Caro direttore, sulla questione delle concessioni demaniali marittime italiane vari governi e per troppo tempo hanno abdicato al proprio ruolo di legislatori a tal punto da essere sostituiti dalle varie e spesso contraddittorie pronunce della giustizia amministrativa nazionale ed europea. Questo il pessimo scenario di fronte al quale si è trovato il governo Meloni che per affrontare il problema è ricorso sia ad una nuova interlocuzione con la Commissione europea sia predisponendo, attraverso un apposito tavolo interministeriale per la mappatura delle coste, la verifica della sussistenza o meno del prerequisito della scarsità delle risorse. Ferma restando comunque la presa oggettiva d’atto che, ad oggi, qualsiasi proposta politica che si voglia avanzare è necessariamente condizionata da un atteggiamento della Commissione Ue avverso e appunto da già avvenuti passaggi giurisprudenziali, nonché da varie statuizioni dell’Agcom. Segnalo ad esempio che è pendente da tempo presso la Corte di giustizia europea la discussione sollecitata dal Consiglio di Stato sulla compatibilità dell’articolo 49 del Codice della Navigazione italiano con le normative europee nella parte dove si prevede che «le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso...». Si è dunque di nuovo ad attendere che su una importante questione che riguarda un settore essenziale per l’economia italiana, quello del turismo, la Corte di Giustizia si pronunci e dirima la questione. Presumibilmente la Corte potrà decidere in due modi: o sancirà la legittimità dell’articolo 49 ma stabilirà un possibile altro sistema per riconoscere un ristoro economico per l’acquisizione delle strutture esistenti sulle concessioni rinviando la questione al Consiglio di Stato che a sua volta dovrà riproporlo al Parlamento, oppure stabilirà che tale articolo è incompatibile con le normative europee e allora il Parlamento italiano dovrà comunque intervenire. Giova ricordare che la legge sulla Concorrenza del 2022 aveva previsto la salvaguardia dei soggetti che hanno realizzato investimenti nelle aree demaniali in concessione, mediante la corresponsione di un indennizzo, come statuito dall’articolo 4, comma 2, lettere c) e i) della legge 5 agosto 2022, numero 118.
È sulla base di queste considerazioni che nel luglio 2023 ho depositato alla Camera assieme al collega Caramanna una proposta di legge di modifica dell’articolo 49 del Codice della Navigazione. Tale proposta è stata assegnata alla commissione Finanze e il suo esame è già iniziato. L’ottica ovviamente sarebbe quella di non andare a confliggere con alcuna normativa europea e neppure con alcun indirizzo giurisprudenziale ma di produrre una normativa che trarrebbe la propria legittimazione dagli articoli di una legge sulla Concorrenza del 2022 che laddove prevedono «l’indennizzo» non sono stati mai eccepiti.
Colgo l’occasione di sottolineare invece che tutt’altra è la questione delle aste delle concessioni balneari; un conto è il riconoscimento di un indennizzo del concessionario uscente, altro conto è il tema dei tempi e delle modalità della riassegnazione delle concessioni tramite eventuali procedure selettive, le aste appunto. Su questo tema infatti rimango convinto sia che la direttiva Bolkestein penalizzi, senza rispetto dei principi di reciprocità comunitari, un comparto essenziale del turismo italiano (prevedendo che alle aste possano partecipare società con sede legale in paesi esteri), sia che la direttiva in generale vada in ogni caso applicata per come è scritta tenendo conto della sussistenza o meno del pre-requisito della scarsità delle risorse presenti in ogni stato membro e questo riguarda non solo i balneari ma anche ambulanti, trasporto pubblico ecc.
Ciò non toglie che a mio avviso e in ogni caso, la questione degli indennizzi sia un tema che vada risolto e normato quanto prima anche per rispettare la Costituzione che vede i principi della concorrenza affidati alla competenza esclusiva di leggi dello Stato.
Riccardo Zucconi, Deputato Fdi, commissione Attività produttive
- Non solo Jesolo, con una concessione ottenuta da una cordata guidata da Geox: i casi si moltiplicano da Amalfi a Genova, anche se il governo ha congelato tutto fino a fine 2024. Piccoli a rischio sopravvivenza.
- Il nostro Paese è caratterizzato dal 95% di Pmi. Le scelte di Draghi sulla concorrenza non hanno tenuto conto di questa specificità e porteranno al deserto imprenditoriale.
Lo speciale contiene due articoli.
