2019-02-26
Accoglienza imposta e mai visto un soldo: albergatore rovinato
In un hotel sullo Stretto la prefettura piazza decine di migranti. Dopo 18 mesi di «emergenza», camere devastate e depredate.Arrivano in aereo a Roma, vivono a Bologna, fanno questua a Modena. E tornano a casa.Lo speciale contiene due articoliC'era una volta un hotel sul mare, un tre stelle di bell'aspetto, gestito da generazioni, dalla stessa famiglia. Affacciava direttamente sullo Stretto di Messina, aveva una clientela affezionata e, ogni estate, per anni ai tempi d'oro, era stato teatro di importanti premi letterari. Poi, un bel giorno, arrivarono i clandestini. Decine di ragazzotti appena sbarcati e piazzati nelle camerette ordinate dell'albergo. «È un'emergenza», sosteneva la prefettura, ma da una settimana, passò un mese, poi due e la vacanza, a spese nostre, dei richiedenti asilo, finì per durare un anno e mezzo. Terminato il quale anche l'hotel, non c'era più: camere devastate, suppellettili sparite e mobili ridotti al lumicino. Un danno da centinaia di migliaia di euro, che nessuno, fino ad oggi, ha potuto pagare. Nemmeno i gestori dell'hotel che, da questa storia, a contrario di tanti altri, non hanno guadagnato nulla. Non erano volontari del business accoglienza e, beffa nella beffa, sono finiti sul lastrico. Prima «obbligati» ad accettare gli sgraditi ospiti e, poi, mai retribuiti per il servizio. A due anni di distanza aspettano ancora di essere pagati: 909.000 euro è il credito accumulato.Su La Verità ci siamo occupati, ieri, di raccontare il destino degli albergatori che sui profughi hanno lucrato, per i quali, solo recentemente, con il calo degli sbarchi, la pacchia è finita. Ma nel mare magnum di un business che ha arricchito tanti, c'è anche chi ci ha rimesso, a volte, addirittura tutto. Come Vittorio Caminiti, albergatore figlio di albergatori, presidente di Federalberghi Calabria e proprietario dell'Hotel Plaza, di Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria, struttura simbolo di un passato fatto di cultura e meraviglie naturali, oggi chiuso e fatiscente dopo il passaggio dei clandestini. Il Plaza nacque con il nome di Piccolo hotel per volontà dello scrittore Corrado Alvaro e fu considerato, per un quarto di secolo, un tempio della cultura meridionale per avere ospitato, per venticinque edizioni consecutive, importanti eventi letterari, come il Premio Villa e il Premio Calabria che premiò e ospitò nomi di spicco come Carlo Levi, Leonida Repaci, Amintore Fanfani, i ministri Emilio Colombo e Giovanni Spadolini, oltre al Premio Nobel Renato Dulbecco. Proprio lì, in quello che era un piccolo gioiello, la prefettura di Reggio Calabria, nel dicembre 2016, decise di piazzare alcune decine di sbarcati. A nulla servirono le rimostranze dei gestori: i pullman arrivarono una sera all'improvviso, si trattava di «un'emergenza nazionale» e l'alternativa, probabilmente, sarebbe stata vedersi sequestrare la struttura. Di malavoglia la proprietà aprì le porte e, mandando via i turisti presenti, accolse «i poveri ragazzi fuggiti dalla guerra». I finti profughi dentro al Plaza, rimasero più di un anno, serviti e riveriti dai camerieri, comodamente alloggiati nelle belle stanze, eppure, mai contenti. «Rivendevano i vestiti e le scarpe che gli venivano forniti perché volevano vestirsi alla moda e acquistare i cellulari più moderni», racconta chi era presente, «ed evidentemente il modo di far soldi lo avevano trovato perchè giravano per il paese griffati fino ai capelli». A Natale «avevano organizzato una proteste perché volevano un extra per prepararsi per le feste», raccontano ancora i presenti e «in inverno se il riscaldamento non era acceso 24 ore al giorno incendiavano oggetti nelle camere per far scattare l'allarme», mentre «in estate usavano le docce di continuo e le vasche idromassaggio anche per lavare i vestiti, tanto che i motori si sono tutti bruciati in poco tempo, con un costo economico esorbitante oltre a tutta la roba che rubavano dalle camere».Esasperati dal comportamento dei giovanotti e sopraffatti dalle spese, a metà del 2018 i proprietari del Plaza chiudono i battenti. Ma dei 35 euro al giorno sganciati dagli italiani per ogni giovanotto e promessi dalla prefettura alla struttura alberghiera, trasformata in un vero e proprio centro d'accoglienza, nemmeno l'ombra. In questa storia, infatti, il lieto fine non è arrivato. Anzi, a quasi due anni di distanza i proprietari del Plaza non hanno incassato nemmeno un euro degli oltre 900.000 che avevano pattuito (già scontando alcuni servizi) con la prefettura e, a causa dei