2019-02-03
Tutte le falsità sui medici obiettori. I veri discriminati sono proprio loro
I dati dicono che i dottori che non praticano l'interruzione di gravidanza sono in calo, altro che emergenza.. E non è vero che, per colpa loro, gli altri sono oberati di lavoro. Eppure la propaganda sostiene il contrario.È a dir poco paradossale, per non dire grottesco, come lucidamente l'ha definito Francesco Borgonovo, il periodico attacco al diritto di obiezione di coscienza all'aborto - che, si badi, ha fondamento costituzionale - perpetrato da alcune realtà. Queste, con sistematica cadenza, si mobilitano non da ieri contro quel tipo di obiezione con un'accorta strategia mirante a veicolare l'idea che abortire sia un «diritto». Così, per non risalire troppo nel tempo, nel giugno 2012 la Consulta laica di bioetica promuoveva la campagna «Il buon medico non obietta», in cui l'obiezione veniva definita «una malattia contagiosa, un'epidemia rapida» (Emma Bonino); mentre di lì a poco l'Ong International planned parenthood federation – European network sarebbe ricorsa al Comitato europeo dei diritti sociali, lamentando la mancata garanzia del servizio di aborto e la conseguente discriminazione della salute delle donne; quasi contestualmente Filomena Gallo, segretaria dell'associazione «Luca Coscioni» e Mario Puiatti, presidente dell'Aied (Associazione italiana per l'educazione demografica) presentavano un esposto denuncia alla Procura di Roma per una presunta violazione nel Lazio della legge 194/78 sull'aborto. Siffatto paradosso rischia di sfociare nel parossismo allorquando ad alimentarlo intervengono addirittura organismi internazionali. È il caso del Comitato europeo dei diritti sociali, istituito presso il Consiglio d'Europa che, sollecitato da un ricorso collettivo della Cgil (!), ha rivolto un vero e proprio «richiamo» all'Italia in ordine all'applicazione della citata legge. E per quanto le sue decisioni non siano vincolanti, neppure quando il Comitato decide di trasmetterle in forma di risoluzione allo Stato interessato, ciò nondimeno quel suo intervento ha dato la stura ad affermazioni nei cui confronti non è possibile tacere. Anche perché si arriva finanche a parlare di «atti di molestia morale nei confronti dei medici non obiettori» e si chiede all'Italia di fornire entro l'ottobre prossimo informazioni sulle misure preventive e risarcitorie adottate per proteggere il personale medico non obiettore da «discriminazioni e molestia morale»! Rincara la dose la menzionata segretaria dell'Associazione «Luca Coscioni», la quale deduce dalla relazione del ministro della Salute «dati di obiezione di coscienza davvero preoccupanti, che mettono in luce le difficoltà dei professionisti non obiettori a farsi carico dell'enorme mole di lavoro». Non è chi non veda la pretestuosità di siffatte posizioni le quali, muovendo dalla lamentazione circa i troppi obiettori, la cui prima conseguenza sarebbe l'intralcio al «servizio» di Ivg, in realtà hanno ben altri fini: fondare un vero e proprio «diritto di aborto», con tutte le ricadute del caso. Circa l'accennata lamentazione, replicano eloquenti i dati ufficiali, alla cui stregua i medici obiettori risultano in calo: erano il 71% nel 2008 e il 70,7% nel 2014. Da essa emerge altresì l'assenza di criticità nella fornitura del «servizio» di aborto: nel 2016 ciascun medico non obiettore praticava in media 1,6 aborti in settimana, con un minimo di 0,5 per la Sardegna e un massimo di 4,7 per il Molise. Volgendo lo sguardo ai dati regionali, solo 3 Asl su 140 (con fino a 15 aborti settimanali) si distinguono dalla media nazionale, mentre nelle restanti 137 i numeri invece sono assai più bassi (7 in un caso e poi meno di 5), corrispondenti a un lavoro di non più di mezza giornata (la durata media della procedura abortiva, secondo l'Oms, non supera mediamente i 10 minuti). Destituito quindi di qualsivoglia fondamento l'assunto per cui i medici non obiettori sarebbero sommersi di lavoro per l'effettuazione degli aborti. Semmai a essere discriminati sono invece i medici obiettori. Lo comprova certa gogna mediatica tesa a dipingerli come indifferenti ai problemi delle donne, quando invece l'esperienza attesta che sono sovente i soli ad aiutarle a superare i problemi che rendono difficile una gravidanza. Ma il dato più eclatante e, temo, foriero di ulteriori ingiustizie – nei cui confronti non staremo a guardare - risiede nel capovolgimento del concetto di «obiezione di coscienza», che da indiscusso pilastro di civiltà taluno cerca di trasformare in marchio infamante.Non pare quindi superfluo ricordare come già il 7 ottobre 2010, con la risoluzione 1763, adottata dall'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, si sanciva che «nessuna persona, nessun ospedale o altro istituto sarà costretto, reso responsabile o sfavorito in qualsiasi modo a causa di un rifiuto a eseguire, facilitare o assistere o essere sottoposto a un aborto, all'esecuzione di un parto prematuro o all'eutanasia o a qualsiasi atto che potrebbe provocare la morte di un feto o di un embrione umano, per qualsiasi ragione». Analogamente, va annotato il profondo radicamento costituzionale di cui è dotato il diritto di obiezione, al punto da assurgere – come ha mirabilmente insegnato Ferrando Mantovani, emerito di diritto penale all'università di Firenze – a «diritto costituzionalmente tutelato, immediatamente azionabile innanzi al giudice, senza bisogno d'interposizione legislativa per legittimare certi comportamenti obiettanti». Radicato com'è sulla libertà di coscienza, a sua volta generatrice di un duplice diritto: quello di adottare comportamenti esterni conformi ai dettami della propria coscienza e quello di non subire diktat nella formazione dei propri convincimenti.L'anzidetta libertà – oltre a essere riconosciuta espressamente a livello internazionale dall'articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dall'articolo 9 della Convenzione europea - si fonda sull'interpretazione sistematica di una serie di norme della Costituzione, tra cui spiccano l'articolo 2, atteso che la libertà di coscienza rientra certo tra i diritti inviolabili; l'articolo 21, concernente la libertà di manifestazione del pensiero; l'articolo 19, relativo al diritto di libertà religiosa; l'articolo 13, attinente alla libertà psicofisica della mente e del corpo.Pertanto, sorvolare su questo impianto costituzionale del diritto di obiezione di coscienza induce a un'applicazione scorretta della legge 194, che invece contempla in un'apposita norma quel diritto (articolo 9). E che dire invece della sistematica violazione, nella prassi, del nucleo centrale della legge, quello che, in presenza di una richiesta di aborto, impone a tutto il personale coinvolto di attivarsi affinché quel figlio possa essere accolto e portato alla nascita (articolo 5) ? E perché le enunciazioni di principio contenute nella 194 – quali la «tutela del valore sociale della maternità» e la «difesa della vita umana sin dal suo inizio» (articolo 1) - non vengono attuate, per esempio dando corso all'articolo 2, che contempla una serie di azioni positive da parte dei Consultori familiari per aiutare davvero l'alleanza tra madre e figlio iscritta nella natura?Pare davvero dura a morire certa ideologia, a tal punto sovrana da far dimenticare a molti non solo il fondamentale diritto alla vita dei più deboli e innocenti, come sono i bambini non ancora nati – che Madre Teresa di Calcutta definì «i più poveri dei poveri» - ma pure l'allarmante inverno demografico che attanaglia l'Occidente!