2022-03-02
L'Abcasia potrebbe rivelarsi una spina nel fianco di Putin
True
Negli ultimi due mesi l'autoproclamata Repubblica di Abcasia è stata caratterizzata da significative turbolenze interne: per Mosca si tratta di un campanello d'allarme.Mentre infuria la guerra in Ucraina, la Russia registra dei problemi anche nelle aree su cui esercita la propria influenza. E’ il caso, per esempio, della Repubblica dell’Abcasia: una realtà che è stata riconosciuta indipendente da Mosca nel 2008, ma che la Georgia considera al contrario un territorio occupato (contrari al riconoscimento russo dell’Abcasia si sono tra l’altro detti anche gli Stati Uniti e l’Unione europea: del resto, oltre Mosca, solo Venezuela, Siria, Nicaragua e Nauru la riconoscono a loro volta). Non è quindi un caso che Sukhumi abbia seguito pochi giorni fa Mosca, nel suo controverso riconoscimento delle repubbliche separatiste del Donbass. «Accogliamo con favore e consideriamo lecita la decisione del presidente della Federazione Russa di riconoscere la sovranità statale e l'indipendenza della Repubblica popolare di Donetsk e della Repubblica popolare di Lugansk», si legge in una nota del ministero degli Esteri abcaso del 22 febbraio scorso. «Un ulteriore sviluppo delle relazioni con le repubbliche è in discussione a livello di leadership del Paese. Siamo pronti per consultazioni con i rappresentanti delle repubbliche sui parametri per lo sviluppo delle nostre relazioni», concludeva il comunicato. In tutto questo, non va trascurato che, a novembre del 2020, Mosca e Sukhumi avessero siglato un accordo per creare uno spazio socioeconomico comune: una mossa che era stata fermamente condannata da Tbilisi. Va del resto ricordato che l’Abcasia sconti uno significativo isolamento internazionale: una circostanza che l’ha quindi portata ad avvicinarsi sempre di più alla Russia, il cui enorme potere contrattuale è (ovviamente) fuori discussione. Ebbene, proprio in Abcasia si sono verificate delle dure proteste alla fine dello scorso dicembre. In particolare, le forze di opposizione hanno criticato il presidente in carica, Aslan Bzhania. A finire nel mirino dei manifestanti sono soprattutto state due sue proposte: la de-nazionalizzazione del settore energetico e l’idea di vendere ai russi beni immobiliari. Le proteste si sono rivelate particolarmente significative, con i dimostranti che hanno inoltre chiesto la messa in stato d’accusa dello stesso Bzhania, invocando anche delle riforme istituzionali. In tutto questo, secondo una recente analisi della Jamestown Foundation, tra le cause di malessere figurerebbero altresì una «criminalità dilagante» e delle «gravi condizioni socio-economiche». La tensione si è poi parzialmente smorzata a seguito di una sorta di compromesso, ma la situazione generale continua a rivelarsi ricca di fibrillazioni. A fine gennaio, è infatti stata pubblicata una petizione contro il disegno di legge sugli agenti stranieri: una norma che, sempre stando alla Jamestown Foundation, risulterebbe caldeggiata da Mosca e che è stata invece severamente criticata da svariati settori della società civile locale. Non dimentichiamo che, nel momento in cui i disordini di fine dicembre sono esplosi, la crisi ucraina stesse già montando da svariate settimane. Non solo: a inizio gennaio si registrarono anche delle notevoli proteste in Kazakistan, che portarono il Cremlino a inviare 3.000 soldati in loco. Va da sé che queste fibrillazioni nello spazio d’influenza russo non costituiscano un segnale positivo per Mosca. Un problema che, con il detonare della crisi ucraina, potrebbe aggravarsi, mettendo in difficoltà Vladimir Putin.
Il valico di Rafah (Getty Images)
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa del 15 ottobre con Flaminia Camilletti