«Vorrei sapere dove sono i paladini della concorrenza, quelli che da sinistra strillano contro i gestori evasori che privatizzando il demanio pubblico escludono dal mercato i giovani che vogliono aprire un’attività». Chi parla è Fabrizio Licordari, presidente di Assobalneari (associata a Confindustria), che riapre il dossier ombrelloni dopo che a Jesolo una concessione è stata tolta a un consorzio di operatori per finire nelle mani di una cordata di cui magna pars è una società del gruppo Geox di Mario Moretti Polegato. Licordari ha chiesto e ottenuto per stamani la riconvocazione del tavolo tecnico che si sta occupando della mappatura dei litorali: «Qui bisogna serrare i ranghi, altrimenti non si arriva a una conclusione e noi tra 20 giorni dobbiamo aprire gli stabilimenti. Già manca il personale, con questa incertezza la stagione balneare è a rischio. E non credo sia un gran vantaggio per l’Italia rinunciare al turismo estivo».
Il settore balneare vale malcontati 40 miliardi e 420 milioni di presenze. Licordari osserva: «È uno degli effetti distorsivi della Bolkestein che come quasi tutti i provvedimenti europei non tiene conto della realtà: enuncia principi astratti. Sarò pure una Cassandra, ma avevo previsto che appena si fossero messe le concessioni a gara si sarebbe mosso l’interesse non dei piccoli, ma dei grossi gruppi finanziari. Nel caso di Jesolo almeno sono locali».
Cos’è successo? Il Comune di Jesolo ha messo a gara un tratto di arenile già in concessione a un consorzio di bagnini, ma di cui era gestore Alessandro Berton, presidente di Unionmare aderente a Confcommercio. Berton si è alleato con Geox e ha presentato un’offerta imbattibile che pare preveda investimenti per 7 milioni e ha sfrattato i suoi ex «padroni». Si è scatenata una baruffa locale che ha però un risvolto nazionale. C’è una lite in Confcommercio con il presidente nazionale dei balneari Antonio Capacchione che giudica «inquietante quanto accaduto a Jesolo; sbagliata e azzardata è la messa a gara di concessioni demaniali in assenza di una regolamentazione nazionale, senza un’adeguata tutela dei concessionari attualmente operanti e in aperta violazione di una legge che la vieta; e sconcertante è il coinvolgimento del presidente di Unionmare Veneto».
I locali si difendono: «Esiste un modello Veneto», sostiene Patrizio Bertin, Confcommercio regionale, «Questa è l’unica Regione che con una sua legge ha disciplinato la questione». Non la pensano così i deputati di Forza Italia Maurizio Gasparri e Deborah Bergamini, da sempre vicini ai balneari, che notano: «Lascia sconcertati la decisione del Comune di Jesolo di assegnare con dei bandi, fatti in base a norme che sono in contrasto con le regole nazionali, delle concessioni balneari che comprimono l’attività di piccole imprese familiari». Ad Amalfi egualmente il responsabile del Demanio, l’ingegnere Pietro Fico, ha intimato lo sgombero dell’arenile di Marina Grande dai titolari di regolari concessioni rilasciate tra il 2008 e il 2009. È l’ultimo capitolo di un lungo contenzioso legale che però apre le porte alle gare in opposizione a quanto previsto dal governo. Così a Genova è stato pubblicato il bando per le concessioni demaniali anche se - spiega l’assessore competente Mario Mascia - «entro il 30 aprile gli attuali concessionari potranno presentare la documentazione progettuale».
Sono fughe in avanti rispetto al decreto legge con cui Giorgia Meloni ha prorogato le concessioni a tutto il 2024, con espletamento delle gare l’anno successivo e comunque non prima che sia terminata la mappatura completa degli arenili per verificare se -come prevede la Bolkestein - ci sia o no scarsità di risorse. Finora emerge che solo il 30% delle spiagge italiane è in concessione. Moltissimi sindaci si attengono però alla precedente legge Draghi che fissava al 31 dicembre scorso la fine delle concessioni. E perciò i Tar sono intasati da centinaia di ricorsi. «È una situazione d’ incertezza», osserva Licordari, «che va ricondotta a quanto dice la legge. Le concessioni sono valide fino all’anno prossimo. Del resto il 14 gennaio il governo ha risposto a Bruxelles che prendeva altri quattro mesi di tempo per terminare la mappatura e l’Ue ha accettato. Non c’è alcuna ragione per fare fughe in avanti». La stagione balneare perciò parte male. Mancano almeno 4.000 bagnini anche perché è stato vietato ai minorenni di fare salvamento anche se hanno l’abilitazione. «Il tema», osserva il presidente di Assobalneari, «c’è e riguarda tutto il turismo. Non solo mancano gli addetti al salvataggio che hanno un’enorme responsabilità, ma non si trovano migliaia di camerieri, cuochi, collaboratori. Noi operatori in questo limbo non abbiamo gran voglia d’investire. Perché, come a Jesolo, in mare c’è sempre un pesce più grosso pronto a mangiarti».
