Sembra un quadro di Edward Hopper, dove la banalità del quotidiano copre l'angoscia. Una famiglia come tante al ristorante: papà, mamma, una figlia, in quell'età che bambina è poco e ragazza è troppo, lo sguardo che non si sposta dal telefonino. «Stai sempre al cellulare», la rimproverano i genitori senza convinzione. Lei si alza indifferente e dice: «Vado in bagno», come fosse una risposta.
Chiude la porta a chiave, solleva la maglietta e fotografa allo specchio i seni acerbi. Invio. Si gira di schiena, abbassa i pantaloni per mostrare l'intimo e scatta di nuovo. Invio. Quando torna al tavolo la mamma le sta amorevolmente tagliando la pizza. Benvenuti nel nuovo mondo dei nostri figli. Sesso casuale, bestemmie, inni a Adolf Hitler e all'Isis, droga, soprusi. Scabroso? Certo. Diffuso? Più di quanto osiamo temere.
Da anni bambini e preadolescenti hanno a disposizione tecnologie poderose, strumenti dalle capacità infinite che li iperconnettono tra loro e con il mondo infinito di Internet e dei social network. Il solco, che ha sempre diviso una generazione dalla precedente, con lo smartphone è diventato un intreccio di oscure gallerie digitali da cui gli adulti (cresciuti giocando in cortile), sono tagliati fuori.
Vita reale e vita virtuale si mescolano, si confondono: «È la Onlife, come l'ha definita il filosofo Luciano Floridi» spiega Matteo Lancini, psicoterapeuta e presidente dell'Istituto Minotauro di Milano. «Bambini nudi e bambini nei forni crematori: più crei contrasti, più crescono i like. E alla base c'è una ricerca spasmodica di successo, popolarità. I nostri figli pensano che meglio essere morto e popolare, che vivo e trasparente». I pochi sprazzi di verità che ci sono concessi lasciano semplicemente esterrefatti.
«Credo che la parola giusta sia «disperazione»» allarga le braccia Marco P., 51 anni, milanese, padre di una dodicenne che lui ingenuamente pensava ancora bambina. «Le abbiamo comprato il telefono in quinta elementare e da allora è diventato la sua vita». Ne fa un uso compulsivo. È come una droga. Ma purtroppo c'è di più, come racconta a Panorama: «In prima media le abbiamo permesso di connettersi ai servizi di messaggistica e ai social. Non possiamo tagliarla fuori dalla sua generazione, ci siamo detti. Invece l'abbiamo rovinata».
Quando finalmente Marco accede al telefono della figlia è un vero trauma: conversazioni su Instagram Direct e WhatsApp infarcite di parolacce, riferimenti all'acquisto di macchinette per «svapare» e a compagni di scuola che usano marijuana, sexting con le sue foto nuda, baci saffici, immagini di genitali maschili in erezione. Fino a filmati di masturbazioni e sesso orale praticato dalla giovanissima nel bagno di un McDonald's. Con le amiche, tante, tantissime, parlano di esperienze simili. Non è la bambina dolce ed educata che Marco credeva di avere in casa. «Non so spiegare la rabbia e la pena che ho provato. Ma la colpa è nostra» racconta con gli occhi stanchi. «L'abbiamo lasciata entrare in un “luogo" dove vale tutto, con milioni di ragazzi e nessun adulto a indicare cosa sia giusto e sbagliato». […]
Un sondaggio di Pepita onlus, cooperativa di professionisti dedicata a interventi educativi, su 1.227 ragazzi ha rilevato come questa tendenza a condividere immagini o video di natura sessuale («sexting») sia endemica tra i nati dal 2005 al 2007. Il 96 per cento dichiara di aver condiviso foto o video a contenuto sessuale (tra i nati dal 1999 al 2004 la percentuale scende al 33). I motivi? Essere popolare, divertirsi. […]
Il sesso è banalizzato e cresce in modo inquietante la componente violenta. Racconta la madre di un maschio: «L'altro giorno ho controllato la cronologia del cellulare di mio figlio tredicenne e mi sono accorta che negli ultimi mesi ha visitato spesso siti porno. La cosa che mi preoccupa sono i titoli di certi video: Stupro, Ragazze umiliate. Ho trovato anche un gruppo WhatsApp che coinvolge una decina di compagni di classe dove pubblicano immagini pedopornografiche e commenti razzisti. Mio figlio è un ragazzino riservato, timido. Quando vengono a casa i suoi amichetti li vedo giocare alla lotta o a nascondino. Mi sembrano dei bambinoni». […]
Negli ultimi anni la Polizia postale ha visto aumentare le denunce per sexting e cyberbullismo. «Sulle chat e sui social girano odio, discriminazione, razzismo, violenza, sexting e in questo calderone emergono anche le immagini pedopornografiche. La domanda che ci facciamo spesso è come inciderà tutto questo sulla personalità di un adolescente» riflette Fabiola Silvestri, dirigente del compartimento di Polizia postale e delle comunicazioni di Piemonte e Valle d'Aosta. «Si sentono forti, chiusi nelle loro stanze, dietro i monitor. Pensano di essere invisibili, ma non è così, ogni device può essere rintracciato».
