
Scordatevi lo stipendio garantito facendo il cameriere, l'impiegato, il postino o l'autista. Questi mestieri saranno automatizzati. Meglio fare il medico, l'insegnante o il «sussurratore degli automi», che insegnerà alle macchine come interagire con gli umani.Se state valutando di divorziare dalla routine, di riabbracciare la terra per improvvisarvi contadini, lasciate perdere. Non avreste un futuro fertile. Se coltivate tentazioni professionali nostalgiche come proiettare film al cinema o riparare orologi, meglio rinunciare finché c'è tempo. E se siete ancora giovani, se pensate che un domani diventando segretari, camerieri, postini o autisti, uno stipendio lo racimolerete comunque, vi sbagliate e parecchio. Anzi, lo stesso vale per impieghi come l'arbitro (già, la Var in campo è giusto l'antipasto del fischietto robot) o il cartografo.È quasi certo che tanti di questi mestieri saranno automatizzati e gestiti per la maggior parte da braccia meccaniche, cervelli di chip, programmi di computer. Saranno preponderanti in settori come l'agricoltura, le costruzioni, i trasporti. Accadrà in una finestra ampia, da qui ai prossimi 15 anni, ma con ferite e ricadute nell'occupazione immediate. Il gruppo The European House-Ambrosetti stima in 3,2 milioni i lavoratori a rischio in Italia entro il 2033. Da oggi fino al 2023 saranno circa 130.000 l'anno, poi il decollo: dal 2029 in poi, quasi 290.000 ogni 12 mesi. E non è lo scenario più nefasto: un'analisi meno conservativa arriva a preconizzare oltre 4,3 milioni di posti automatizzati nel Belpaese in tre lustri. Soprattutto nell'industria manifatturiera e nel commercio.Meglio puntare a fare il veterinario, l'insegnante o lo psicologo; promossi il parrucchiere o il truccatore, insomma qualsiasi compito richieda d'instaurare un rapporto empatico con altre persone, i loro figli o i loro animali domestici. In alternativa, si può imparare a comandare: la supervisione, per il carico di responsabilità che ne derivano, rimarrà una nostra prerogativa. Ultima ratio, farsi prete: a un androide che predica precetti sulla salvezza dell'anima, davvero non crederebbe nessuno.Ecco l'evoluzione di lungo periodo della specie lavoro. Sulla quale concordano studi dell'Ocse e l'Università di Oxford. Qui è stato scritto il saggio Il futuro dell'impiego: come i lavori sono suscettibili alla computerizzazione?, preso come modello di riferimento per la sua appendice, in cui elenca quali mestieri finiranno sotto lo scettro delle macchine, quali sopravvivranno all'imporsi dell'intelligenza artificiale. Usando, per stilare la lista, «ovviamente un algoritmo basato sul machine learning». L'ironia la rilevava il settimanale The Economist qualche mese fa: in sostanza, le conclusioni del documento poggiano sulle sentenze di un computer, che dalla valutazione dei progressi tecnologici attuali e potenziali, si è eretto a giudice (e carnefice) delle sorti dell'occupazione umana.«Nei lavori che richiedono un dominio specifico di competenze e molta ripetizione, potremo essere sostituiti» riassume Riccardo Zecchina, professore ordinario di fisica teorica all'università Bocconi e tra i principali esperti di machine learning. La norma, comunque, lascia spazio all'eccezione: «Esistono già direttori d'orchestra robot, ma vogliamo che sia un uomo a salire sul podio. E lo stesso vale per le sfere in cui c'è un'identificazione che prescinde dal risultato, dall'efficacia pura di una prestazione». Lampi di speranza che si allargano agli atleti, ai quali vogliamo attaccare addosso una storia di riscatto, caduta o ripartenza; al farmacista che ci rassicura, al dietologo o all'allenatore che ci spronano a credere in noi stessi, al terapista di coppia che invita a riprovarci. Che potrà mai saperne un microchip del caos dell'amore?«In generale», continua Zecchina, «tutte le professioni evolveranno, perché avranno più dati a disposizione. Prendiamo i medici: alcuni si limiteranno alle diagnosi, con l'ausilio delle macchine; altri si dedicheranno ai rapporti con i pazienti, per cui rappresentano un appiglio psicologico non rimpiazzabile». Come meno a rischio sono le sfere della creatività (architetto, fashion designer, art director), del ragionamento e della speculazione (fisico, ingegnere e scienziato politico). Sono tutti validi antidoti al disfattismo, alla mannaia dell'inevitabile. Mentre il farmaco per curare i mali dell'automazione è l'istruzione: «Anche le facoltà umanistiche», ragiona Zecchina, «dovranno includere una base di matematica. Spiegando agli studenti come funziona l'apprendimento automatico. Bisogna colmare la frattura tra una scienza che procede velocissima e una nuova generazione che non deve ritrovarsi spiazzata