L’Europa si mangia il modello Italia
Di Riccardo Zucconi, deputato di Fratelli d’Italia.
Sono assolutamente condivisibili le recenti affermazioni di Mario Draghi e sorrette da una capacità di analisi che tutti gli riconoscono.
Dalla necessità in Europa di una politica fiscale comune a quella di preventivare una ingente spesa pubblica per combattere le criticità ambientali e climatiche e sostenere le transizioni energetiche; dal promuovere in Europa politiche di reshoring delle industrie strategiche e «avvicinare» le catene di fornitura critiche al riesaminare non solo dove acquistiamo i beni, ma anche all’impellenza di dotare l’Unione europea di un comune sistema di Difesa, tutte riflessioni e indicazioni importanti e sulle quali non si può che concordare.
Ma Draghi ha citato anche l’imperativo, indicandolo come tutela delle democrazie occidentali, di affrontare le disuguaglianze di ricchezza e di reddito e su questo ultimo punto e in generale sulla metodica dell’analisi che vede la critica ai sovranismi, identificati come antitetici rispetto agli obbiettivi indicati, ci permettiamo di segnalare una qualche incongruenza.
La difesa di alcune specificità dell’economia e della struttura sociale delle nazioni, ancorché «piccole», ci pare infatti la condizione indispensabile per garantire la loro stessa sopravvivenza. Un punto di osservazione meramente globalistico e che affronti solo analisi marco tematiche rischia infatti di provocare fratture difficilmente risanabili in economie oggettivamente già di per sé fragili. Cito ad esempio di questa sua inesauriente e dunque deficitaria visione quanto prodotto proprio dal suo governo in tema della legge sulla concorrenza del 2022. L’adesione pedissequa e rigida ai principi delle liberalizzazioni dei mercati ha non solo messo in difficoltà il mondo delle piccole imprese - in questo caso dei commercianti, degli ambulanti e dei concessionari di demanio marittimo - ma ha addirittura investito quello delle concessioni geotermiche e idroelettriche e cioè un asset strategico per l’Italia nella produzione green di energia elettrica. Di più, ha orientato e condizionato gli indirizzi e gli impegni assunti verso l’Europa per l’acquisizione dei fondi del Pnrr ingenerando a oggi un pericoloso corto circuito fra la tutela del nostro sistema delle piccole imprese, ma anche della maggior produzione nazionale di Fer, e l’accesso a risorse essenziali per il nostro Paese e provenienti dai piani di sostegno comunitari.
Per un tessuto economico che in Italia è composto al 95% da micro e piccole imprese, una simile impostazione è fatale. Sono ad esempio 110.000 le attività commerciali scomparse negli ultimi anni dalle nostre città, 110.000 famiglie che hanno dovuto rimodulare le loro esistenze in altro modo finendo talvolta ai limiti della soglia di povertà, non contribuendo più al gettito fiscale e facendo cessare l’occupazione che generavano. Nel frattempo si è stati molto meno inflessibili sul versante della tassazione dei giganti dell’ecommerce, sulle Ota e sulle delocalizzazioni fiscali di grandi gruppi industriali: vogliamo veramente continuare su questa linea e con questa visione? Chi porterà risorse alle casse dello Stato con la desertificazione del nostro, essenziale, micro sistema economico? Chi ne gestirà le conseguenze sociali e direi anche culturali? Particolarmente grave poi andare a intaccare settori nei quali l’Italia è un’eccellenza come quello del turismo con una mentalità che, come si è visto nel comune di Jesolo con le gare di messa all’asta di concessioni demaniali marittime, premierà soltanto i grandi gruppi industriali e finanziari che come rapaci si avventeranno sulla svendita di un nostro patrimonio nazionale penalizzando però, molto di più rispetto ad analoghi fenomeni del passato, centinaia di migliaia di cittadini italiani.
Come si è visto con le proteste degli agricoltori di tutta Europa, la trasformazione in qualsiasi settore dei piccoli imprenditori in novelli servi della gleba non è agevole e anzi rischierebbe di comportare proteste sociali in grado di destabilizzare la politica ove il discrimine fra privilegi di posizione e interessi nazionali non venga ben circoscritto. Questa purtroppo è la componente che manca nella sua analisi e che invece deve essere valutata attentamente, pur con tutte le difficoltà che questo comporta, e rappresentata costantemente a difesa dell’Italia ma anche di un progetto Europa così tutelato anche rispetto a propensioni antieuropee contrarie causate dalla scomparsa a livelli nazionali di interi ceti sociali e soprattutto produttivi.




