2019-05-19
Tra i maestrini senza idee va di moda censurare chi pensa con la sua testa
Dall'editore cacciato dal Salone del libro fino alle invettive contro il «maschilista» Alain Delon, le élite riscoprono l'antico vizio: ridurre al silenzio le voci sgradite.Guai a chi pensa! Le vecchie élite senza più idee sono terrorizzate da chi le idee le ha, e ormai censurano in automatico. Il Salone di Torino che al comando di sindaco e governatore espelle un editore già ammesso è stata la svolta, simbolica e pratica. Ora a ispirare la censura può essere il più grande ballerino del mondo, il giovane Sergei Polunin che invita i colleghi a mollare lo stereotipo dell'omosessualità e osare essere uomini, maschi e padri, che è bellissimo. O un vecchio scavezzacollo irregolare come l'attore Alain Delon, il cui premio alla carriera viene bloccato al festival di Cannes dall'associazione Women and Hollywood sempre perché Alain (come Polunin) è fiero e felice di essere un uomo. Al bando vengono messe anche iniziative come la Marcia per la vita di Roma o il Congresso delle famiglie di Verona. Oppure il gruppo di avvocati (come il senatore Simone Pillon) che, invece di lucrare sulle liti e il narcisismo dei genitori, propone una legge che aiuti mamma e papà a litigare meno e accordarsi civilmente (come si fa sempre più spesso nei Paesi ben funzionanti). Viene gettato l'anatema sulle idee nuove e spregiudicate e su quelle audacemente tradizionali perché legate alla natura, e chi osa proporle è prima silenziato poi diffamato e censurato. Senza difficoltà: i quattro quinti dei mezzi di informazione, dei canali pubblicitari e delle risorse finanziarie li possiedono comunque loro, le vecchie élite da anni senza idee. La maggior parte delle censure e proibizioni riguarda lì dove la vita inizia: il rapporto tra uomo e donna, tra maschile e femminile, e la vita umana che da quell'incontro nasce. La questione è da anni presidiata per conto delle élite di potere dal gruppo di pressione specializzato Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transgender). I suoi militanti effettivi, poche centinaia di attivisti, non rappresentano affatto le idee del numero ben più ampio di chi pratica questi comportamenti (come documentato proprio dai gruppi omosessuali alle Manif pour tous di Parigi), ma gli interessi dei poteri forti interessati a manipolarle. Per questo il mondo Lgbt ottiene massicci finanziamenti anche dagli Stati europei e da organizzazioni internazionali come l'Ue, oltre che da Soros. Lo scopo è promuovere identità e pratiche anche sessuali e biologiche funzionali alle grandi multinazionali impegnate nella riproduzione artificiale e sostituzione degli stili di vita più naturali con quelli dipendenti dalle produzioni industriali e tecnologiche. Il rapporto donna-uomo diventa così la chiave di tutto: se si riesce a separarli, a interrompere i desideri, gli affetti tra i due sessi, il gioco è fatto. Tabù diventa ogni vero discorso di sentimento, come l'amore autentico, e l'infelicità che nasce dal non riuscire ad averlo e viverlo. Ancora più scandalosa e indicibile della maschilità felice e amata dalle donne di Delon, si rivela allora la maschilità infelice, la condizione di tutti quegli uomini che (anche per il crescendo di censure che colpisce il mondo maschile e le sue espressioni), non riescono più a incontrare le donne. Sia perché si sentono paralizzati da molteplici sensi di inadeguatezza, sia perché non sono in linea con le aspettative femminili. Scandaloso diventa quindi il sempre più vasto mondo «Incel» ( i «celibi involontari»), quelli che vorrebbero una donna, ma passano la vita in solitudine, o perché non trovano la forza di incontrarle, o perché vengono comunque rifiutati. Una condizione dolorosa (come sa ogni terapeuta che spesso li incontra e non abbia un cuore pietrificato), ma che viene descritta, anche nella letteratura socioculturale che ne parla, per lo più con disprezzo, senza provare qualsiasi empatia, né pietà. Così (ad esempio) vedono i siti di maschi Incel (4 Chan e altri) la giornalista Monica Luongo e la scrittrice Giuliana Misserville nell'introduzione all'accurato: Il tempo breve, narrative e visioni (Iacobelli editore), sulla vita raccontata nel «condominio digitale»: «Rifiuto del femminile e viaggio nella galassia di quanto di peggio può esserci nell'universo del maschile, gli Incel raccontano una storia del presente di cui conosciamo fin troppo bene misoginia e sadismo». Il guaio è che nessuno (studiose femministe comprese) può conoscere nulla dell'altro fino a quando non ne ri/conosce e condivide il dolore, e rimane su un piano di giudizio intellettuale o estetico. Proprio sui siti internet Incel dei maschi celibi involontari, brutti sporchi e cattivi, prende allo stomaco il dolore che ha preceduto il loro «rifiuto del femminile»: le donne non li vogliono, né per un incontro né per una vita. Sono solo dei perdenti. E viene in mente la marcetta dei ragazzi che andavano volontari nella Repubblica di Salò: «Le donne non ci vogliono più bene / perché portiamo la camicia nera». Ciò che degli Incels irrita la controcultura ufficiale e femminista è il loro tentativo malgrado tutto di farcela, di riuscire a vivere malgrado questa innaturale privazione del femminile. All'interno del libro, nel capitolo «Maschile virtuale. Fenomenologia degli Incels», la critica cinematografica Elisa Cuter nota con fastidio che in questi siti «la sofferenza individuale, la patologia, si trasformano rapidamente. [...] La comunità Incel diventa così una nicchia rassicurante e accogliente basata sul male bonding e soprattutto sull'unico appiglio che sembra rimanere stabile [...]: l'identità (in questo caso di genere)». L'autrice, critica cinematografica, sembra sinceramente schifata. Ma in realtà ciò che ha descritto è moltissimo. Trasformare il dolore derivante dall'attacco della modernità alle funzioni e alla natura maschile, e superare le difficoltà derivanti dalla cattura del femminile nel sistema tecnico-industriale e nella sua freddezza intellettuale è proprio la funzione dei movimenti maschili, in atto da oltre quarant'anni dentro e fuori Internet, in tutto il mondo. Nella loro autoriconosciuta bruttezza (e non è poco nella civiltà dell'immagine), anche gli Incel fanno parte di questo importante sforzo per il quale nessun movimento maschile ha mai percepito un soldo, a differenza della galassia Lgbt. Riuscire a tirar fuori un celibe involontario dal suo isolamento e dal suo rancore, e fargli vivere positivamente assieme ad altri uomini la sua identità maschile anziché lasciarlo precipitare nella patologia ed emarginazione è un atto importante, anche se costa parolacce, sfoghi infantili, accuse, come accade in questi siti. Si tratta di lasciar perdere il tic giudicante di chi si sente «nel giusto» (come se esistesse un «giusto» senza ombre, senza, da qualche parte, il suo contrario sadico), e provare invece tenerezza per il dolore dell'altro. Quando quest'esperienza viene perduta, nella donna o nell'uomo, l'incontro tra i due svanisce, e con esso la felicità e fecondità di entrambi. La parola passa ai giudici, alle Autorità, alle repressioni. Avanti la censura. Un pessimo affare, per tutti.