2022-08-02
Corinne Clery: «Adoro le donne che si fanno strada da sole»
L’attrice francese protagonista di 43 film si racconta: «I diritti devi guadagnarteli, come l’uomo. Nella vita fingo di essere debole, ma sono la più forte. Sono piena di amici e ho tanto lavoro. Vivo per i miei tre bassotti. E con Serena Grandi abbiamo fatto pace».Com’è nell’indole di quelle personalità renitenti a schemi o presunte verità, Corinne Cléry ha sempre preso le distanze da conformismi e ideologie. Ciò, per lei, non significa tuttavia contrapporsi per principio a consuetudini, ma metterle in gioco e filtrarle. Per questo, nei 43 film che ha interpretato, appaiono commedie svagate e film d’impegno, la ragazza che frequenta gli ambienti yuppy della «Milano da bere», e quella risucchiata dall’inferno dell’eroina nei dedali di Roma. D’altra parte, il film che la rese famosa, Histoire d’O di Just Jaeckin, del 1975, in cui simbolicamente si riconosce, come pretesto aveva l’eros e le relative implicazioni, ma il suo epilogo era una rivolta. È pertanto riduttivo circoscrivere l’attrice parigina, classe 1950, tre matrimoni e un figlio, alla prevalente immagine della sensualità, come avviene in un certo residuo sempliciotto dell’immaginario targato anni Settanta. «Non sono trasgressiva, ma ribelle» dice. Attualmente dove abita?«In provincia di Viterbo, a cinque chilometri dal centro abitato, in mezzo alla natura. Ho lasciato Roma da tre anni. Qui si sta un po’ meglio. Ho bisogno dei miei spazi, anche intellettuali».Da quanto tempo vive in Italia?«Da oltre 50 anni. Sono arrivata in Italia nel luglio del 1971. A Saint-Tropez incontrai un ragazzo italiano. Ci siamo fidanzati e sposati. La mia vita si è svolta soprattutto in Italia e mi sento molto italiana».D’altra parte, il suo vero cognome, Picolo, rivela origini italiane.«Ho cercato di informarmi. Mio papà non conosceva le origini. Mia nonna era alsaziana. Non ho mai conosciuto mio nonno, ma probabilmente la sua famiglia era di provenienza italiana. Forse dalla Repubblica di Genova. Papà è nato in Algeria, perché i miei nonni, insegnanti, si trasferirono lì. Poi visse a Parigi. Io, già a 15-16 anni, avevo la fissa dell’Italia». Qual è il ricordo cui è più affezionata della sua infanzia a Parigi?«È quello di mia nonna materna, grande donna dell’alta borghesia francese. Nei primi del Novecento andò in Russia e quando ci fu la rivoluzione aiutò tutte le sue amiche russe della borghesia a fuggire. Entrò nella Croce rossa e rimase povera perché diede tutto ciò che aveva agli altri. Era intelligente, colta, moderna. Mi proteggeva e soprattutto eravamo complici. Mi faceva leggere di tutto e ogni anno l’abbonamento alla Comédie-Française. Agli Champs-Élysèes manifestò con Brigitte Bardot contro lo sterminio delle foche». Qual era la professione dei suoi genitori?«La mia era una famiglia borghese, benestante. Mia mamma era bellissima, casalinga. Mio papà divenne direttore generale per la pubblicità di Sélection du Reader’s Digest. Ho avuto un’infanzia bella, intelligente, con grandi risate ma anche valori e regole».Fratelli o sorelle?«Un fratello, Thierry, che ha 73 anni, e una sorella, Florence, sei anni meno di me». Ebbe un’adolescenza ribelle? E che disse suo padre? «Fui ribelle, ma con molta educazione. Non sono mai uscita dai binari. Lo piantonavo nel suo ufficio di Paris Saint-Germain, lo aspettavo anche otto ore e lui sfuggiva… Avevo 17 anni e mezzo e gli dovevo dire che ero innamorata. Era il primo amore. Volevo sposarmi. Mia nonna disse “ok”, mio padre “durerà poco, ma se vorrai tornare troverai la porta sempre aperta”. Erano due mondi diversi: papà in doppio petto, mio marito (Hubert Wayaffe, ndr.) con basettoni e cappotto di lupo. Al matrimonio occhi sbarrati, ma non erano ottusi, dialogavano, purché ci si assumesse le proprie responsabilità». Col senno di poi, rifarebbe quella scelta?«Assolutamente sì. Perché era amore. Non era l’uomo giusto per me. Ma questo è un altro discorso. Dopo un anno nacque Alexandre e dopo un anno divorziammo. Non l’ho mai pensato come un nemico».I suoi tre mariti sono stati gelosi di lei, essendo diventata, attraverso i film, pubblico oggetto del desiderio?«Il padre di mio figlio non era geloso. Era molto più grande di me, aveva 30 anni, era famoso, mi trattava un po’ come una bambina. Nemmeno il mio secondo marito, Luca (Luca Valerio, ndr.), lo è stato. Mi consigliò lui di fare Histoir d’O. L’unico a essere geloso è stato il mio terzo marito (Beppe Ercole, ndr.). Talvolta divenne un problema. Lo rassicuravo. Abbiamo passato 15 anni di grande conoscenza, amore e complicità. Oggi avrebbe 85 anni, è morto 12 anni fa, in tre mesi, un tumore fulminante… Lo ricordo con una canzone di Ron, Vorrei incontrarti tra cent’anni». Come avvenne l’incontro con il cinema italiano?«In maniera divertente. Ero in barca in Sardegna, in agosto, con il mio secondo marito, molto denudata. A un certo punto vediamo un signore un po’ grosso che giunge a nuoto guardandomi. Mi disse: “Tu farai il mio nuovo film”. Risposi: “No!”