mancati pagamenti da parte dell'ente, sono stati costretti a chiudere anche un'altra struttura di loro proprietà. Il denaro mai versato doveva servire a coprire i costi del «servizio di accoglienza e dei servizi connessi ai cittadini stranieri richiedenti asilo erogati presso l'Hotel Plaza fino al 31 dicembre 2017», si legge nelle carte. Durante il periodo di gestione «a seguito dei mancati pagamenti» la gestione «non ha potuto far fronte ai propri impegni ed è stata sfrattata dall'hotel», che oggi risulta «in condizioni disastrose», mentre per i proprietari, in difficoltà economiche, non è possibile sistemarlo.Un pezzo di storia cancellato e un imprenditore sul lastrico, il personale rimasto senza lavoro e tanti creditori ancora in attesa. Anche questo è stata, in Italia, l'accoglienza.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/accoglienza-imposta-e-mai-visto-un-soldo-albergatore-rovinato-2629995689.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="voli-dalla-serbia-due-volte-al-mese-per-i-pendolari-dellaccattonaggio" data-post-id="2629995689" data-published-at="1758065088" data-use-pagination="False"> Voli dalla Serbia due volte al mese per i pendolari dell’accattonaggio Viaggiano in aereo, hanno casa a Bologna, ma fanno la questua per strada, fermando i passanti con la scusa dei figli malati, senza nulla da mangiare. sono i mendicanti di professione, quelli che vediamo per strada ad ogni semaforo, vestiti di stracci e con il cartello di cartone, molti dei quali, se non sono sfruttati, nascondono tesori inaspettati. Come i tre fermati, venerdì scorso, a Modena e sanzionati dalla Polizia locale, perché sorpresi a mendicare in una delle zone più trafficate della città. I tre, due uomini e una donna, si erano appostati, come evidentemente era loro abitudine, nei punti di maggior scorrimento del traffico ed esponevano ciascuno un cartello con la medesima scritta: «Vi prego aiutatemi ho due bimbi ho perso lavoro». I cittadini infastiditi dall'insistenza hanno segnalato la faccenda alla municipale, che ha cominciato a tenerli d'occhio, fino a quando venerdì scorso, sono stati fermati e identificati. E… sorpresa: nessun bimbo malato e nessuna storia tragica di vita. Semplicemente una banda che aveva trovato il modo di fare cassa senza lavorare. E pure con lauti guadagni a quanto sembra, visto che, nel momento in cui sono stati fermati, in poco meno di mezz'ora avevano raccolto dagli automobilisti oltre 20 euro. I tre sono risultati essere tutti di origine serba e con regolari documenti al seguito. Inoltre, da verifiche in banca dati, la municipale ha accertato che si tratta di veri «pendolari della questua». Il giorno precedente erano, infatti, giunti in Italia in aereo facendo scalo a Fiumicino, poi dopo aver, probabilmente, pranzato in santa pace, erano partiti da Roma in treno, pagando un regolare biglietto. Una volta arrivati a Bologna erano scesi e si erano diretti, per prepararsi al pomeriggio di lavoro al loro appartamento, regolarmente affittato (non certo a pochi spicci visto i prezzi delle locazioni nel capoluogo emiliano) e poi erano ripartiti alla volta di Modena. Sono stati loro stessi a raccontare candidamente di essere dei professionisti della questua, scaltri e ben organizzati. Essendo «Bologna una città dove ad elemosinare si subisce troppa concorrenza e i guadagni sono ridotti», hanno spiegato «ogni giorno veniamo in treno a Modena per fare l'elemosina», mentre la municipale ha anche accertato che il gruppetto è solito fare ritorno in patria, in Serbia, almeno un paio di volte al mese, sempre in aereo. I venti euro racimolati nella questua sono stati sequestrati e i tre sono stati sanzionati per violazione dell'articolo 48 del regolamento di polizia urbana che vieta raccogliere elemosine causando disturbo ai passanti. In Italia, la presenza dei finti mendicanti è all'ordine del giorno e i mezzi per impietosire i passanti sono i più diversi. A fine gennaio l'associazione italiana difesa animali ed ambiente aveva denunciato «un vero e proprio racket dei cani usati per le elemosine a Milano e nelle cittadine dell'hinterland». Si trattava di «un gruppo di circa 30 persone cittadini bulgari che si sposta di zona in zona e di città in città cambiando spesso i cani, tutti di razza e di proprietà di altri complici». Il gruppo è gestito da un nucleo di controllo che verifica anche che gli animali siano muniti quasi sempre di acqua e cibo per evitare le sanzioni per maltrattamento, ma «gli animali potrebbero essere drogati o comunque sedati in quanto dormono tutto il giorno», ha precisato l'associazione.