Non c’era niente da rivedere. Dopo sei ore di Camera di Consiglio la corte d’Appello di Brescia ha deciso che Olindo Romano e Rosa Bazzi rimangono all’ergastolo. La pur agguerrita difesa non ha fatto breccia e ciò che era stato deciso da tre gradi di giudizio e 21 giudici resta graniticamente in piedi: sono loro i responsabili della strage di Erba. Sono loro gli assassini di tre adulti e un bambino di due anni, il piccolo Youssef, che oggi ne avrebbe 19. Come disse in tribunale il testimone oculare Mario Frigerio, sopravvissuto allo sgozzamento, «sono stati loro, sono quei due delinquenti lì».
Al termine della lettura del dispositivo da parte del presidente Antonio Minervini, i sentimenti in aula sono i più disparati. Soddisfatte le parti civili. «Vorremmo che ora le vittime potessero riposare in pace e confidiamo che sia finito questo rimestare le stesse carte, perché di prove nuove non ce ne sono», afferma Massimo Campa, legale della famiglia Castagna. «La parola che rappresenta meglio i miei assistiti è “sollievo”. Ora possono cercare di voltare pagina».
Deluso il pool dei difensori (Fabio Schembri, Nico D’Ascola, Luisa Bordeaux e Patrizia Morello), che non ha intenzione di chiudere la partita. «Leggeremo le motivazioni e ricorreremo in Cassazione», sottolinea Schembri. «Sono convinto che non siano stati loro e finché non verranno riaperte davvero le indagini, resto della mia idea». All’udienza era presente anche Azouz Marzouk, ex spacciatore, padre e marito di due delle vittime: «Non sono stati loro», ha ribadito. Domanda a bruciapelo: non è il momento di chiedere scusa ai Castagna? Risposta sua: «Non li conosco».
Ora Olindo e Rosa tornano ad affrontare il loro destino, segnato la sera dell’11 dicembre 2006 quando uccisero in rapida successione per futili motivi (dissapori tra vicini) Youssef Marzouk, due anni, trovato con due pugnalate alla gola; Paola Castagna (la nonna di Youssef), Raffaella Castagna (la mamma), più Valeria Cherubini (la vicina). Il marito di quest’ultima, Mario Frigerio, in fin di vita per una coltellata alla gola, fu salvato da una malformazione congenita della carotide, deviata rispetto al normale. Fu lui ad accusare Olindo in aula: «L’ho visto, mi fissava con gli occhi da assassino, non dimenticherò mai il suo sguardo». Il testimone oculare (morto nel 2014) portò i procedimenti a sentenze oltre ogni ragionevole dubbio. Con l’aggiunta della doppia confessione dei responsabili e di una macchia di sangue della Cherubini sul battitacco della Seat Arosa di Olindo.
Nonostante ciò, negli anni ha preso forma attorno al caso una legittima vena innocentista, cavalcata mediaticamente da alcuni giornali e dalla trasmissione Le Iene. E si è fatta largo la tesi del massacro ordito da una fantomatica «’ndrangheta della zona» per vendetta nel mondo dello spaccio. L’estate scorsa ecco la svolta. Il sostituto procuratore generale Cuno Tarfusser ha riaperto il caso con un blitz giudiziario, incaricandosi in autonomia di chiedere la revisione del processo. La stessa procuratrice generale di Milano, Francesca Nanni, era contraria e - pur trasmettendo gli atti a Brescia - allegò un parere negativo dichiarando «inammissibile e infondata» l’istanza.
Inammissibile perché proveniva da un soggetto non legittimato (Tarfusser) e infondata perché mancavano a suo dire «presupposti e nuove prove decisive per la riapertura del caso». Un corto circuito giudiziario in piena regola, visto che alla fine il pm è stato sanzionato dal Csm con una censura e con una motivazione agghiacciante: «Tarfusser ha agito come se fosse l’avvocato di Olindo e Rosa. Ha chiesto la revisione da solo per avere visibilità mediatica». Al dibattimento per decidere la revisione, la partita a scacchi si è giocata con le consuete pedine. Da una parte l’accusa. «Per riassumere questa vicenda mi viene in mente un film degli anni 50, Il grande bluff», ha detto l’Avvocato generale dello Stato Domenico Chiaro, che ha scandito: «Qui non ci sono tre prove, ma una cascata di prove che è impossibile ribaltare». Il procuratore generale Guido Rispoli è sceso nei dettagli: la criminalità organizzata non fa agguati in un condominio dentro una corte chiusa e con l’auto lontana. La criminalità organizzata non usa come armi una spranga e un coltello. E non uccide un bambino di due anni perché pagherebbe l’infamia in carcere. Inoltre, nessuno aveva minacciato Azouz Marzouk. Anzi lui era tranquillissimo e dopo la mattanza diceva - agli atti - che quello «era il periodo migliore della sua vita perché gli offrivano lavoro e sesso».
Per il pool di difesa, invece, ciò che era bianco diventava nero. Frigerio? È inattendibile perché l’uomo era sotto sedativi e soffriva di amnesie. La macchia di sangue? «È degradata nel tempo, quindi non è valida». Le confessioni? Sono state estorte. In più c’è il mistero della Cherubini, che non sarebbe stata uccisa in casa Castagna ma nella sua abitazione dai killer. Quali killer?
Quelli che volevano vendicarsi di Marzouk e avrebbero compiuto la mattanza «per questioni di traffico di droga, poi fuggiti da un terrazzino o dai tetti della casa».
I legali alla fine hanno elencato 243 presunti errori nell’inchiesta e hanno ribadito che «le sentenze non hanno chiarito i dubbi, ma li hanno nascosti». Secondo i giudici non è così. Tarfusser invece rincara la dose: «Sono deluso da una giustizia che non coltiva più la cultura del dubbio. Non è quella che ho servito per 40 anni con dedizione, il sistema è marcio».
Mentre l’aula si svuota, Olindo Romano e Rosa Bazzi (oggi 61 e 60 anni) tornano in prigione. A questo proposito lei ha dato parere negativo al trasferimento del marito nel carcere di Bollate, dove è detenuta, «perché si sentirebbe turbata». Per loro il chiavistello delle celle tornerà ad essere una lugubre colonna sonora. Forse per sempre.




