2022-05-19
Da Putin-Hitler a Putin-pippa (senza curare i nostri interessi)
Chi obietta sul conflitto è bollato dalla stampa come putiniano, denigrato e deriso. E subiamo le decisioni prese a Washington.Ogni mattina un rubrichista del Corriere della Sera si sveglia e sa che dovrà trovare un perfido putiniano da azzannare. Non è un compito particolarmente difficile, a ben vedere, poiché «putiniano» è ormai chiunque dissenta anche solo leggermente (...) dalla linea dell’artigliere unico che impazza sui principali quotidiani. E poiché (stando ai sondaggi) la maggioranza degli italiani è contraria all’invio di armi all’Ucraina e spera nella pace, di immaginari tifosi dello zar qui nei dintorni c’è grande abbondanza. In ogni caso, le firme di via Solferino dimostrano una certa pigrizia e infieriscono sempre sugli stessi, in particolare gli accademici Alessandro Orsini e Donatella Di Cesare. Quest’ultima è stata recentemente svillaneggiata da Aldo Grasso; il primo si è guadagnato ieri le carezze dell’oberleutnant Massimo Gramellini. Il quale, non potendo rinunciare alla patina di buonismo sentimentale che da sempre l’avvolge, ha voluto precisare che le sue sono puntute ma in fondo innocue osservazioni: «Lunga vita televisiva ai pacifisti strabici, a cui vorrei sommessamente ricordare che la critica non è censura, nemmeno quando a farla siamo noi del “mainstream”», ha scritto il generale Grande firma. A tal proposito, ci limitiamo a notare che i pacifisti e i dissenzienti non sono stati semplicemente criticati. Sono stati insultati, denigrati, minacciati, derisi. Sono stati trattati come mentecatti, utili idioti al soldo del dittatore, narcisisti patologici, scemi di guerra. Alcuni hanno perso contratti, incarichi e spazi. Il loro lavoro è stato reso più difficile, la loro reputazione è stata infangata, la loro integrità messa in dubbio. Non è censura? Forse non lo è. Ma non ci risulta che qualcosa di simile sia accaduto ai coraggiosissimi editorialisti che rimasticano il pensiero prevalente, i quali se ne stanno belli comodi nelle loro nicchie in Rai, spadroneggiano ai festival letterari, sono coccolati nei salotti e da decenni si godono i privilegi derivanti da una superiorità morale del tutto inesistente. Nello specifico, la «critica» rivolta da Gramellini a Orsini è di essere addirittura più putiniano dei veri putiniani. Il professore, infatti, è convinto che l’Ucraina non abbia grandi speranze di vincere la guerra, ma a quanto pare le sue tesi sono smentite dagli stessi sottoposti di zio Vladimir. Sul primo canale moscovita, per esempio, il colonello Mikhail Khodaryonok ha spiegato che la situazione per i suoi compatrioti è nerissima. L’analista militare, riporta Gramellini, «ha ammesso che la guerra va male, la Russia è sempre più isolata e la situazione è destinata a peggiorare». Posto che Khodaryonok non ha esattamente detto che la Russia sta perdendo, il fatto che la firma del Corriere lo citi è molto interessante. In Italia le testate russe e filorusse sono, di fatto, bandite. Più in generale, tutte le fonti russe sono identificate come «propaganda». Dunque, almeno in teoria, anche le uscite del colonnello dovrebbero essere considerate parte della velenosa narrazione russa, e liquidate con un’alzata di spalle. Invece, poiché sembrano sostenere idee che fanno comodo ai nostri bellicisti, ecco che all’improvviso pure il militare nemico diventa attendibile. E, intendiamoci, può davvero darsi che lo sia. Ma ciò, semmai, dimostra che la situazione dei media di Mosca è leggermente meno distopica di come solitamente ci viene presentata. Ciò dimostra, inoltre, che oscurare le fonti di informazione russe o mobilitare il Copasir affinché indaghi sugli ospiti russi nelle trasmissioni italiane è una enorme stupidaggine. Della propaganda russa, tuttavia, ci interessa poco. Ci importa di più di quella di casa nostra. L’apparato mediatico-militare italiano da settimane ci racconta, al fine di corroborare la posizione governativa sull’invio delle armi a Kiev, che gli ucraini stanno trionfando, che i russi sono demotivati, hanno sbagliato i calcoli, si ritirano da tutte le città conquistate all’inizio del conflitto. Contemporaneamente, essi ci dicono che Putin è pronto a invadere la Polonia, la Moldavia, la Georgia, la Finlandia, forse pure la Svezia, e non esclude di spezzare le reni alla Grecia. Delle due l’una: o l’esercito russo è esangue, e dunque non costituisce una minaccia per il Vecchio continente, oppure non lo è e dobbiamo preoccuparci tutti. Gramellini sembra ritenere che le armate di Mosca siano in seria difficoltà, e può darsi che abbia ragione. Però sulla prima pagina del suo giornale campeggia un titolo suggestivo: «L’ora della resa a Mariupol». Ma come? Le truppe di Kiev non erano pronte a riprendersi tutto, così che l’Ucraina potesse ospitare proprio nella città dell’Azovstal il prossimo festival Eurovision? Mariupol si arrende ai russi che stanno per essere ricacciati nelle loro tane? Sembra un po’ contorta, come narrazione. A naso, è più probabile che la verità stia nel proverbiale mezzo. I russi, senza dubbio, hanno incontrato difficoltà sul campo, ma allo stesso tempo hanno raggiunto vari obiettivi. Hanno preso una bella fetta di territorio a Est, e di certo non sarà facile rimandarli indietro. Diciamo di più. Se anche essi fossero prossimi al collasso, tocca ricordarsi che possiedono un arsenale atomico e, qualora fossero davvero matti e spietati come la nostra stampa li descrive, potrebbero non esitare a usarlo. Gli scenari futuri, di conseguenza, sono per lo meno due: o una catastrofe atomica globale (più difficile) oppure una guerra lunga e logorante nel cuore dell’Europa (più facile). Entrambe le prospettive sono tutto tranne che auspicabili, per noi come per gli ucraini. Per Kiev, come giusto e ovvio, decide Volodymyr Zelensky. Per noi, invece, non dovrebbe decidere Washington, bensì Roma. Possibilmente tenendo presenti i reali interessi della popolazione. È un ragionamento molto semplice, non complicato come i discorsi da accademico di Orsini. È talmente semplice che persino i rubrichisti con la baionetta sarebbero in grado di capirlo. Il problema è che non vogliono farlo perché a loro, degli interessi dell’Italia, interessa meno che ai colonelli russi.