Il Fit for 55 è un pacchetto di riforme e regolamenti economici e sociali promulgate dall'Unione Europea, incentrate sulla lotta al cambiamento climatico e alla riduzione delle emissioni di gas serra.
La mossa è una delle non poche misure legislative imposte all'aviazione commerciale dai governi di tutta Europa per agire sul cambiamento climatico in vista dell'introduzione del pacchetto ambientale dell'Unione europea ma, va detto, che essa ha letteralmente scioccato il mondo dell’aviazione commerciale mondiale.
Ci riferiamo alla decisione unilaterale del governo olandese di ridurre il numero di movimenti di volo all'aeroporto di Schiphol di 60.000 unità a partire da novembre 2023, una decisione tanto grave quanto di dubbia legalità. In merito la Iata, Klm e altre compagnie aeree hanno presentato ricorso agli organi giudiziari olandesi. Un ricorso che è stato accolto dai giudici che hanno dichiarato che lo Stato non ha rispettato le norme europee le quali richiedono un processo dettagliato, approfondito e consultivo prima che i movimenti degli aeromobili in un aeroporto possano essere ridotti. Il fatto che il governo olandese abbia così apertamente sfidato il diritto europeo e i trattati internazionali è preoccupante, così come è preoccupante il particolare che lo faccia per mettere in ginocchio uno dei motori economici più apprezzati e importanti del Paese in questione.
Come è ovvio che sia, la Iata e i co-querelanti ritengono che il governo olandese debba seguire quello che viene definito l’approccio bilanciato (Balanced Approach) una metodologia già applicata un po' ovunque per mitigare il rumore negli aeroporti. La procedura, prevista dall’Annesso 16 Icao, dai trattati internazionali e anche dal Regolamento europeo 598/2014, afferma esplicitamente che le riduzioni dei voli dovrebbero essere l’ultima risorsa, utilizzata solo quando altre possibili misure sono state esaurite. Queste misure comprendono una determinazione obiettiva della situazione del rumore; un inventario delle possibili misure; una stima dell’efficacia in termini di costi di tali misure; restrizioni operative come ultima risorsa; e principi di proporzionalità e non discriminazione. Secondo la Iata, il governo non ha seguito questo processo standard.
Klm, membro dell'alleanza globale SkyTeam, ha definito la decisione del governo olandese «incomprensibile» e ha affermato che la mossa metterebbe a rischio la posizione dell'aeroporto come hub globale. L'azienda ha aggiunto che il tetto massimo viola «la legislazione nazionale, europea e internazionale ed è inutile, dannoso e privo di un'adeguata motivazione, dato che l'industria aerea sta già ottenendo risultati significativi in relazione alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica e all'abbassamento dei livelli di rumore».
Non è facile comprendere come il governo olandese possa giustificare l'inflizione di un tale danno a un aeroporto e a una compagnia aerea che hanno fatto così tanto per la comunità nazionale nel corso dei decenni e nei recenti periodi di crisi.
Uno studio del (Cebr) stima che i tagli ai voli ridurrebbero il valore della spesa commerciale e turistica nei Paesi Bassi fino a 13,6 miliardi di euro (15,1 miliardi di dollari). Il Cebr ritiene inoltre che quasi 600 posti di lavoro legati a Schiphol andrebbero persi e sottolinea che nel 2019 Schiphol era responsabile di oltre il 90% delle merci in arrivo, una catena di approvvigionamento vitale per un Paese dalla modesta estensione territoriale e che non può essere recuperata altrove.
Una chiave di lettura dietro la decisione del governo olandese in realtà potrebbe essere rappresentata dai timori dei residenti locali in materia di rumore e di inconvenienti. A far peggiorare le preoccupazioni è occorso anche l’incidente avvenuto il 20 febbraio 2021 ad un Boeing 747 che era appena decollato (con pezzi di motore caduti sulle case di Maastricht) e il cui rapporto investigativo è stato reso noto solo in questi giorni.
Ma la mitigazione del rumore è una sfida di lunga data e ben conosciuta dai grandi aeroporti vicini alle metropoli. Esistono molteplici soluzioni tecnologiche e politiche che preservano gli enormi benefici economici e sociali che un hub come Schiphol indubbiamente porta con sé, rispettando al contempo la vita dei cittadini.
Scendendo nei dettagli del piano governativo, questo prevede di ridurre il numero di movimenti di volo ad Amsterdam a 440.000 all'anno, il 12% in meno rispetto all'attuale tetto di 500.000 e circa 100.000 voli in meno rispetto alle precedenti previsioni di crescita. Così facendo il governo spera che il tetto massimo diminuisca l'inquinamento acustico per i residenti nelle vicinanze così come pure le emissioni di CO2.