Alle otto e mezzo del mattino Stefania sente bussare forte alla porta di casa. Una strada tranquilla vicino al centro di Reggio Emilia. Casette a schiera ordinate con un pezzo di giardino sul retro. Vive lì da tempo con la madre, il compagno Marco e la loro bambina di due anni. E i cani, un chihuahua e uno schnauzer nano. Quella mattina, è il 3 aprile di quest'anno, è sola a casa. Si avvicina alla porta. Un uomo e una donna le dicono che sono dell'Enpa, l'Ente nazionale per la protezione degli animali, e sono lì per una segnalazione, i cani abbaiavano. Dopo un furto Marco ha installato le telecamere all'esterno e lei vede che sta arrivando ancora altra gente. Le tolgono la corrente. È spaventata, chiama la madre, che si precipita a casa e riaccende la luce, così le telecamere tornano in funzione. Ma ora ci sono anche dei poliziotti.
Entrano in casa. Stefania lascia la bambina nel suo lettino al piano superiore e cerca di capire cosa vogliono. Le chiedono i libretti dei cani. Mentre li cerca in salotto, qualcuno sale velocemente le scale. Non riesce a vederli, si sono messi in modo da coprirle la visuale, ma dopo poco sente la bambina piangere. Quando corre a vedere cosa succede, sua figlia è tra le braccia di uno sconosciuto che la sta portando via, tenendola come un sacco. «Aveva gli occhi sbarrati, gridava mamma. Ho corso per riprenderla con tutte le mie forze. L'avevo quasi raggiunta. Loro sono stati più veloci, l'hanno sbattuta dentro una macchina e sono partiti. Sono rimasta lì a gridare e a piangere».
Stefania e Marco, da quando gli assistenti dei Servizi sociali del Polo Est di Reggio Emilia hanno portato via la bimba, non hanno più avuto sue notizie. «Dal rapimento sono passati più di cento giorni e io non so come sta, se mangia, riesce a dormire, se ha paura. Dove l'hanno portata, se è in una comunità o affidata a un'altra famiglia. Non abbiamo notizie. Il dolore è immenso. Sto attraversando l'inferno», racconta la mamma seduta al tavolo del salotto. […]
Stefania ha 34 anni, è geometra, poi due anni di Scienze dell'educazione. […]Marco ha 50 anni, è un istruttore subacqueo, ha sempre lavorato, è un uomo pacato, silenzioso. Era il vicino di casa, stessa villetta, la porta accanto. Un amore nato cinque anni fa. Lei è bella anche con il viso sfatto dalle lacrime, i capelli troppo tinti di biondo e i molti tatuaggi. Sul braccio ha scritto «Gesù è con me». «La fede mi fa andare avanti». […]
Per capire la storia di Stefania bisogna tornare indietro di oltre dieci anni. «Reggio Emilia è una città che rovina i giovani. Quando i miei si separarono avevo vent'anni. Iniziai a fumare l'eroina. […] Mi diede una dipendenza immediata e dopo poco capii che dovevo rivolgermi al Sert e smettere». Per lei invece inizia un calvario fatto di metadone, astinenze, fino all'incontro con l'uomo sbagliato. […] Nasce una bambina, che vive con lei fino a due anni e sette mesi, poi quando è costretta a tornare in comunità per smettere il Subutex (un farmaco per il trattamento delle dipendenze da oppiacei, ndr), interviene la zia. Ha conoscenze tra le assistenti dei Servizi sociali del Polo Est di Reggio Emilia. La nipote, secondo lei, non può prendersi cura della figlia, è una tossica e soffre di disturbi psicologici. E così la bambina viene collocata presso la zia. Stefania ha sempre avuto un pessimo rapporto con la sorella della madre. «Allora ero giovane, senza soldi per un avvocato, ho dovuto soggiacere a questa situazione».
