L'ambasciatrice della Repubblica d'Armenia Victoria Bagdassarian risponde alla lettera del collega dell'Azerbaijan in Italia del 21 gennaio scorso. «Distorce tutta l'essenza del conflitto del Nagorno Karabakh».
Il conflitto del Nagorno Karabakh (Artsakh) è scoppiato negli ultimi anni dell'esistenza dell'Urss, a seguito dell'aggressione dell'Azerbaijan contro gli armeni del Nagorno Karabakh al fine di contrastare la loro decisione di esercitare il proprio diritto all'autodeterminazione. Le autorità dell'Azerbaijan hanno contrastato le manifestazioni pacifiche del popolo del Nagorno Karabakh con violenze organizzate contro la popolazione armena in numerose città dell'Azerbaijan. I primi pogrom ai danni della popolazione armena furono perpetrati nel febbraio 1988, esclusivamente su base etnica, nella città azera di Sumgait, ma poi anche a Baku e in altre città dell'Azerbaijan.
Gli armeni di Baku non costituivano alcuna minaccia per l'Azerbaijan, per le sue autorità o per le sue forze politiche e avevano solo il desiderio di continuare a vivere nella terra dove erano nati loro e i loro antenati e dove gli armeni avevano vissuto per secoli, facendo parte integrante della vera immagine multiculturale della città. Tuttavia, le atrocità commesse 30 anni fa contro la popolazione civile della capitale dell'Azerbaijan ancora oggi non sono state condannate. Inoltre, persino quelle poche voci che hanno avuto il coraggio di menzionare la tragedia inflitta agli armeni di Baku nelle opere letterarie sono state messe alla gogna e ufficialmente dichiarate traditori. Ancora oggi, gli esecutori dei massacri delle persone indifese sono considerati eroi dell'Azerbaijan e i loro crimini – una delle pagine gloriose della lotta per la sovranità e per l'integrità territoriale dell'Azerbaijan. Purtroppo, anche 30 anni dopo, le atrocità commesse contro la popolazione armena di Baku sono utilizzate dalle autorità azere ai fini della propaganda anti-armena.
Le autorità di Baku presentano gli eventi del 20 gennaio e dei giorni precedenti come il risultato delle provocazioni da parte degli armeni facendo, così, un tentativo di insabbiare i crimini e le atrocità di massa organizzate dalle autorità, che sono state confermate anche da diversi politici e funzionari azeri. Come, per esempio, il Vice Presidente del Fronte popolare dell'Azerbaijan, Etibar Mamedov, che in un'intervista rilasciata nel 1990 a Mosca, aveva dichiarato che i pogrom degli armeni erano stati organizzati dalle autorità dell'Azerbaijan per far fallire le elezioni politiche in cui avrebbe vinto il Fronte popolare dell'Azerbaijan.
Il direttore del centro per i diritti umani Eldar Zeynalov nel gennaio del 1990 aveva detto: "Spesso Baku veniva e viene definita come "la città dell'amicizia internazionale", io la definirei invece come "la città dell'amicizia internazionale spezzata" perche' ormai a distanza di quattro anni dai vergognosi pogrom degli armeni, nelle strade della città non si sente più la lingua armena".
Arif Yunusov, ex-membro del Fronte popolare dell'Azerbaijan, difensore dei diritti umani emigrato dall'Azerbaijan per motivi politici, che nel 1992-1993 era il capo del Dipartimento informativo-analitico dell'amministrazione del presidente dell'Azerbaijan, il 20 gennaio 2018, in un'intervista rilasciata al canale televisivo azero "Obiettivo" che va in onda solo online, ha affermato che i pogrom degli armeni a Baku e il "gennaio nero" furono organizzati proprio su indicazione di Heydar Aliyev per creare condizioni favorevoli e per permettergli successivamente di venire al potere.
