Ansa
Prima Massimo Galli, che attribuiva i postumi della malattia alle iniezioni. Adesso, Andrea Crisanti ammette che chi ha porto il braccio «è meno protetto». Anche il «Bmj» svela dati inquietanti. Eppure qui preparano l’ennesimo booster.
Il direttore del Galeazzi scrive alla «Verità»: ho fatto decadere quella disposizione. Però dal Lazio al Friuli Venezia Giulia, dal Trentino alla Toscana, sempre più strutture rifiutano interventi (anche piuttosto urgenti) a chi non ha fatto la terza dose. Discriminata pure una giovane in gravidanza. Che poi è deceduta.
Ci sono alcune scelte della campagna vaccinale che sono difficili da spiegare e ancor più da comprendere. Una di queste è la decisione di iniettare il farmaco anti Covid senza fare alcuna distinzione di età. In primavera, con la nomina del generale Francesco Paolo Figliuolo a capo della struttura commissariale, prime e seconde dosi vennero pianificate cercando di favorire le persone più a rischio e tra queste, oltre ai sanitari che sono a stretto contatto con i malati, furono indicati gli ottantenni, per poter poi passare a settantenni e sessantenni. E ciò è comprensibile, oltre che condivisibile, visto che il maggior numero di ricoveri in terapia intensiva e di decessi, sin dall’inizio della pandemia si sono registrati dai 60 anni in su, meglio dare la priorità a chi ha maggiore bisogno di essere protetto. Curiosamente però, con la terza dose si è scelta un’altra strada: non più corsie preferenziali per i più anziani, ma porte degli hub vaccinali aperte a chiunque volesse ricevere il famoso «booster». Una decisione che sorprende, soprattutto se si guarda ai dati diffusi dall’Istituto superiore di sanità riguardo alla mortalità e alle ospedalizzazioni nel periodo autunnale. Nel mese che va dalla prima settimana di ottobre alla prima di novembre, la gran parte dei decessi e dei ricoveri in terapia intensiva hanno riguardato soprattutto le persone più avanti negli anni. Tra gli ottantenni, i morti sono stati 743, di cui 232 non vaccinati, 498 vaccinati con seconda dose e 13 con una sola. E dai 60 anni in su, i deceduti per Covid sono stati in totale 397, dei quali 221 non avevano ricevuto neppure una dose, 13 avevano fatto solo la prima e 170 entrambe. Non diversa la situazione in terapia intensiva, che nel mese compreso fra ottobre e novembre vedeva ricoverati 122 ottantenni e 510 persone di età variabile tra i sessanta e gli ottant’anni. Insomma, le persone più colpite dal virus risultavano anche le più anziane. Tuttavia, pur di fronte a questi dati, si è preferito aprire le vaccinazioni a tutti, senza tener conto che questo avrebbe potuto penalizzare proprio le persone più fragili, ossia quelle da proteggere prima degli altri. Se davvero i vaccini perdono efficacia dopo alcuni mesi (tre secondo alcuni studi, sei a parere dell’Istituto superiore di sanità), chi si è vaccinato prima ed è a rischio elevato dovrebbe essere privilegiato. E invece no, si è deciso di aprire le porte degli hub vaccinali a tutti, salvo poi lamentarsi perché all’appello dei vaccinandi non si sono ancora presentati oltre sei milioni di persone con più di 60 anni.
Da giorni sui principali quotidiani si possono leggere appelli rivolti agli anziani affinché si vaccinino al più presto con la terza dose. Ma allo stesso tempo, si registrano file di persone più giovani che dopo l’invito ad anticipare l’iniezione si affollano senza che vi sia una particolare urgenza. A complicare le cose ci si mette poi il fatto che i vaccini Pfizer, cioè quelli più usati dopo l’accantonamento sia di Astrazeneca sia di Johnson&Johnson, scarseggiano e alcuni temono che la vaccinazione eterologa, cioè con un altro farmaco (in questo caso Moderna), sia rischiosa. Non ci si poteva pensare prima? Soprattutto, visto che il sistema rischiava di ingolfarsi e di rallentare la campagna vaccinale dei più anziani, cioè delle persone più in pericolo, non sarebbe stato preferibile rinviare l’inoculazione dei minori? Al di là di qualche allarmista di pronto intervento, che per riempire una pagina si trova sempre, gli esperti concordano nel dire che i bambini non hanno un rischio elevato di ammalarsi di Covid. Anzi, secondo alcuni i piccoli possono avere effetti collaterali che dovrebbero indurre ad attendere prima di vaccinarsi.
Perché dunque questa fretta che per di più va a scapito dei nonni? La risposta non c’è, se non che i bambini possono ammalarsi e contagiare gli adulti e dunque anche gli anziani. Questo lo abbiamo capito, ma siccome potranno contagiarsi anche in futuro, visto che il vaccino protegge, ma fino a un certo punto, non sarebbe stato meglio favorire chi è avanti negli anni? La risposta non c’è, perché nessuno la dà. La sola cosa che si registra è l’accusa a chi non ha ancora fatto la terza dose di essere un ritardatario. In pratica, è colpa loro se non hanno ancora trovato posto per vaccinarsi. Non della confusione che si è creata. Non delle dichiarazioni rassicuranti che fino a pochi mesi fa spargevano i virologi. Non molto tempo fa, Massimo Galli si diceva sconcertato del dibattito sulla terza dose e precisava che a parlarne era soprattutto la casa farmaceutica e si chiedeva: serve? «Prima che mi convincano dell’opportunità di rivaccinarmi con la terza dose con il vaccino impostato su un virus che girava a Wuhan a marzo 2020, bisogna che mi convincano che non ho più una risposta immune». «Altrimenti», proseguiva, «vogliamo far fare a tutti i sanitari d’Italia da elemento di sperimentazione per la terza dose con un’imposizione burocratica? Se sono queste le intenzioni personalmente sono contrario. Per il momento la terza dose è una sparata e ha contenuti di ordine soprattutto politico». Ma se lui invitava a prendere tempo, che colpa ne hanno i sessantenni che non sono corsi a rivaccinarsi?