Ma capisce che non vuole continuare così. Conosce Marco e con il suo aiuto esce dalla droga. Non tocca più niente e dopo due anni insieme decidono di avere un figlio. Nel 2016 rimane incinta. Durante la gravidanza non riesce a dormire, così va al Pronto soccorso per chiedere aiuto. L'ospedale allerta sia il reparto di psichiatria che gli assistenti sociali. Ed è da qui che ha inizio il suo calvario. Al Polo Est la conoscono e intervengono a gamba tesa chiedendo all'ospedale di chiamarli quando Stefania sarà ricoverata per il parto. «Appena partorito mi fanno i test tossicologici, sia io che la bambina risultiamo negative. Non basta ancora. Mi trattengono e mi obbligano a ricevere a casa le educatrici per tre mesi […]». Stefania collabora, tutto sembra andare bene. La bambina è bellissima, allegra, sana, solare. «Anche se non lo dicevo a nessuno, sapevo che era iniziato un altro incubo e che, come per la mia prima figlia, avrei avuto gli assistenti sociali addosso». […]
Ma Stefania è cambiata e davanti alla richiesta di andare in comunità con la piccola si rifiuta categoricamente. «Non mi drogavo più da anni […]». Spiega l'avvocato Francesco Miraglia, che con il collega Giulio Amandola si occupa del caso: «È un sistema che vige in tutta Italia, lo denunciai anni fa. C'è un mercato sulla pelle dei bambini. Nel 2010 le cifre erano sconvolgenti: un giro d'affari annuo di un miliardo e 700 milioni. Oggi è ancora aumentato». […] Il 22 ottobre 2018 il Tribunale dei minori di Bologna emette un decreto provvisorio che, come dice l'avvocato Amandola, sarebbe basato su falsità assolute: «La tossicodipendenza della signora, superata da anni, i litigi della coppia, cose che accadono in ogni convivenza. E l'assurdità più grande: dire che vivono in uno scantinato». E con quel decreto la sua bambina le è stata portata via. Stefania lotta come una leonessa, denuncia, produce ogni sorta di prova […].La settimana scorsa c'è stata l'udienza. Molte sarebbero le discrepanze e così i giudici hanno chiesto l'intervento di un consulente tecnico d'ufficio. Il 20 agosto si tornerà in tribunale. Ancora troppe notti da affrontare. «Ho diritto a essere una mamma [...]».
A scuola non ne vuole parlare nessuno. Il preside nega. I genitori sono sconcertati. A Milano, in una classe prima liceo scientifico ci sono due ragazzi che sono in «transizione», ossia hanno iniziato il percorso per cambiare sesso. Sono minori gender variant, così li definiscono gli esperti. Hanno 14 anni. Una ragazza con i seni fasciati, che vuole diventare uomo, e un ragazzo che indossa la felpa rosa e vuole diventare donna. [...]
I dati, a livello mondiale, parlano di un bambino ogni 100 con uno sviluppo atipico dell'identità di genere. In America si stima che 150.000 adolescenti tra i 13 e i 17 anni si identifichino come transgender. In Italia i numeri sono più contenuti: più di 300 casi presi in carico dalle strutture pubbliche, ma la cifra è sottostimata. [...]
