2023-02-28
Toh, adesso gli Usa incolpano la Cina: «Virus fuoriuscito dal laboratorio»
Lo scontro con il Dragone si infiamma e il dipartimento dell’Energia americano cambia idea: «Pandemia probabilmente nata dagli esperimenti a Wuhan». Test finanziati anche dall’ente all’epoca guidato da Anthony Fauci.Sbaglia chi ritiene che a questo punto, dopo 6,7 milioni di decessi per e con Covid, qualsiasi tesi riguardo l’origine del coronavirus sia ormai ininfluente: un rapporto aggiornato del dipartimento dell’Energia americano ha rivisto le valutazioni sulle origini del Covid, riaccendendo i riflettori sui rapporti tra Cina e Stati Uniti, già ai minimi termini a causa della guerra in Ucraina e delle tensioni sul controllo di Taiwan. E proprio ora, mentre lo scontro con Pechino si acuisce, dalla parti di Washington prende piede l’ipotesi della fuga del virus dal laboratorio, prima bollata come eresia complottista. Il rapporto, riportato in esclusiva dal Wall Street Journal e ripreso dal New York Times, ha identificato l’Istituto di Virologia di Wuhan come probabile fonte del coronavirus, smentendo quindi la teoria che sia stato originato da un salto di specie avvenuto in un mercato della cittadina cinese. A stilarlo è stato l’Office of Intelligence and counter-intelligence del dipartimento dell’Energia Usa, una delle 18 agenzie governative che compongono la comunità dei servizi segreti americani, che in precedenza aveva dichiarato di non avere certezze su come si fosse sviluppato il virus. La conclusione del dipartimento è il risultato di nuove informazioni «ed è significativa - scrive il Wsj - perché l’agenzia ha una notevole esperienza scientifica e supervisiona una rete di laboratori nazionali statunitensi, alcuni dei quali conducono ricerche biologiche avanzate». Inoltre, già dal 2021, anche l’Fbi è giunto alla conclusione che la pandemia è stata probabilmente il risultato di una fuga di laboratorio. La risposta di Pechino non si è fatta attendere: la portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning ha invitato a «smettere di sollevare affermazioni su fughe di laboratorio, di diffamare la Cina e di politicizzare la questione della tracciabilità dell’origine del Covid-19». C’è però un passaggio delle dichiarazioni della portavoce cinese che rischia di avere conseguenze non soltanto sulle relazioni Usa-Cina ma anche sulla carriera di Anthony Fauci, deus ex machina della gestione pandemica a livello globale, che potrebbe essere «sacrificato» sull’altare della ragion di Stato americana per screditare la Cina. Mao infatti, nel difendere il suo Paese dalle accuse del Dipartimento Usa, ha ricordato in particolare la conclusione «autorevole e scientifica» raggiunta dopo una missione dell’Oms a Wuhan di inizio 2021, che aveva stabilito che l’ipotesi della fuga dal laboratorio era «altamente improbabile». Di quella missione dell’Oms faceva parte, però, proprio una vecchia conoscenza di Anthony Fauci, lo zoologo britannico Peter Daszak, presidente dell’ong EcoHealth Alliance. Gli scambi via email tra Daszak e Fauci, ottenuti dal Congresso grazie al Foia (Freedom of Information Act), constano di ben 3.200 pagine: eppure, interrogato a ottobre 2022 nel processo in Missouri intentato dagli scienziati contro Joe Biden per disinformazione, Fauci - che ha sempre negato la fuga di laboratorio - dirà di conoscere Daszak a stento. Così poco che il suo Istituto, il Nih/Niaid, gli ha dato «solo» 23,4 milioni di euro per effettuare ricerche sui coronavirus, finanziamenti rinnovati ad aprile 2020. Daszak ha poi subappaltato parte dei suoi grants al professor Ralph Baric dell’Università della North Carolina e proprio all’Istituto di Wuhan, per poi essere selezionato come membro del team dell’Oms in Cina per «indagare» sulle origini del Covid, ossia su se stesso: capolavoro. Non solo: secondo il senatore Rand Paul, «Daszak, insieme con Shi Zengli, ricercatrice dell’Istituto di Virologia a Wuhan, costruiva nuovi coronavirus nell’ambito di una ricerca gain-of-function», controverso metodo di ricerca scientifica che prevede la manipolazione di agenti patogeni per potenziare i virus, rendendoli però potenzialmente pericolosi per l’uomo. Questo tipo di ricerca è stata vietata in America da ottobre 2014 a dicembre 2017, e anche Donald Trump l’ha definanziata. Le responsabilità di Fauci sarebbero rilevanti: avrebbe consentito di aggirare la moratoria su quel tipo di ricerca vietata esponendo, in nome della scienza, la popolazione mondiale al rischio di ciò che poi sembra essere successo, ossia l’incidente di laboratorio.Altre evidenze incrociate, raccolte in Senato, sembrano confermare che Fauci, all’epoca consulente scientifico di Joe Biden, oggi in pensione, sapesse fin dall’inizio ciò che l’Fbi dice dal 2021 e il Dipartimento dell’Energia Usa ha confermato l’altro ieri, ossia che il virus viene da una fuga di laboratorio. Il 31 gennaio 2020 il ricercatore californiano Kristian Andersen gli aveva scritto che il virus «appare ingegnerizzato e non è compatibile con la teoria evolutiva». Il 1 febbraio 2020 il virologo Robert Garry aveva inviato una mail ricapitolativa a Fauci spiegando che l’origine naturale del virus era praticamente impossibile. Lo stesso giorno, Fauci aveva convocato d’urgenza, via email, il suo vice Hugh Auchincloss, allegando un documento su Ralph Baric: «Dobbiamo parlare della ricerca gain-of-function». Già prima dello scoppio della pandemia in Europa, quindi, Fauci sa che la storia del pangolino propagandata da tutti i media occidentali (e guai a chi la negava, pena l’accusa di «complottismo») non era verosimile. Ma dirlo gli avrebbe compromesso la carriera (e forse non soltanto la sua). Parafrasando la spiegazione della teoria del caos, è proprio vero che basta che una farfalla batta le ali a Wuhan, magari facendo cadere a terra una provetta in laboratorio, perché a Washington arrivi la pioggia anziché il sole. E che pioggia: si direbbe una tempesta.