In una dichiarazione alquanto draconiana nei suoi contenuti la Rsg ha dichiarato che l'aeroporto deve essere «consapevole che la sostenibilità, la salute e il benessere sono giustamente considerati sempre più importanti quanto il desiderio di viaggiare. Il mondo sta cambiando e l'aviazione deve cambiare con lui». Esortando però («un colpo al cerchio e uno alla botte») nel contempo le autorità a consultare le compagnie aeree prima di stabilire regole definitive e a lungo termine per la riduzione dei voli.
Va ricordato come nell’intento di alleviare anche il problema del rumore aeroportuale, quasi tutti gli scali nel mondo hanno applicato la «noise charge», l’ennesima tassa a carico dei passeggeri i cui introiti debbono venir usati per l’insonorizzazione delle aree aeroportuali limitrofe. Anche Schiphol la adotta.
Tutto ciò avviene mentre le compagnie uscite dalla crisi pandemica si danno da fare per tornare a un clima di normalità.
Appare chiaro che in Europa l’aviazione civile, in base alla non poco contestata politica green, è sotto attacco. Quella stessa Europa che copiando gli Usa volle varare la deregulation dei cieli permettendo così il moltiplicarsi di compagnie aeree e frequenze ora sta facendo una clamorosa battaglia contro aerei e aeroporti. In Francia, come è noto le compagnie aeree e gli aeroporti stanno intensificando le collaborazioni con le ferrovie e gli autobus dopo il divieto dei servizi nazionali per i quali esiste un'alternativa ferroviaria di meno di 2,5 ore. A seguito di una legislazione simile in Austria sono stati eliminati i voli di Austrian Airlines tra Vienna e Salisburgo. Air France ha ampliato la partnership con le ferrovie francesi Sncf, aumentando il prodotto «treno e aereo» a 18 rotte.
Il divieto nazionale francese, firmato dalla Commissione europea nel dicembre 2022, inizialmente vietava alle compagnie aeree di operare voli verso Parigi Orly da Nantes, Lione e Bordeaux, e rimarrà in vigore per tre anni. Tuttavia, il provvedimento annulla i precedenti piani del governo francese che prevedevano la soppressione di altre cinque rotte domestiche.
Ciononostante, la Commissione europea ha stabilito che «i futuri miglioramenti dei servizi ferroviari, con servizi che operino con frequenze sufficienti e orari adeguati - in particolare ai fini delle coincidenze - consentiranno di vietare queste rotte aeree». Greenpeace ha affermato che più di un terzo delle 150 rotte a corto raggio più trafficate d'Europa hanno già una valida alternativa ferroviaria ad alta velocità e ha chiesto di vietare i voli in cui esiste un collegamento inferiore alle sei ore.
Non va comunque dimenticato un particolare importante. Se il trasporto aereo a corto raggio venisse vietato, non pochi dei potenziali passeggeri potrebbero decidere di usare la propria auto, con un conseguente aumento delle emissioni di CO2. Inoltre, è improbabile che la capacità ferroviaria sia sufficiente per accogliere tutti i passeggeri aerei su una determinata rotta, il che significa che sarebbe necessario acquistare nuovo materiale rotabile e costruire nuove linee ferroviarie.
A seguito della chiusura dello spazio aereo russo diverse compagnie aeree hanno riscoperto la vecchia rotta degli anni Cinquanta. Inoltre, dall'ultima settimana di febbraio, si è registrato un forte incremento nel numero di collegamenti outbound in uscita dalla Russia attraverso costosi voli executive privati.
Durante il 1954, anni di guerra fredda e di cortina di ferro, la compagnia scandinava Sas divenne la prima compagnia aerea a iniziare i voli di linea sulla rotta polare, volando con i Douglas DC-6B da Copenaghen a Los Angeles con scali a Søndre Strømfjord (ora Kangerlussuaq) in Groenlandia e Winnipeg in Canada. Nel corso del 1957, la Sas fu poi la prima compagnia a offrire un servizio intorno al mondo sopra il Polo Nord attraverso una seconda rotta polare servita da Douglas DC-7C che volava da Copenaghen a Tokyo questa volta via Anchorage in Alaska. Il collegamento via Alaska era una soluzione di compromesso poiché l'Unione Sovietica non avrebbe permesso alla Sas, come agli altri vettori aerei occidentali, di volare attraverso la Siberia tra Europa e Giappone, e fra l’altro anche lo spazio aereo cinese era chiuso.
