
Undici Oscar e la promessa di garantire a qualunque rete televisiva ascolti più che dignitosi: la pellicola di James Cameron avrà un ennesimo passaggio in sala con un nuovo debutto in versione restaurata il 9 febbraio.Ci sono due categorie di persone, al mondo: c’è chi ha avuto uno sbandamento, un innamoramento fulmineo per Jack e la sua Rose e c’è chi mente. Tertium non datur. Il successo di Titanic sta tutto qui, nella semplice e banale ripartizione dell’umanità. Sta qui, e perciò può dirsi eterno, perché prescindere dalle categorie, da quel che siamo stati e in cuor nostro sappiamo poter ritornare non è un’opzione percorribile. Siamo stati ragazzi e ragazzine, Titanic il film che ha dimostrato come, spesso, non sia la storia, la sua plausibilità, ma l’attore a far grande un titolo. Siamo stati spettatori in sala, decisi ad applaudire ogni apparizione di Jack (prima, e non ultima, quella in smoking, in cima alle scale). Siamo stati detrattori di Rose, del suo acciambellarsi egoista sulla porta che avrebbe potuto salvare entrambi. Siamo stati critici, quando si è venuti ai premi. Più critici ancora quando i social hanno cominciato a suonare la propria litania, e le ipotesi su come Jack avrebbe potuto sopravvivere rincorrersi una ad una. Siamo stati fan di Titanic. Tutti. Ed è la nostra natura a giustificare, ancora una volta, il suo passaggio in sala. Titanic, undici Oscar e la promessa di garantire a qualunque rete televisiva ascolti più che dignitosi, tornerà al cinema. Ancora. La pellicola di James Cameron, in occasione dei suoi primi venticinque anni, avrà un ennesimo passaggio in sala. Debutterà al cinema, restaurata, il 9 febbraio. E Cameron ci ha provato a raccontare come l’approdo sia giustificato da una trama attuale. Ci ha provato a leggere fra le righe del naufragio un richiamo al nostro presente disgraziato. Lo ha detto. «C’è un importante sottotesto in Titanic», ha cominciato il regista nel corso di una conferenza stampa, «Ci sono persone che sopravvivono e persone che muoiono, ci sono ricchi e poveri e grandi disparità. Quasi tutte le persone della terza classe morirono», ha spiegato, raccontando il film come una metafora della disgrazia che attende la Terra nel caso in cui l’Occidente continui a fare orecchie da mercante di fronte al cambiamento climatico. «Un iceberg», lo ha definito Cameron. «Stiamo andando dritti verso quest’iceberg e, quando lo colpiremo, saranno i più poveri a soffrire», ha spiegato ed è indubitabile che Titanic possa essere letto così, come una storia con morale, come un monito che inviti l’uomo a non sopravvalutare se stesso e le proprie capacità. Ma è altrettanto indubitabile che la lettura intelligente e contemporanea e attuale del film non basti, da sola, a spiegarne l’eterno successo. È molto più semplice di così e non ci sono iceberg né tragedie né messaggi nascosti fra le righe, nella semplicità. C’è Jack, però. Il riscatto, una storia d’amore, Cenerentola a generi capovolti, con la morte a garantire quell’equilibrio maledettamente umano che la Disney ha rotto. Titanic non è la storia di un iceberg o della nave che gli è andata contro, non è la storia delle morti che lo schianto ha provocato, non nel film di James Cameron. Quello, il film, è la storia di Jack, di Leonardo DiCaprio: romanticismo per adulti, mescolato sapientemente alla crudeltà dell’ordinario. Tutto qui. Titanic è tutto qui, nell’amore (pure un po’ banale, se vogliamo) che il tempo non può consumare, nell’empatia che sa provocare, nella bellezza di qualcosa che sa Dio se sul Titanic possa essere accaduto davvero.
Ansa
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Beatrice Venezi (Imagoeconomica)
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