Il Capo del Comitato della Sicurezza statale dell'Azerbaijan, Vagif Huseynov, invece aveva affermato che i disordini a Baku furono organizzati con molta cura da parte del "Fronte nazionale".
Credo che questi fatti parlino da soli.
I massacri degli armeni sono diventati parte integrante della politica dell'Azerbaijan e hanno scatenato la guerra con l'unico obiettivo: quello di annientare la popolazione armena del Nagorno Karabakh.
L'Azerbaijan falsa completamente l'essenza e le cause alla radice del conflitto e cerca costantemente di presentare il problema come una disputa territoriale tra l'Armenia e l'Azerbaijan, un approccio che ostacola gli sforzi dei mediatori per la soluzione pacifica del conflitto. Per quanto concerne le 4 Risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu adottate nel 1993 citate dall'Ambasciatore dell'Azerbaijan, devo dire che Risoluzioni sollecitavano, in via primaria e incondizionata, la cessazione delle ostilità, non sono state attuate proprio dall'Azerbaijan. Con riferimento all'Armenia le Risoluzioni, attuate interamente dall'Armenia, chiedevano al Governo della Repubblica d'Armenia soltanto di "continuare a esercitare la sua influenza" sugli armeni del Nagorno-Karabakh al fine di cessare le ostilità. Fu grazie all'intervento dell'Armenia, infine, che fu reso possibile l'accordo di tregua trilaterale firmato tra l'Azerbaijan, il Nagorno-Karabakh e l'Armenia. È ovvio, quindi, che sono proprio le autorità dell'Azerbaijan a non aver mai attuato le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, comprese quelle sul mantenimento delle norme umanitarie. Ne è una prova evidente anche la guerra dei quattro giorni dell'aprile 2016 scatenata dall'Azerbaijan.
Per quanto riguarda la tesi sul modello di multiculturalismo dell'Azerbaijan avanzata dall'Ambasciatore, ritengo doveroso ricordare la distruzione barbara da parte dell'Azerbaijan, nel 2005, di un intero patrimonio culturale ameno, quello delle pietre-croci medievali, i khatchkar, del cimitero di Jugha in Nakhijevan.
È spiacevole constatare che le autorità azere portino avanti una propaganda anti-armena mirata, radicalizzando la società azera e cercando di unirla nella cosiddetta lotta contro il nemico comune. È solo attraverso l'educazione dei popoli alla pace che è possibile arrivare alla soluzione del conflitto e stabilire la pace duratura.
La parte azera segue uno schema tipico per i criminali e incolpa le vittime stesse del crimine negando la propria responsabilità per il massacro della popolazione pacifica condotto in maniera pubblica e sistematica in tempo di pace. Ciò sottolinea, ancora una volta, che la sicurezza di qualsiasi parte del popolo armeno non può mai essere affidata alle autorità azere. È ovvio che Artsakh non può far parte dell'Azerbaijan in nessuna circostanza e che il popolo di Artsakh non può rimanere senza le linee di sicurezza necessarie per la propria difesa.
Il conflitto del Nagorno Karabakh è scoppiato negli ultimi anni dell'esistenza dell'Urss, a seguito dell'aggressione dell'Azerbaijan contro gli armeni del Nagorno Karabakh al fine di contrastare la loro decisione di esercitare il proprio diritto all'autodeterminazione. Le autorità dell'Azerbaijan hanno contrastato le manifestazioni pacifiche del popolo del Nagorno Karabakh con violenze organizzate contro la popolazione armena in numerose città dell'Azerbaijan. A fine febbraio di ogni anno gli armeni di tutto il mondo commemorano le vittime dei massacri avvenuti nella città di Sumgait nel 1988.