In Inghilterra e in America l'infanzia trans ha assunto proporzioni preoccupanti. Nel giro di pochi anni alla clinica Tavistock and Portman - Nhs foundation trust di Londra hanno registrato un'impennata di richieste di minori che vogliono iniziare la transizione, con un incremento del 400%. Spesso questi programmi godono di finanziamenti pubblici. Così la fondazione britannica Mermaids, il più importante punto di riferimento per i giovani che vogliono cambiare sesso, ha ricevuto più di 150.000 sterline dallo Stato. In America invece i proventi dalle vendite di testosterone sono cresciuti vertiginosamente. La stima per il 2018 è di 3,8 miliardi di dollari, con un aumento del 58%. Nonostante il testosterone sia usato anche per altri scopi, l'aumento del ricavo è correlato con la proliferazione delle cosiddette gender clinics, che a oggi sono oltre 50. Dieci anni fa ce n'era solo una. [...]
Sono sempre più giovani, come dice la sociologa Daniela Danna nel suo saggio La Piccola Principe (Vanda.epublishing): «Una decisione così grave e carica di conseguenze fisiche ed emotive, come il cambiamento fisico e legale di sesso non può essere presa da un adolescente, tantomeno nell'infanzia». Una recente ricerca inglese, racconta Danna, si è interrogata sulle «detransizioni»: 200 ragazze che a 17 anni avevano cambiato sesso a 22 sono tornate indietro. Ma secondo alcuni medici non è facile fare il percorso inverso: «Gli specialisti del genere dicono che i farmaci per bloccare la pubertà non hanno effetti collaterali e che sono reversibili, ma nessuno lo sa con certezza» conclude la sociologa. Da tre mesi sono stati autorizzati in Italia dall'Aifa. [...]
Alberto P., 58 anni, informatico, ha una figlia che assume i bloccanti: «In terza media il giorno di Natale ci disse che non si sentiva una ragazza. Siamo una famiglia aperta, ma il colpo fu duro. Il primo pensiero è andato a un futuro doloroso, soprattutto in una piccola città di provincia. Ha assunto i bloccanti ipotalamici, perché quando le veniva il ciclo arrivava a manifestare istinti suicidi». [...] Oggi si fa chiamare Alessandro. «Vorrebbe partecipare alla gita scolastica a Venezia» continua il padre «e gli sembra normale dormire con i maschi. Ma gli abbiamo spiegato che non è possibile. Non ha pensato a cosa può essere la violenza del branco. Molti compagni non hanno capito il suo percorso. Alcuni non lo salutano più». [...]
Damiana Massara, psicoterapeuta e coordinatrice nazionale della Commissione minori dell'Onig, spiega: «Nella maggioranza dei casi la disforia di genere si scioglie durante il passaggio tra infanzia e adolescenza, permanendo solo in una percentuale compresa tra 12 e 27%. [...] Il numero degli adolescenti è cresciuto, soprattutto nella fascia d'età dai 13 ai 15 anni. Il più piccolo che abbiamo incontrato aveva 3 anni». [...] Riflette Massara: «C'è chi dice che la disforia ora sia di moda, in letteratura si parla di gruppi di amici che fanno coming out, senza aver mai detto nulla prima. Il sospetto è che ci sia una sorta di contagio sociale». [...]
«Se in passato erano più numerosi i maschi che si sentivano femmine (si definiscono Mtf), oggi sono in crescita le femmine che vogliono diventare maschi (FtM)» spiega Maddalena Mosconi, psicologa e psicoterapeuta, responsabile area minori del Saifip presso l'azienda ospedaliera S. Camillo-Forlanini, il più importante centro della Capitale [...]. «Le richieste sono raddoppiate, cinque anni fa arrivavano 15 famiglie, oggi siamo arrivati a 50. Per alcuni è come elaborare un lutto. Raccontano che guardano le foto del passato e piangono. Dicono: “Ho perso un figlio"». [...]