Nell'estate del 1956, il traffico sulla rotta aveva giustificato l'aumento della frequenza a tre voli settimanali. Il servizio si dimostrò relativamente popolare tra le celebrità di Hollywood e i membri dell'industria cinematografica, e la rotta si rivelò un gran colpo di pubblicità per la Sas.
Passano gli anni, arriviamo ai giorni nostri e guarda caso, nuovamente in presenza della chiusura dello spazio aereo russo, troviamo compagnie aeree che hanno riscoperto la vecchia rotta degli anni Cinquanta.
Dall'inizio di marzo 2022, sono oltre venti le compagnie aeree che hanno instradato i voli intorno allo spazio aereo russo o come risultato dei divieti reciproci emessi dalle autorità russe sui loro aerei o per evitare qualsiasi potenziale rischio di volo attraverso la Russia. Le rotte tra l'Europa e l'Asia sono state le più colpite in quanto le compagnie aeree hanno instradato i voli aggirando lo spazio aereo russo aggiungendo così tempo e distanza ai loro voli o addirittura provvedendo alla cancellazione dei voli stessi.
Prima di questa ennesima emergenza che ha colpito l’aviazione commerciale, i vettori europei usavano lo spazio aereo russo come rotta più rapida ed efficiente tra i loro hub in Europa e le loro destinazioni in Asia.
Ora, le compagnie aeree con voli tra Europa e Asia hanno spostato i loro voli verso Sud per evitare lo spazio aereo russo. Invece di dirigersi a Est attraverso la Russia e poi puntare a Sud verso destinazioni come il Giappone, la Corea del Sud, e la Cina, i voli ora viaggiano prima a Sud per attraversare la Turchia, l'Asia centrale, la Cina e la Mongolia. E poi puntano verso Est fatto questo che aggiunge circa un'ora di volo. Al ritorno, le ore in più possono arrivare fino a a tre. Ma, come detto, qualcuno ha pure pensato di rispolverare la rotta via polo.
I voli della Japan Airlines fra Tokyo e Londra, passando sul territorio russo impiegavano poco più di 12 ore, ora con la nuova rotta che sorvola Alaska, Canada, Groenlandia e Islanda, il tempo di volo è in media di 14 ore e mezza.
Se anziché Londra ci spostiamo a Helsinki, il volo per Tokyo è ancora più rapido: appena 9 ore. Il 9 marzo scorso il volo Finnair AY73 dopo il decollo dalla capitale finlandese ha puntato verso Svalbard, in Alaska e poi ha costeggiando lo spazio aereo russo nel Pacifico verso il Giappone. Si tratta in pratica della rivisitazione della vecchia rotta polare con la variante che l’aumentata autonomia dei moderni velivoli permette agevolmente di non ricorrere più a quello che era diventato il più famoso scalo polare: Anchorage. In pratica in questi giorni di guerra in Ucraina sono solo due le bandiere che sorvolano la spazio aereo russo: le compagnie cinesi e quelle russe.
Altro fenomeno che ha riguardato l’aviazione commerciale in questi tempi di guerra è stato il forte incremento registrato nel numero di collegamenti outbound (in uscita dalla Russia) servendosi di costosi voli executive: mentre la Russia si preparava a invadere l'Ucraina nell'ultima settimana di febbraio, coloro che avevano i mezzi per farlo si preparavano evidentemente a lasciare la Russia in gran fretta. Sono stati infatti più di 300 i voli privati che hanno lasciato la Russia dal 24 febbraio al 27 febbraio e quasi 1000 voli privati sono partiti dalla Russia durante tutto il mese di febbraio. Questi voli sono aumentati di ritmo durante le ultime settimane del mese, raggiungendo un picco il 25 febbraio.
Si avvicina la data di lancio della, si fa per dire, nuova compagnia aerea italiana. La domanda che sorge spontanea è: a che serve Ita? La risposta, ovvia, è che essa serve a dar lavoro ai suoi circa 3.000 dipendenti. Buon per loro. Ma si può davvero festeggiare la nascita di una entità che prende il via dalle ceneri di una compagnia che vantava più del triplo dei dipendenti con cui la Italia Trasporto Aereo decollerà?
