2025-07-23
Una legge non serve. Il suicidio assistito scelto da Laura Santi sconfessa i radicali
I fan della Coscioni strepitano per normare la pratica. In realtà sono stati superati dai giudici che hanno dato l’ok al protocollo.«Ricordatemi come una donna che ha amato la vita». Poi se l’è tolta, l’ha disprezzata al punto da autosomministrarsi il farmaco letale. E ha corredato la più ambigua delle decisioni con una stupenda fotografia che la vede armata di un sorriso contagioso, solare, come se la morte fosse una spiaggia caraibica o un tramonto dolomitico. Lo spot a colori del suicidio assistito. È questa la fine di Laura Santi, giornalista affetta da 25 anni da una forma progressiva e avanzata di sclerosi multipla, che ha spento la luce sulla propria esistenza lunedì nell’abitazione di Perugia, assistita e accompagnata fin sulla soglia dell’ultimo viaggio dal marito Stefano.L’associazione Luca Coscioni, guidata da Marco Cappato, ha utilizzato la vicenda con il consueto (e agghiacciante) trionfalismo mediatico anche perché Laura, 50 anni, era consigliera generale e appassionata attivista, convinta della legittimità morale della buona morte. Nel 2022, in conseguenza di un aggravamento della malattia, aveva fatto richiesta di accedere al suicidio assistito (nona in Italia, prima in Umbria) e aveva cominciato l’iter necessario previsto dalla legge, dopo la depenalizzazione da parte della Corte costituzionale (storica sentenza 242 del 2019) dell’articolo 580 del Codice penale. Lo snodo è sempre lo stesso e con quella decisione la Consulta ha di fatto aperto la porta all’eutanasia.Per ottenere la «non punibilità» di chi agevola l’altrui suicidio, sono fondamentali quattro pilastri: la capacità di autodeterminazione del malato, la presenza di una patologia irreversibile, l’afflizione per sofferenze fisiche o psicologiche reputate intollerabili, la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale. Alla Santi mancava quest’ultimo requisito (lei non dipendeva da una macchina per sopravvivere) e la Asl di Perugia, in un primo momento, le ha negato l’autorizzazione. Ma dopo diffide, denunce civili e penali, la Corte costituzionale ha accettato il suo ricorso e le ha adattato la sentenza 135/2024 come si fa con le giacche troppo strette di spalle.Eccola, pronunciata dalla Consulta davanti a Laura, presente ad ogni udienza. «Alcune procedure che si rivelino in concreto necessarie ad assicurare l’espletamento di funzioni vitali del paziente, al punto che la loro omissione o interruzione determinerebbe prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo, dovranno certamente essere considerate quali trattamenti di sostegno vitale». Quindi anche il suo catetere.A questo punto è singolare la continua protesta radicale sull’assenza di una legge sul fine vita che sia al tempo stesso un’autostrada verso il Nulla. In realtà è come se ci fosse, plasmata con il pongo dai giudici e non dal Parlamento. Lo conferma l’atto finale di questo caso. Sotto il pressing dei Cappato boys, lo scorso novembre la richiesta di Laura Santi di darsi la morte era stata, infine, accolta dall’Asl perugina, che da allora non le aveva più comunicato né i tempi né le modalità per ricorrere al suicidio assistito. Da qui la minaccia di andare in Svizzera a farla finita. E il mese scorso ecco il via libera con il protocollo farmacologico. Il farmaco e le strumentazioni sono stati forniti dall’Asl mentre il personale medico e infermieristico è stato attivato su base volontaria.La vicenda ha immediatamente assunto un significato politico, sottolineato anche dalle parole d’addio della donna: «Sul fine vita sento uno sproloquio senza fine, l’ingerenza cronica del Vaticano, l’incompetenza della politica. Il disegno di legge che sta portando avanti la maggioranza è un colpo di mano che annullerebbe tutti i diritti». La strumentalizzazione galoppa. Chi realmente dà valore alla vita e alla dignità dell’uomo viene definito incompetente. E un’autorità morale come la Chiesa è liquidata come pericolosamente intrusiva. Tutto ciò proprio nei giorni in cui arriva al Senato il disegno di legge per regolamentare la materia dopo le spallate dei giudici.Mentre il sorriso finale di Laura si ammanta di malinconia, va ricordato che l’eutanasia in Italia è ancora formalmente reato e che la Corte costituzionale - tirata per la giacchetta dall’Associazione Coscioni a pranzo e a cena - lo ha dichiarato non punibile dentro un perimetro granitico, dove stanno di casa le eccezioni. Non esiste un diritto generale, non esiste servizio sanitario obbligatorio come vorrebbero far intendere i pronunciamenti regionali, soprattutto quello della Toscana. «Questo è il giorno del silenzio, abitato dal dolore per lo spreco che la morte porta con sé e dalla riconoscenza per il tratto di strada condiviso», ha commentato l’arcivescovo di Perugia, monsignor Ivan Maffeis.La nuova legge punta ad aggiungere sulle cure palliative obbligatorie perché «il paziente va curato e non spinto verso il baratro» (papa Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco). La sfida della medicina moderna non è uccidere ma accompagnare la sofferenza con la dignità umana. Una frase di Laura Santi lascia interdetti: «Ho potuto vincere la mia battaglia». In realtà l’ha persa, scegliendo la più terribile delle scorciatoie.
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