2022-03-11
A Versailles trionfa la retorica. Draghi affossa la Borsa, poi rimedia
Un vertice tra grandeur solo a parole, divisioni nei fatti e timori per l’economia. Non si sa come sostenere lo sforzo per la difesa né gli investimenti per l’energia. Il premier: «Si rischia la recessione» e Milano fa -4%.La sede del summit Ue, la reggia di Versailles, era stata immaginata per trasmettere un senso di eccezionale magnificenza e anche - ovviamente - per alimentare le ambizioni elettorali di Emmanuel Macron, per il quale queste settimane di esposizione in politica estera sono pure una vetrina a fini interni: anzi, per paradosso, quanto minore è stato il successo dei suoi tentativi di mediazione tra russi e ucraini, tanto maggiore è stato il beneficio che ne ha ricavato nei sondaggi rispetto a una destra francese tripartita e senza bussola. La guerra in corso ha reso il vertice ancora più atteso. Nelle intenzioni dell’Eliseo, tre sarebbero i dossier da chiudere oggi: il tema della difesa europea, quello di una minore dipendenza energetica dalla Russia, quello dell’economia.Come da copione, nella dichiarazione conclusiva la retorica sarà l’ingrediente principale. Nelle bozze che circolano già si legge, pomposamente, di «come l’Ue possa essere all’altezza della sua responsabilità in questa nuova realtà, proteggendo i nostri valori, le nostre democrazie, la sicurezza dei cittadini e il nostro modello europeo». E quindi, i conseguenti impegni: «maggiori responsabilità per la nostra sicurezza, intraprendere ulteriori passi decisivi verso la costruzione della nostra sovranità europea, la riduzione delle nostre dipendenze e la progettazione di un nuovo modello di crescita e investimento per il 2030».Dopo di che, passando dalle alate declamazioni euroliriche alla dura prosa della realtà, tornano divisioni antiche e tutt’altro che facili da comporre. Come sostenere lo sforzo per la difesa? Qualcuno spinge per uno strumento di debito comune, sulla linea di Next generation Eu; altri ritengono che invece il tema vada risolto nazione per nazione (e quindi senza eurobond o strumenti del genere). Stesso discorso per l’energia: tutti concordi per «eliminare gradualmente la nostra dipendenza dalle importazioni russe». Ma il tema di divisione è il «come» pagare i necessari investimenti: davanti a una stima di 70-75 miliardi annui aggiuntivi di spesa, alcuni insistono per un’iniziativa comune, altri ritengono che tutto vada affrontato nei Pnrr già in corso. Attenzione perché esiste anche una terza via (al solito, non simpatica per l’Italia): quella di consentire a ciascuno stato di dilatare la capienza del proprio Recovery plan. Peccato che Roma abbia già espanso al massimo la fisarmonica. Terzo elemento di divisione è l’Ucraina. A parole, tutti commossi, tutti uniti. Ma in realtà un’eventuale adesione formale all’Ue non è vista bene da molti, meno che mai in tempi ultra accelerati: e dunque c’è da immaginare un irrobustimento delle partnership in corso nell’ambito dell’accordo di associazione già esistente. Situazione analoga per Moldavia e Georgia: non ci si attende altro se non un «segnale politico sulla loro appartenenza alla famiglia europea» (Parigi parla vagamente di «inventare nuove forme di avvicinamento»: tutte perifrasi per dire che non ci saranno adesioni veloci).In ogni caso, ieri pomeriggio è stato il momento più scenografico per i 27: l’arrivo alla reggia, la foto, la prima plenaria sulla difesa, e poi la cena sull’Ucraina. Stamattina nuove sessioni plenarie su energia e economia.Mario Draghi, intanto, prima di volare da Roma a Parigi, ha lasciato cadere, in Consiglio dei ministri, una dichiarazione grave e cupa, dopo aver ascoltato le valutazioni di Giancarlo Giorgetti e Stefano Patuanelli sulle ripercussioni della guerra sull’economia: «Si rischia la recessione», ha chiosato il premier. Gli ottimisti diranno che è una realistica presa d’atto; i pessimisti che la realtà si rivelerà assai più dura di questa laconica ammissione. Sta di fatto che le parole del premier hanno indubitabilmente contribuito ad affossare la Borsa di Milano: meno 4% circa. E infatti, arrivato a Versailles, Draghi ha cercato di mettere una pezza allo strappo da lui stesso provocato: «La nostra economia non è in recessione, continua a crescere», ha attenuato. «Ciò che dobbiamo fare è affrontare subito queste strozzature, queste mancanze di materie prime». E ancora, con una palese genericità: «Il sostegno dell’economia dovrà essere una risposta europea e italiana. C’è stato un rallentamento della crescita, dobbiamo sostenere il potere d’acquisto delle famiglie con la stessa convinzione e rapidità con cui abbiamo sostenuto la risposta alla Russia». Il che consente a ciascuno di formulare valutazioni sull’efficacia di entrambe le azioni. Anche a Francoforte, infine, sembra esserci un divario tra le parole e le buie previsioni sul futuro. Christine Lagarde ha comunicato che la Bce ridurrà gli acquisti di titoli, ha allontanato - al momento - il rialzo dei tassi (rimasti invariati), e ha aggiunto che la ripresa di fondo resta solida. Peccato che le proiezioni Bce sul Pil dicano ben altro: 3,7% nel 2022, 2,8% nel 2023 e 1,6% nel 2024: insomma, un rattrappimento della crescita già da subito (dopo un biennio orribile, non dimentichiamolo mai), destinato addirittura ad accentuarsi nei prossimi due anni.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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