2022-06-25
Draghi lasciato solo sul tetto. L’Ue ci impone il taglio del gas
Mario Draghi (Antonio Masiello/Getty Images)
Rinviata a ottobre l’eventuale discussione sul «price cap» invocato dal premier. Una soluzione di dubbia efficacia, visto che Vladimir Putin ha il coltello dalla parte del manico. Però Bruxelles annuncia «riduzioni della domanda» coordinate. Tradotto: meno metano, razionamenti, produzioni a singhiozzo, licenziamenti. Dicono che quella in corso fra Europa e Russia sul prezzo del gas sia una partita a scacchi, ma a me sembra più una corsa fra auto, lanciate nella notte una contro l’altra. Di certo, la proposta di Mario Draghi di mettere un tetto al prezzo del gas, per evitare che Putin continui a guadagnare una montagna di soldi grazie alla guerra, mi sembra un’idea rischiosa. Proprio perché dall’altra parte non abbiamo un avversario che si prepara alla mossa dell’arrocco, ma un tipo che è disposto a lanciarsi a tutta velocità contro di noi, mettendo a repentaglio sé stesso pur di vincere. Di quanto sia determinato e folle, ma anche cinico e pronto all’azzardo, ne abbiamo avuto prova con il grano, che essendo bloccato nei silos ucraini è diventato un’arma nelle sue mani con il rischio di una crisi alimentare planetaria. E ora siamo al gas: è bastato che a Bruxelles si cominciasse a discutere di come ridurre la dipendenza della Ue dal metano russo, che Mosca ha giocato d’anticipo, tagliando le forniture a Germania e Italia, cioè ai due principali importatori. Qualcuno potrebbe pensare che chiudere parzialmente il rubinetto sia un’arma a doppio taglio, che fa male a noi ma anche a Putin, il quale vede diminuire i profitti che sorreggono la già fragile economia russa. Sbagliato, perché aver tagliato il metano all’industria europea ha fatto lievitare i prezzi sul mercato. Risultato: noi ci siamo ridotti le forniture, ma lo zar del Cremlino ha continuato a vedere entrare nelle sue casse lo stesso fiume di denaro, perché le quotazioni sono cresciute del 40 per cento. Detto in parole povere, quella che era considerata una mossa per piegare la Russia e indurla alla resa, si è rivelata un boomerang, perché abbiamo avuto meno gas pagando di più, e alla fine Putin può vantare il miglior surplus commerciale di sempre, ovvero 100 miliardi di dollari in pochi mesi. A Palazzo Chigi, dove è nata la brillante idea del tetto del gas, osservano però che l’Europa è il principale compratore di metano russo; dunque, è il ragionamento, se il compratore fa cartello può imporre il prezzo. Peccato che il mercato non faccia distinzione fra una materia prima che arriva dalla Siberia e una che giunga dall’Algeria. Dunque, il price cap lo dovremmo imporre a tutti, con le conseguenze che vi potete immaginare. Certo, qualcuno dice che si potrebbe istituire un tetto solo per il metano che arriva via tubo, lasciando libero quello liquido e in questo modo si colpirebbero la Russia e pochi altri produttori. Ma siamo sicuri che la cosa funzionerebbe? Soprattutto, siamo certi che Putin se ne starebbe con le mani in mano ad aspettare che qualcuno gli tagli i «viveri»? Finora il dittatore russo ha dimostrato di essere un pazzo dotato di una certa lucidità o, quantomeno, di essere circondato da una cerchia che anche in una guerra terribile come quella in corso dimostra una discreta lucidità. Che succederebbe dunque se di fronte all’idea di porre un livello massimo del prezzo, lo zar decidesse di staccarci completamente il tubo del gas come ritorsione? So che il primo a farsi male sarebbe lui, ma noi potremmo farcene di più. Già oggi la Germania ha annunciato lo stato d’allarme, lasciando intendere che nei prossimi mesi non solo i prezzi del gas saliranno, ma che di metano non ce ne sarà per tutti e dunque si dovranno adottare misure di razionamento. Se invece di ridurre del 40 per cento le forniture Mosca le azzerasse, che cosa capiterebbe? A Berlino si stima una perdita in termini di Pil che sfiora i 200 miliardi e lo scivolamento del Paese verso la recessione, con un potere d’acquisto in diminuzione e una disoccupazione in aumento. Da noi, i conti non sono stati fatti, ma è facile prevedere che l’impatto non sarebbe da meno, perché senza gas non c’è elettricità e dunque, oltre a restare al freddo, bisognerebbe fermare intere fabbriche, soprattutto quelle energivore, con messa in cassa integrazione dei dipendenti. E qui torniamo alla metafora non del giocatore di scacchi, ma del guidatore lanciato contro un altro a tutta velocità. Chi si scanserà prima? Putin o noi? Ovviamente, tralascio le considerazioni degli esperti che ritengono improponibile l’idea di Mario Draghi di mettere il cappello al prezzo del gas. Ad aprile Roberto Cingolani, ministro della Transizione energetica, aveva definito poco intelligente la proposta del price cap a livello nazionale, lasciando aperta la porta a un intervento europeo. È vero che il Vecchio continente è un cliente importante per Putin, ma siamo sicuri che basti fare cartello per condizionare le quotazioni? Noi consumiamo circa un terzo della produzione mondiale e siamo un mercato in decrescita, mentre in Asia la domanda di gas aumenta. Chi ci assicura che altri Paesi non trovino conveniente comprare anche a un prezzo più alto di quello che noi abbiamo fissato? Certo, c’è l’ostacolo del tubo, ma i cinesi potrebbero costruire un gasdotto a tempo record. E noi in tal caso che faremo? La verità è che i tentativi di imbrigliare il mercato in un mondo che non si controlla e che ha una domanda crescente è praticamente impossibile. Se vogliamo dircela tutta, il price cap non solo è inapplicabile, ma per di più rischiamo di farci del male.Capisco le ragioni di Mario Draghi e la sua volontà di piegare la Russia, ma temo che l’approccio dirigistico verso il mercato non funzioni. L’unico vero cap che si può porre è una diminuzione dei consumi, ma equivale a razionare il metano, ovvero a spegnere alcune industrie, imponendo delle fasce orarie per riscaldare le case. Io credo che non sia possibile, perché simili misure, oltre ad avere un impatto molto forte sulla guerra, ne avrebbero uno altrettanto forte sull’economia. E allora, che si fa? C’è poco da fare, anzi non c’è niente da fare. Per quanto l’Europa si affanni, la guerra non finirà per un cannone in più e nemmeno per una sanzione in più. Come ha osservato con un certo cinismo l’editorialista di un giornale belga, il conflitto si concluderà quando gli europei cambieranno atteggiamento dopo aver fatto il pieno e la spesa al supermercato. In pratica, quando si accorgeranno che la macchina di Putin è lanciata a tutta velocità contro la nostra.