2019-11-19
Una luce sulla sorte di Silvia Romano. È viva, ma in mano a milizie jihadiste
La cooperante rapita un anno fa è prigioniera del gruppo qaedista Al Shabaab. Secondo fonti della «Verità» sta bene e si trova nel Sud della Somalia. E, anche se nessuno lo ammette, per salvarla servirà un riscatto.È passato un anno esatto dal rapimento della ventiquattrenne cooperante milanese Silvia Romano in Kenya. Era il 20 novembre 2018. La buona notizia è che due diverse e autorevoli fonti hanno confermato alla Verità che la ragazza risulta viva e tutto sommato in buona salute. La brutta è che è ancora prigioniera in Africa. Ieri le agenzie di stampa hanno confermato le voci che in modo ufficioso giravano da tempo e cioè che la giovane è prigioniera in Somalia di Al Shabaab (letteralmente I giovani), un gruppo terroristico affiliato ad Al Qaeda, che proprio nel Corno d'Africa ha iniziato la sua storia stragista. A rafforzare questa ipotesi sono stati gli elementi raccolti dal Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri, coordinato dal sostituto procuratore di Roma Sergio Colaiocco, dopo la trasferta in Kenya dell'agosto scorso, in cui è stato possibile raccogliere e analizzare i documenti messi a disposizione dalle autorità kenyote. A confermare che la prigioniera sia viva ci sarebbe anche una sua foto abbastanza recente fatta pervenire in Italia.Gli inquirenti italiani starebbero ora valutando l'ipotesi di inviare una rogatoria internazionale alle autorità somale. Parallelamente, nel Paese africano, sta lavorando anche la nostra intelligence per riportare a casa Silvia. Ovviamente, anche se nessuno lo confermerà mai, molto probabilmente bisognerà pagare un riscatto. Ma per farlo in sicurezza occorre trovare i canali giusti ed è questo a cui si sta lavorando. Altre fonti ci spiegano che Al Shabaab (che incassa milioni di euro solo con il racket a Mogadiscio) non sarebbe (solo) alla ricerca di denaro, ma sarebbe interessata a incassare un risultato «politico». Per questo la ragazza verrebbe trattata con un certo riguardo. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella da tempo sta seguendo in prima persona questa vicenda e si è raccomandato che vengano fatti tutti gli sforzi possibili per liberare la volontaria. Purtroppo un ostaggio giovane è considerato un bene particolarmente prezioso dai terroristi che sanno benissimo quale strumento di pressione, anche a livello mediatico, possa essere una volontaria poco più che ventenne nelle mani di spietati assassini. A quanto risulta alla Verità la Romano, a parte qualche problema legato all'alimentazione e all'acqua, sarebbe in condizioni fisiche discrete. Qualcuno ha scritto che la Romano sarebbe stata costretta a convertirsi alla religione musulmana per consentirle di diventare moglie di uno dei suoi carcerieri. La Verità ha ricevuto informazioni discordanti sul punto. A indagare sul rapimento in territorio somalo è l'Alta corte dello Stato del South West della Somalia. Infatti la ventiquattrenne lombarda si troverebbe tra Merca e Brava. La città più vicina alla sua prigione è Merca, porto sull'Oceano indiano, 75 chilometri a Sud della capitale Mogadiscio. È il capoluogo della regione del Basso Scebeli e la sua popolazione ammonta a circa 350.000 abitanti. Le forze di polizia e gli inquirenti somali la avrebbero localizzata a una ventina di chilometri da Merca, nei dintorni di Janale, tra la costa e il deserto. Si tratta di un'area agricola, lungo il fiume Shabelle. Il presidente dell'Alta corte è Alì Ahmed Musse, magistrato della Corte federale. A luglio i giudici locali hanno avviato misure preventive contro una ventina di persone, con l'obiettivo di trovare e sequestrare il denaro che è stato fatto circolare durante i passaggi dell'ostaggio da una banda all'altra. Uno dei sospettati, per esempio, con la sua parte avrebbe acquistato un taxi, mentre un altro soggetto è stato arrestato su ordine dei servizi segreti somali e si trova nella prigione di Baidoa, la capitale del South West. La ragazza era inizialmente stata rapita da criminali comuni nel villaggio di Chakama, in Kenya. A Malindi è in corso un processo ai primi sequestratori. Il giudizio nei confronti di tre degli otto membri della banda che ha rapito Silvia - Moses Luwali Chembe, Abdalla Gababa Wario (l'unico tuttora in carcere) e Ibrahim Adan Omar - è stato recentemente rinviato, questa volta perché Adan Omar, in libertà su cauzione (circa 26.000 euro), non si è presentato all'udienza del 14 novembre e i giudici lo hanno dichiarato latitante. L'uomo, trentacinquenne insegnante di religione islamica originario della Somalia, era stato trovato in possesso di una delle armi usate nel blitz nel villaggio di Chakama, dove era impegnata Silvia, con l'associazione Africa Milele (onlus di Fano), in progetti per l'infanzia. Il viceministro degli Esteri, Emanuela Del Re, durante una sua recente visita in Kenya, aveva ribadito che la collaborazione tra i rispettivi Paesi non si è mai fermata. Peccato che le autorità del Paese africano, a poche ore di distanza, si siano fatte sfuggire l'imputato considerato più pericoloso. Negli ultimi tempi in molti si erano lamentati per la totale mancanza di notizie sul caso. Giuseppe Civati, leader di Possibile, che segue dall'inizio la vicenda, in un tweet aveva scritto: «Credo sia doveroso che a un anno di distanza ci sia una comunicazione ufficiale del nostro esecutivo sulla situazione di Silvia Romano. Troppe le voci ufficiose, troppe le mezze verità, troppi i pettegolezzi». Ieri nel muro di silenzio si è aperta una piccola crepa.