. Alla fine siamo diventati amici e così nacque Bluff, con Adriano Celentano ed Anthony Quinn». Quanto c’è di Corinne nel personaggio di Histoire d’O, ragazza schiava del fidanzato perverso che finisce per vendicarsi, storia che attirò anche Albert Camus? «Era un riprendere la propria autonomia dall’uomo. Io, nella vita sono così. Fingo di essere la più debole, ma in realtà sono la più forte. Tendo a essere molto geisha, ma posso diventare un gatto che graffia. E senza avvertimenti».Che ne pensa del femminismo? Non è troppo esasperata la ricerca di emancipazione della donna di oggi?«A me non piacciono le donne che si pongono contro il genere maschile. Mi piacciono quelle che si fanno strada da sole. I diritti devi guadagnarteli, così come lo fa l’uomo. La parità dei sessi è equivalente. A forza di insistere restiamo sole, perché gli uomini non ci vogliono più. Dopo Histoire d’O le femministe mi attaccarono, ma quei nudi erano un vestito di scena di una donna succube di un uomo. Sul rispetto non transigo, la libertà costa e amo la donna che si batte per sé, senza contrapporsi all’uomo». È sempre stata consapevole delle sue potenzialità seduttive?«Non me ne sono mai accorta fino a 45 anni, quando ho scoperto il mio potere di donna. Mio padre mi diceva: “Ma tu non sei sexy…”. Mi dicono che ho un modo particolare di guardare, ma è perché non ci vedo… Però adesso l’ho capito. Se voglio, lo posso fare. Ma farlo non mi interessa».Cosa invece la attrae di un uomo? «La cosa che guardo subito sono le scarpe, mi piacciono quelle stile inglese o norvegese, e poi le mani».Stando alle scarpe, possono essere anche mocassini?«Certo, l’importante è che esprimano personalità».Situazione sentimentale di adesso?«L’unica mia preoccupazione sono i miei cani, tre bassotti, di cui due adottati, Totò, Wendy, una femminuccia, e Vasco Rossi, l’ultima adozione. Sono piena di amici, ho tanto lavoro, gioia di vivere ma, nonostante gli sbagli, non vivo per il passato. Mio marito, l’ultimo, Giuseppe, era meraviglioso, un grandissimo amore, come mio padre e mia madre, lo porto dentro. Lui sta dappertutto, qui, nel casale, ho anche le sue ceneri…».Come fu il rapporto con Serena Grandi, ex-moglie del suo ultimo marito, con cui si ritrovò a fare il Grande fratello vip, nel 2017?«Quando ho conosciuto Giuseppe, a Pasqua del 1995, erano separati da due anni, con un figlio. La cercai. Le dissi che ero innamorata di lui e lei di un altro. Era un fatto di rispetto. Poi lei s’incattivì e non volle che il figlio venisse al nostro matrimonio. Una situazione di basso livello. La ritrovai al Grande fratello. Le dissi: “Facciamo pace?”. Da allora abbiamo ottimi rapporti, ma sono sempre io che la cerco…».Se dovesse dire il film interpretato cui è più legata?«Amo Keinhoff Hotel (1977, ndr) di Lizzani, forse perché lui mi voleva davvero. Ero avanti nella moda, ma mi vedeva borghese e misi il tailleur. Era un film sulla banda Baader-Meinhof. Alla proiezione, il cinema di Roma fu minacciato di bombe. L’ufficio stampa lo ripropose come erotico. E poi Histoire d’O ma anche Bluff e Yuppies…».Nel 1980 fece anche Eroina, di Massimo Pirri, storia di una coppia di tossicodipendenti…«Mi affiancarono un tossicodipendente, in un residence di Roma. Imparai come mettermi il laccio e maneggiare l’ago. Sono un’attrice».E pure un film di fantascienza, L’umanoide, di Lado e Castellari, del 1979…«Mi divertii molto. Ebbe molto successo all’estero, Stati Uniti e Spagna…».Secondo lei il virus che ci ha tormentato dal 2020 è legato a un evento casuale o voluto?«Secondo me non è casuale. È stato voluto, anche se forse ha assunto un’entità più grande di quella che pensavano. Se uno s’informa, appare tutto un po’ strano…».Cosa provò quando nel film della serie 007, Moonraker. Operazione spazio, baciò Roger Moore?«Uomo meraviglioso, charmoso, elegante, rispettoso, pieno di humor. Ma non provai nulla. Inoltre era sposato. Molti anni dopo divorziò».Che impegni di lavoro ha ora?«Sto facendo un film, Next, diretto da Giulietta Revel, con Haber, Conticini, Caprioglio e Bouchet e anche la prossima stagione sarò in teatro con Le relazioni pericolose di Francesco Branchetti».È migliorato il rapporto con suo figlio?«Deve fare i conti con sé stesso. Sono stata una mamma bambina. Rischiavo di perderlo, l’ho voluto fortemente. Gli auguro il meglio ma ora non sono più disposta a soffrire». Come la pensa politicamente?«Sono anticomunista, ma il comunismo non esiste più. Mia nonna era tutta per De Gaulle. Ascolto cosa dicono persone a destra e persone a sinistra. Una volta a una cena vidi persone molto comuniste che pasteggiavano con caviale e champagne. Amo la coerenza, anche nei miei amici, e pago con la libertà. Mi piaceva Berlinguer come mi piaceva Almirante. Dove sono queste persone? Dove finiremo? Ho la doppia cittadinanza, ma scelsi di votare in Italia e non in Francia. Se giocano Italia e Francia tifo per l’Italia. Non voto più da 12 anni».E alle prossime di settembre?«No, non ci andrò».
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