2018-05-18
Aborto forzato e botte alla moglie. Festa in stile islamico per le donne
A Padova algerina picchiata perché rifiuta la poligamia. Una ragazza di Verona, fidanzata con un italiano, trascinata in Pakistan dalla famiglia: «Hanno ucciso il mio bambino. Mio padre vuole che mi sposi qui».Ieri, sulla prima pagina di Repubblica, troneggiava un commento indignatissimo, firmato da Michela Marzano: «Fate silenzio, lo stupratore è italiano». La celebre filosofa se l'è presa perché i politici (in particolare Matteo Salvini) non hanno condannato lo stupro di gruppo compiuto da cinque uomini di Sorrento ai danni di una turista inglese, né hanno chiesto la castrazione chimica per i violentatori. «Non era stata forse unanime la condanna quando, nell'agosto 2017, quattro giovani nordafricani avevano aggredito una coppia di polacchi?», scrive la Marzano. «Dove sono finiti ora tutti coloro che si sono scandalizzati di fronte alle violenze sessuali commesse dagli stranieri?». Definire «aggressione ai danni di una coppia di polacchi» la scorribanda sanguinaria compiuta a Rimini da Guerlin Butungu e compari - i quali hanno anche stuprato e pestato selvaggiamente una transessuale - è per lo meno un eufemismo. Ma lasciamo correre. La filosofa, verso la fine dell'articolo, scrive alcune frasi interessanti. «C'è chi reagisce solo quando i colpevoli sono stranieri e tace di fronte ai crimini dei connazionali [...]. C'è chi esita, al contrario, a prendere la parola quando i colpevoli sono stranieri, per evitare forse di compromettere il processo di integrazione», spiega. E conclude affermando che bisogna «condannare i colpevoli di atti di barbarie indipendentemente dalla loro nazionalità». Sacrosanto. Peccato che la Marzano sia la prima a indignarsi soltanto se la violenza è italiana. C'è poi una riflessione che la signora evita di fare, forse perché non si tratta di elevatissima speculazione filosofica, ma solo di buon senso (ingrediente che spesso manca quando si discute di immigrazione). Se i politici di centrodestra si spendono di più per condannare gli stupri commessi da stranieri è proprio perché la gran parte dei media evita di parlarne. Soprattutto, giornalisti e intellettuali scansano come la peste ogni riferimento alla matrice culturale e religiosa delle violenze.Facciamo un paio di esempi, tratti dalla cronaca di questi primi giorni di Ramadan. Ieri, il Corriere del Veneto ha dato notizia di una vicenda raccapricciante. La protagonista è una donna algerina di 38 anni, sposata a un connazionale di 54 anni, Mohamed Abla, residente a Fontanaviva (Padova). Nel 2012, Mohamed ha spedito la moglie e i due figli in Algeria, sostenendo che lì i piccoli sarebbero «cresciuti meglio». La donna ha obbedito, ed è finita a vivere in un garage, accontentandosi dei 150 euro al mese che le passavano i parenti di lui. Mohamed, nel frattempo, aveva sborsato migliaia di euro per organizzarsi un secondo matrimonio (sempre con una algerina). Quando la prima moglie lo ha scoperto, nel 2013, è rientrata di corsa in Italia. Appena è arrivata, il marito le ha imposto di firmare - come previsto dalle leggi algerine - un documento in cui dichiarava di accettare la presenza di una seconda moglie. La donna si è rifiutata, e sono cominciate le angherie. Botte pesanti a cui seguivano ricoveri in ospedale; percosse inferte con astuzia, in punti coperti dagli abiti. E poi violenze psicologiche, umiliazioni come quella di fare la spesa e negare il cibo alla moglie riottosa. Fortuna che la trentottenne ha avuto il fegato di denunciare l'uomo, che ora è stato condannato a 2 anni e 3 mesi di reclusione e a una multa di 10.000 euro. Ovvio, ci sono anche troppi italiani che picchiano le mogli. Ma in questo Paese non esistono leggi che consentano la poligamia. Chi maltratta e stupra non è giustificato, anzi è considerato un vile criminale. La religione (per ora) più praticata aborrisce la violenza sulle donne. Nel Corano, invece, è scritto chiaramente che le mogli, se non obbediscono, si possono «battere». Ecco perché i politici di destra si scaldano di più in casi come questo. Perché nessuno ha il coraggio di dire che la cultura islamica gioca un ruolo non secondario in vicende simili. Lo stesso articolo del Corriere del Veneto che denunciava i maltrattamenti subiti dall'algerina precisava pure che l'islam «non prevede nulla di tutto questo». Ma davvero? Vediamo un'altra storia, altrettanto atroce. Riguarda Farah, una ragazza di 18 anni di origini pakistane. Viveva a Verona con la famiglia, si era innamorata di un italiano e ne era rimasta incinta. Aveva deciso di tenere il piccino, si era pure organizzata con la scuola per sostenere in anticipo l'esame di maturità. Ma la sua famiglia - a gennaio - ha deciso di trascinarla in Pakistan (dove ancora si trova) per farla abortire. La giovane è riuscita a informare le amiche italiane tramite Whatsapp: «Mi hanno fatto una puntura e hanno ucciso il mio bambino. Mio padre vuole che mi sposi qui», ha raccontato. «Mi hanno sedato, legato a un letto e costretto ad abortire». La Digos sta indagando, per ora si sa che la ragazza aveva già subito violenze in casa e per un periodo aveva vissuto in una struttura che accoglie donne brutalizzate. Ancora ieri, l'assessore ai Servizi sociali di Verona, Stefano Bertacco, spiegava che «non c'è nessuna volontà da parte della famiglia di lasciare libera la ragazza alla quale, a quanto ci è stato riferito, sono stati sottratti i documenti ed è costantemente sorvegliata dalla madre e dalla sorella». Storie come quella di Farah o come quella di Sana - venticinquenne di Brescia ammazzata sempre in Pakistan - nascono in un contesto preciso. Non dipendono da una generica «violenza maschile», ma sono frutto di una particolare concezione della donna. La stessa che hanno esibito i nigeriani che hanno martoriato e ucciso Pamela Mastropietro, la stessa di Butungu e di molti altri. Vero, anche qui esistono sacche di abiezione e orrore. Ma la maggioranza degli italiani le rifiuta e le combatte. Non si può dire lo stesso, purtroppo, di altre comunità presenti sul nostro territorio. Comunità che vengono sempre giustificate e difese, e non certo dai politici di destra.
Kim Jong-un (Getty Images)
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È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
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Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)