2025-06-27
Trump minaccia: a ogni Paese Ue i suoi dazi
Dallo scontro con la Spagna emerge la possibilità che il tycoon applichi balzelli differenziati. Sánchez si difende: con gli Usa siamo in deficit commerciale. Al Consiglio si è parlato della quota del 10%. La Casa Bianca apre a una proroga sulla scadenza del 9 luglio«Mamma Europa aiutaci tu». È l’invocazione di Pedro Sánchez, uscito con il capello scompigliato dal vertice Nato dopo la ribellione (solo virtuale, ad uso interno) sulle spese militari e la conseguente minaccia di Donald Trump: «Gli spagnoli stanno andando un po’ per conto loro ma gli faremo pagare il doppio sui dazi». I dazi, ancora i dazi, sempre i dazi come una Colt a canna lunga alla tempia. Fino al 9 luglio, scadenza dell’ultimatum della Casa Bianca per gli accordi commerciali (che a detta della portavoce Karoline Leavitt«potrebbe essere prorogata, ma si tratta di una decisione che spetta al presidente»), il refrain resta in hit parade. E passa dall’Aia a Bruxelles, uno dei temi dominanti del Consiglio Europeo. Il premier spagnolo deve aver trascorso una notte difficile, se all’inizio del summit ritiene doveroso puntualizzare con la goccia di sudore lungo la schiena: «L’Europa e il mondo soffrono una guerra commerciale dei dazi con misure ingiuste e unilaterali, che nel caso della Spagna sono doppiamente ingiuste, visto che con gli Usa non abbiamo surplus, ma deficit commerciale. Noi siamo in un’unione doganale, in un mercato unico e la politica commerciale chi la negozia è Bruxelles, a nome di tutti gli Stati membri. Noi appoggiamo la Commissione Ue in questi negoziati». «L’Europa deve trattare per tutti». Il mantra diventa collettivo, quasi una coperta di Linus per nascondere imbarazzi. Lo adotta anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz qualche minuto dopo: «Sostengo la Commissione europea, sostengo la Presidente Von der Leyen nei suoi sforzi per progredire in materia di competitività. Sostengo anche la Commissione europea in tutti i suoi sforzi per raggiungere rapidamente un accordo commerciale con gli Stati Uniti. L’Europa ha di fronte settimane e mesi cruciali». La baronessa Von der Leyen come mamma dei 27 mette paura ma bisogna prendere atto della realtà, che non è rosea: il rischio del braccio di ferro Ue-Usa è ancora alto. E le opzioni sono sempre e solo due: un’intesa completa e soddisfacente che potrebbe arrivare alle calende greche o un accordo immediato su tariffe fluttuanti attorno al 10%. La cena di ieri sera è stata utile alla presidente della Commissione per raccogliere le opinioni dei leader e sondare il terreno sulla disponibilità di trovare un accordo veloce. Le divergenze sono già evidenti. Da una parte Merz ha fatto sapere che «semplificare alcune leggi andrebbe a beneficio delle aziende europee e non solo americane», dall’altra Emmanuel Macron, secondo fonti interne, «vorrebbe prima vedere i numeri per non accettare un’asimmetria solo in favore della rapidità». L’illusione travestita da speranza è che la trattativa sia collegiale, indifferenziata e omnicomprensiva. In realtà proprio il temporale fra Trump e Sánchez ha abbattuto un finto tabù interno a socialisti e Ppe: l’ineluttabilità del negoziato collettivo. The Donald lo ha scandito chiaramente: «Alla Spagna faremo pagare il doppio sui dazi». Messaggio for dummies: non è detto che siano uguali per tutti. Una fonte diplomatica ha precisato: «Tecnicamente potrebbe farlo ma speriamo che non arrivi a tanto». Nel rispetto della logica commerciale da prima elementare, la Casa Bianca ha davanti uno scenario facile: se la Ue può decidere sui dazi da imporre ai prodotti americani, gli Stati Uniti hanno facoltà di decidere (quindi di differenziare) le percentuali dei prodotti europei, Paese per Paese. La differenziazione è la classica leva negoziale trumpiana, ma a ben vedere funziona anche in Europa dove le differenze economiche esistono, eccome. E a se al cancelliere Merz conviene stare nel gregge sperando in una trattativa comunitaria - con il clamoroso surplus commerciale che si ritrova, comunque vada, ai tedeschi andrà bene -, il premier spagnolo Sánchez (come ha ammesso) rischia di vedersi tagliare le gambe da una trattativa perdente. Per questo è corso a sottolineare: «La Spagna è un paese aperto, amico dei suoi amici. Consideriamo gli Usa amici della Spagna e rispetteremo gli impegni sul raggiungimento degli obiettivi di capacità». Mentre le scaramucce politiche si incrociano, gli sherpa fanno trapelare la deadline al 10%. Con l’obiettivo dichiarato di Bruxelles di evitare dazi più elevati su settori strategici come automobili, farmaceutica e componenti elettronici. «Con gli Usa siamo in fase di discussione», ha spiegato la commissaria Ue per l’Industria, Stéphane Séjourné. «Non entro nei dettagli ma una cosa è certa: abbiamo bisogno di un accordo equilibrato, che difenda gli interessi della nostra industria europea e sia positivo per la nostra economia. Stiamo lavorando sodo, nonostante molta irrazionalità dall’altra parte dell’Atlantico. Spero si possa raggiungere un accordo rapidamente. I segnali sono più positivi ora rispetto a tempo fa». Il premier olandese Dick Schoof afferma di puntare a dazi zero: «Adesso tocca agli Stati Uniti e alla Commissione trovare una soluzione insieme». Da quell’orecchio gli americani ci sentono poco, per questo le due parti sembrano confluire verso il 10% come approdo, nel timore che negoziati prolungati irrigidiscano la posizione della Casa Bianca. Dove la pazienza e la coerenza non vengono percepite come virtù.
(Ansa)
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