ceto medio, i nuovi ricchi, a cui sogna di togliere gli sgravi decisi dal governo Meloni. Da anni si parla dell’appiattimento reddituale di quella che un tempo era la classe intermedia, ma è bastato che l’esecutivo parlasse di concedere aiuti a chi guadagna 50.000 euro lordi l’anno perché dal Pd alla Cgil alzassero le barricate. E dire che poche settimane fa la pubblicazione di un’analisi delle denunce dei redditi aveva portato a conclusioni a dir poco sor prendenti. Dei 42,6 milioni di dichiaranti, 31 milioni si fanno carico del 23,13 dell’Irpef, mentre gli altri 11,6 milioni pagano il resto, ovvero il 76,87 per cento.
In sintesi, il 43 per cento degli italiani non paga l’imposta, mentre chi guadagna più di 60.000 euro lordi l’anno paga per due. Di fronte a questi numeri qualsiasi persona di buon senso capirebbe che è necessario alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio, evitando di tartassarlo. Qualsiasi, ma non i vertici della sinistra. Pd, Avs e Cgil dunque si agitano compatti contro gli sgravi previsti dal la finanziaria, sostenendo che il taglio dell’Irpef è un regalo ai più ricchi. Premesso che per i redditi alti, cioè quello 0,2 per cento che in Italia dichiara più di 200.000 euro lordi l’anno, non ci sarà alcun vantaggio, gli altri, quelli che non sono in bolletta e guadagnano più di 2.000 euro netti al mese, pare davvero difficile considerarli ricchi. Certo, non so no ridotti alla canna del gas, ma nelle città (e quasi sempre le persone con maggiori entrate vivono nei capoluoghi) si fa fatica ad arrivare a fine mese con uno stipendio che per metà e forse più se ne va per l’affitto. Negli ultimi anni le finanziarie del governo Meloni hanno favorito le fasce di reddito basse e medie. Ora è la volta di chi guadagna un po’di più, ma non molto di più, e che ha visto in questi anni il proprio potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Ma a sinistra non se la prendono solo con i redditi oltre i 50.000 euro. Vogliono anche colpire il patrimonio e così rispolverano una tassa che punisca le grandi ricchezze e le proprietà immobiliari. Premesso che le due cose non vanno di pari passo: si può anche possedere un appartamento del valore di un paio di milioni ma, avendolo ereditato dai geni tori, non avere i soldi per ristrutturarlo e dunque nemmeno per pagare ogni anno una tassa.
Dunque, possedere un alloggio in centro, dove si vive, non sempre è indice di patrimonio da ricchi. E poi chi ha una seconda casa paga già u n’imposta sul valore immobiliare detenuto ed è l’I mu, che nel 2024 ha consentito allo Stato di incassare l’astronomica cifra di 17 miliardi di euro, il livello più alto raggiunto negli ultimi cinque anni. Milionari e miliardari, quelli veri e non immaginati dai compagni, certo non hanno il problema di pagare una tassa sui palazzi che possiedono, ma non hanno neppure alcuna difficoltà a ingaggiare i migliori fiscali sti per sottrarsi alle pretese del fisco e, nel caso in cui neppure i professionisti sia no in grado di metterli al riparo dall’Agenzia delle entrate, possono sempre traslocare, spostando i propri soldi altrove. Come è noto, la finanza non ha confini e l’apertura dei mercati consente di portare le proprie attività dove è più conveniente. Quando proprio il Pd, all’e poca guidato da Matteo Renzi, decise di introdurre una flat tax per i Paperoni stranieri, migliaia di nababbi presero la residenza da noi. E se domani l’imposta venisse abolita probabilmente andrebbero altrove, seguiti quasi certamente dai ricconi italiani. Del resto, la Svizzera è vicina e, come insegna Carlo De Benedetti, è sempre pronta ad accogliere chi emigra con le tasche piene di soldi. Inoltre uno studio ha recentemente documentato che l’introduzione negli Usa di una patrimoniale per ogni dollaro incassato farebbe calare il Pil di 1 euro e 20 centesimi, con una perdita secca del 20 per cento. Risultato, la nuova lotta di classe di Elly Schlein e compagni rischia di colpire solo il ceto medio, cancellando gli sgravi fiscali e inasprendo le imposte patrimoniali. Quando Mario Monti, con al fianco la professoressa dalla lacrima facile, fece i compiti a casa per conto di Sarkozy e Merkel , l’Italia entrò in de pressione, ma oggi una patrimoniale potrebbe essere il colpo di grazia.
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