2018-08-06
A Londra i soldi della cricca Etruria. Scovati e persi 20 milioni di sterline
La banda di Flavio Carboni, la stessa che ha tentato la scalata alla banca di babbo Boschi, finisce al centro di un'inchiesta a Cagliari. I pm tracciano i flussi di denaro fatti espatriare, ma il malloppo è già sparito.La cricca dei massoni di Banca Etruria, quella che aveva cercato di scalare l'istituto ai tempi della vicepresidenza di Pier Luigi Boschi, stava provando a nascondere il malloppo e per tale ragione è finita in un'altra indagine, quella della direzione distrettuale antimafia di Cagliari. Il presunto capo della banda, Flavio Carboni, già condannato per il crac del Banco ambrosiano e, in primo grado, per la costituzione della P3, è stato rinviato a giudizio ad Arezzo nel maggio scorso. Con lui sono finiti alla sbarra anche l'allora braccio destro Valeriano Mureddu, lo storico collaboratore Riccardo Piana, la moglie Maria Laura Scanu Concas e altre sei persone, accusate, tra l'altro, di associazione per delinquere, bancarotta, riciclaggio e reati fiscali. Secondo gli inquirenti quasi mezzo milione di euro venne ripulito utilizzando un conto aperto presso Banca Etruria grazie ai buoni uffici di Pier Luigi Boschi e del figlio Emanuele.Nel procedimento era indagato anche il tributarista Lorenzo Dimartino, la cui posizione è stata stralciata e sottoposta all'attenzione della Procura di Napoli. Il nome di Dimartino è ben noto ai nostri lettori: fu lui a presentare l'offerta di acquisto per circa la metà delle azioni di Banca Etruria a nome di un fantomatico fondo del Qatar. Ora quattro degli indagati di Arezzo rischiano di finire a processo pure a Cagliari, dove il pm della Dda Guido Pani ha inviato a 11 persone l'avviso di chiusura delle indagini con l'accusa di associazione per delinquere e trasferimento fraudolento di valori. In Sardegna sono stati iscritti sul registro delle notizie di reato Carboni, Piana, Dimartino e la Scanu Concas, ma anche l'attuale compagna di Carboni, Antonella Pau, e il figlio del faccendiere, Diego, che negli atti di Arezzo erano citati ma non indagati. Carboni, per le toghe, «costituiva, organizzava e dirigeva il sodalizio», la Scanu Concas e la Pau «lo coadiuvavano» e Dimartino «forniva la propria «consulenza» professionale in complesse attività societarie aventi finalità fraudolente e si prestava a fare il prestanome».Le due Procure hanno indagato sullo stesso gruppo di persone per mesi, ma i pm di Cagliari hanno chiesto le rogatorie all'estero e quelli di Arezzo no. Risultato: sono saltati fuori milioni di sterline del presunto tesoro di Carboni, l'uomo che attraverso Dimartino aveva cercato di scalare Etruria nell'estate 2014. Un tentativo fatto grazie alle buone relazioni della banda con Lorenzo Rosi e Boschi, rispettivamente presidente e vicepresidente dell'istituto aretino. In Toscana nessuno approfondì quella sgangherata Opa per accertare chi si nascondesse dietro al fantomatico fondo Qvs del Qatar da cui era partita. In Sardegna, invece, l'autorità giudiziaria ha deciso di varcare i confini italiani per cercare di scoprire che cosa nascondesse Carboni oltre le Alpi.E le sorprese non sono mancate. Per esempio è emerso che l'ottantaseienne faccendiere, che al telefono (sapeva di essere intercettato?) piangeva miseria e negava di avere i soldi per comprare la colla per il parrucchino o per pagare le multe, in realtà poteva contare su milioni di euro. O meglio di sterline. Secondo i magistrati la banda per eludere eventuali sequestri e reimpiegare denaro frutto di riciclaggio, nel maggio 2014 aveva costituito, versando 10 milioni di sterline di capitale, la Exagon housing system poi rinominata Exagon graphene system e infine, il 22 gennaio 2016, Worldwide graphene limited. Nel marzo 2015, i due Carboni, Dimartino e la Scanu Concas avrebbero costituito la Gracom ltd (anche questa con un capitale sociale di 10 milioni di sterline). La Exagon graphene system, che avrebbe dovuto occuparsi di sfruttare alcuni brevetti per il grafene, un derivato del carbonio, venne frettolosamente ribattezzata a causa delle inchieste giornalistiche riportate poi nel libro I segreti di Renzi e della Boschi del direttore Maurizio Belpietro. Dopo lo scalpore mediatico, nel maggio 2016, Carboni curò «in prima persona» la costituzione della Italgraphene, con sede a Cagliari. Ma alla fine gli inquirenti hanno recuperato i 20 milioni di sterline trasferiti a Londra? Risponde il sostituto procuratore Pani: «Proprio trovati no. Però abbiamo dei dati». Che proverebbero che quei soldi sono stati depositati? «Così sembrerebbe». Si tratta di evidenze ottenute grazie alle rogatorie? «Abbiamo individuato il dato dei capitali versati attraverso informazioni raccolte all'estero».La banda, dal 2009 al 2016, secondo l'accusa, aveva intestato a dei prestanome auto, barche, polizze assicurative e quote societarie. Carboni aveva a disposizione una Mercedes cls, una Audi Q7, due Hummer (H1 e H2) e un gommone del valore di 65.000 euro. Nell'elenco dei beni fittiziamente intestati sono finite anche le quote della Itr srl, la società con sede in via Ludovisi 16, il celebre quartiere generale di Carboni dove si recarono anche Boschi e Rosi nel giugno-luglio 2014. In un'intercettazione registrata nell'inchiesta P3, l'indagato Riccardo Piana si vantava di essere il gestore di tutti i beni di Carboni: «Lui, che piaccia o no, resta ancora soprannominato il viceré della Sardegna (…) Erano 125 società prima del casino (il crac del Banco ambrosiano, ndr), ora l'unica cosa è svincolare i capitali immensi che ha bloccato in giro per il mondo».A Cagliari, forse, hanno trovato una traccia del tesoro.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.