Alitalia, quella compagnia che tutti un tempo ci invidiavano, aveva un numero dipendenti, circa 20.000, che corrisponde più o meno a quello che ancora oggi possono vantare compagnie di bandiera come Klm, Air France, Lufthansa, Iberia, British Airways…
Quella era l’Alitalia di cui gli italiani avevano bisogno, la compagnia i cui aerei volavano in cinque continenti. Quella era la compagnia che incuteva timore alle sue consorelle europee e non solo. Ma perché oggi, anno 2021, tutti gli altri paesi europei hanno un vettore nazionale cresciuto nei numeri e nelle dimensioni rispetto a decenni orsono, mentre la nostra compagnia è andata nel frattempo giù in una picchiata dalla quale non si è mai risollevata? Eppure il nostro mercato da sempre ha rappresentato una delle mete più ambite nell’ambito del turismo mondiale.
I numeri del trasporto aereo, i suoi fondamentali sono democratici. Se accade qualcosa di negativo, leggasi Sars, Covid o 9/11 questo colpisce tutti ugualmente. Se va male, va male per tutti. La débacle di Alitalia non ha scusanti, non ha alibi. È da anni ormai che l’industria aerea civile vanta numeri in positivo per tutti, sia come numero passeggeri sia come profitti, ma non per Alitalia. E non ci si venga a raccontare la favola delle fameliche «cavallette» low cost. I vettori a basso costo non hanno invaso solo il nostro paese, hanno invaso tutte le nazioni europee eppure solo da noi vettori come Ryanair sono riusciti a surclassare il vettore di bandiera nazionale, divenendo capofila in Italia per numero passeggeri trasportati.
La verità è che una florida compagnia è stata fatta dirigere da personaggi che avevano scarsa, per non dire nulla, conoscenza dell’industria aerea commerciale. Non solo, ma questi personaggi non sono mai durati così a lungo da permettere loro di varare un decente piano industriale e percorrerlo fino in fondo. È così che, anno dopo anno, si sono incasellati bilanci in profondo rosso.
A un certo punto poi la brillante idea: mettiamola in vendita. Ma anche in questo caso ci si è dimostrati incapaci. Tutti sapevano che Alitalia andava messa in vendita quando era un asset appetibile e non certo un residuo di compagnia quale essa era diventata negli ultimi anni. Non è certo un caso se durante i primi tentativi di vendita si facevano avanti imprenditori, fondi e altre compagnie ed oggi invece la compagnia non interessa più ad alcuno, prova ne sia che essa è in pratica tornata sotto il controllo pubblico pur di evitarne il fallimento.
Di certo, se, dal punto di vista dell’utente, dovessimo fornire una risposta alla domanda «a chi serve Ita?», questa sarebbe del tutto negativa e pessimistica: con un mercato domestico e continentale controllato dalle low cost e un mercato intercontinentale composto da giganti i quali possono instradare gli utenti italiani sui loro hub, quale ruolo potrebbe mai avere la nuova mini-compagnia Ita? Ma, soprattutto, a quale utenza punterebbe? Davvero si pensa che mandando a casa 10.000 persone la compagnia ritrovi i suoi golden days? Erano loro il problema? Tutti sappiamo che non è così. Agire sul solito costo del lavoro, riducendo in contemporanea anche la flotta e tagliando pertanto il numero di destinazioni servite e relative frequenze è una politica fallimentare che non porterà da nessuna parte. Qui stiamo parlando di una impresa di trasporto ad alta intensità di capitale il cui core business è quello di portare persone in una molteplicità di destinazioni con frequenze appetibili. Tutto il contrario di quello che avverrà dal prossimo 15 ottobre con la nuova mini-compagnia. A ben vedere però un obiettivo la nuova compagnia lo ha: è fin troppo evidente che si è cucito un vestito ad hoc su Ita per cederla poi sotto l’orbita di una Lufthansa o di una Air France, alla pari di quanto è avvenuto per Air Dolomiti passata fin dal lontano 2003 sotto il Lufthansa Group.
Delineato il suddetto scenario è del tutto inutile disquisire su quanto la nuova compagnia potrà durare e soprattutto cosa accadrà dopo che saranno bruciati gli 1,35 miliardi di euro che lo Stato le ha generosamente assegnato: in quel momento si farà avanti uno dei mega vettori europei il quale dichiarerà il suo interesse per Ita. E sarà interessato per il semplice motivo che troverà una compagnia aerea con un numero di dipendenti davvero limitato e non più in grado di offrire alcuna resistenza.
Un’ultima precisazione: mentre ai vettori extra Ue non sarà permesso acquisire più del 49 per cento di Ita e quindi tutti gireranno alla larga, un vettore comunitario invece potrà acquisirlo al 100 per cento ed è in pratica per quest’ultimo motivo che si è confezionata la nuova Ita.