da questa corsa in avanti». A soccorrerla, potrebbero provvedere i computer stessi: in un recente articolo del New York Times si racconta di software capaci di individuare in automatico i candidati più adatti a un lavoro in base alle informazioni presenti sul loro profilo Linkedin. Anche per professioni per le quali non solo non si erano proposti, ma non sapevano nemmeno di essere portati: è stato il programma a valutare competenze per arruolarli.In parallelo, resisterà una quota di mansioni tradizionali e ne nasceranno d'inedite. Nel rapporto Creazione del lavoro e sviluppo economico locale dell'Ocse pubblicato lo scorso settembre, si legge che regioni come la Lombardia, il Molise e la Basilicata sono avanti alle altre nel generare occupazioni a minor rischio d'automazione, come i docenti o i professionisti nella scienza e nell'ingegneria. Mentre il World economic forum sottolinea che, da adulto, il 65 per cento degli attuali studenti delle scuole primarie farà un lavoro che oggi ancora non esiste: sotto l'ala della tecnologia verranno battezzati mestieri come il sommelier sintetico, che orchestra e valuta il sapore dei cibi ottenuti in laboratorio; esperti di etica per veicoli autonomi, che stabiliscono i principi con cui dovranno comportarsi in strada le auto che si guidano da sole. O i criptodetective, che indagano sulle truffe commesse con valute digitali.Un corposo elenco degli incarichi di domani l'ha stilato Rohit Talwar, autore del libro Il futuro del business. In cui teorizza come un altro nostro compito chiave sarà quello di trasformarci in «robot whisperer», in sussurratori dei robot: addetti retribuiti per insegnare alle macchine come interagire con gli umani in vari contesti sociali, per esempio in un negozio o in un ristorante. Non saremo più commessi o camerieri, ma almeno i Cyrano di chi prenderà il nostro posto.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Fu il primo azzurro a conquistare uno Slam, al Roland Garros del 1959. Poi nel 1976, da capitano non giocatore, guidò il team con Bertolucci e Panatta che ci regalò la Davis. Il babbo era in prigionia a Tunisi, ma aveva un campo: da bimbo scoprì così il gioco.
La leggenda dei gesti bianchi. Il patriarca del tennis. Il primo italiano a vincere uno slam, il Roland Garros di Parigi nel 1959, bissato l’anno dopo. Se n’è andato con il suo carisma, la sua ironia e la sua autostima Nicola Pietrangeli: aveva 92 anni. Da capitano non giocatore guidò la spedizione in Cile di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli che nel 1976 ci regalò la prima storica Coppa Davis. Oltre a Parigi, vinse due volte gli Internazionali di Roma e tre volte il torneo di Montecarlo. In totale, conquistò 67 titoli, issandosi al terzo posto della classifica mondiale (all’epoca i calcoli erano piuttosto artigianali). Nessuno potrà togliergli il record di partecipazioni (164, tra singolo e doppio) e vittorie (120) in Coppa Davis perché oggi si disputano molti meno match.
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Il presidente Gianni Tessari: «Abbiamo creato una nuova Doc per valorizzare meglio il territorio. Avremo due etichette, una per i vini rifermentati in autoclave e l’altra per quelli prodotti con metodo classico».
Si è tenuto la settimana scorsa all’Hotel Crowne Plaza di Verona Durello & Friends, la manifestazione, giunta alla sua 23esima edizione, organizzata dal Consorzio di Tutela Vini Lessini Durello, nato giusto 25 anni fa, nel novembre del 2000, per valorizzare le denominazioni da esso gestite insieme con altri vini amici. L’area di pertinenza del Consorzio è di circa 600 ettari, vitati a uva Durella, distribuiti sulla fascia pedemontana dei suggestivi monti della Lessinia, tra Verona e Vicenza, in Veneto; attualmente, le aziende associate al Consorzio di tutela sono 34.
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
Un mio profilo è stato cancellato quando ho pubblicato dati sanitari sulle pratiche omoerotiche. Un altro è stato bloccato in pandemia e poi eliminato su richiesta dei pro Pal. Ne ho aperto un terzo: parlerò dei miei libri. E, tramite loro, dell’attualità.
Se qualcosa è gratis, il prodotto siamo noi. Facebook è gratis, come Greta è pro Lgbt, pro vax, anzi anti no vax, e pro Pal. Se sgarri, ti abbatte. Il mio primo profilo Facebook con centinaia di migliaia di follower è stato cancellato qualche anno fa, da un giorno all’altro: avevo riportato le statistiche sanitarie delle persone a comportamento omoerotico, erroneamente chiamate omosessuali (la sessualità è una funzione biologica possibile solo tra un maschio e una femmina). In particolare avevo riportato le statistiche sanitarie dei maschi cosiddetti «passivi».