Una risoluzione del Parlamento europeo adottata il 7 luglio 1988, a distanza di pochi mesi dalla tragedia, definisce l'accaduto come «massacro di armeni». Allo scopo di ridurre la risonanza internazionale degli eventi di commemorazione delle vittime di Sumgait, l'Azerbaijan ha orchestrato delle speculazioni sulla tragedia accaduta agli abitanti di Khojalu nel 1992, durante la guerra del Nagorno Karabakh. L'Azerbaijan continua a affermare che «le forze armate armene hanno attaccato la località di Khojalu, dove sono stati uccisi dei civili». In questo modo l'Azerbaijan cerca di sottrarsi alla responsabilità per i massacri commessi nei confronti degli armeni non solo a Sumgait, ma anche a Baku, Kirovabad, Maragha e in altre città dell'Azerbaijan. In realtà gli abitanti di Khojalu avevano utilizzato il corridoio umanitario lasciato dagli armeni e avevano raggiunto la regione di Aghdam, che si trovava sotto il controllo azerbaijano dove poi sono stati uccisi. Tutti questi fatti sono stati dimostrati proprio dalle fonti azere, dai racconti dei testimoni oculari e di vari giornalisti. Subito dopo questi eventi tragici, l'allora presidente dell'Azerbaijan, Ayaz Mutalibov, aveva rilasciato un'intervista nella quale denunciava che i colpevoli per l'uccisione degli abitanti di Khojalu non erano i militari armeni, ma i gruppi armati azeri per una lotta interna per il potere in Azerbaijan.
In particolare, in un'intervista rilasciata al periodico Nezavisimaya Gazeta il 2 Aprile 1992, il presidente Mutalibov aveva detto «...gli armeni avevano lasciato il corridoio per la fuga dei civili. Quindi perché avrebbero dovuto aprire il fuoco? Specialmente nell'area intorno ad Aghdam, dove all'epoca c'erano abbastanza forze azere per aiutare i civili?». Ma diffondendo delle infondate accuse di violenza, l'Azerbaijan tenta di giustificare la falsità delle proprie tesi e di presentare gli armeni non come vittime, ma come perpetratori stessi dei massacri. È spiacevole constatare che le autorità azere portino avanti una propaganda antiarmena mirata, radicalizzando la società azera, cercando di unirla nella cosiddetta lotta contro il nemico. Ne è una prova evidente anche la guerra dei quattro giorni dell'aprile 2016 scatenata dall'Azerbaijan, durante la quale sono stati uccisi, con gravi violazioni dei diritti umani, numerosi abitanti civili del Nagorno Karabakh. Questo conferma che i crimini come quelli di Sumgait fanno tutt'ora parte inscindibile della politica delle autorità azere. È importante sottolineare che il conflitto del Nagorno Karabakh non è una rivendicazione territoriale, ma è una questione di esistenza fisica delle persone che vivono in quel territorio. L'Azerbaijan falsa completamente l'essenza e le cause alla radice del conflitto e cerca costantemente di presentare il problema come una disputa territoriale tra l'Armenia e l'Azerbaijan, un approccio che ostacola gli sforzi dei mediatori per la soluzione pacifica del conflitto.
L'Azerbaijan usa anche le piattaforme internazionali, le Aule dei Parlamenti dei vari Paesi per veicolare la sua retorica e la sua propaganda antiarmene, cosa che non favorisce assolutamente la soluzione pacifica del conflitto del Nagorno Karabakh. L'unico formato che ha pieno mandato a livello internazionale di occuparsi della soluzione del conflitto del Karabakh, è la copresidenza del gruppo di Minsk dell'Osce, in base ai tre principi del diritto internazionale: il non ricorso alla minaccia o all'uso della forza, l'integrità territoriale e il diritto all'autodeterminazione dei popoli.
I copresidenti del gruppo di Minsk dell'Osce sottolineano costantemente la necessità di adottare delle misure per stabilire una fiducia reciproca, di mettere fine alla propaganda a livello statale che semina odio e ostilità tra i popoli e alla retorica belligerante. Per poter instaurare la sicurezza, la pace e la stabilità nella regione è importante innanzitutto educare le popolazioni alla pace e non alla guerra.




