Da sinistra: Alfonso Bonafede, Sabino Cassese, Sergio Mattarella e Stefano Bonaccini (Ansa)
Il Quirinale, Bruxelles, un candidato alla segreteria del Pd: al club degli estimatori del testo che ha riempito di buchi la giustizia si sono iscritti in tanti. Quasi tutti a sinistra. Con in testa Sergio Mattarella, che fu il grande sponsor di una legge che definì «ineludibile».
I processi ordinari rischiano di saltare a causa delle nuove norme in tema di reati. In tanti casi si procederà penalmente solo dopo la presentazione di querela. E così ladri, truffatori e papponi rischiano di farla franca.
La Consulta non ammette il referendum per liberalizzare la cannabis («nascondeva pure la legalizzazione della coca») e quello sulla responsabilità civile delle toghe. Via libera invece agli altri quesiti sulla giustizia per limitare lo strapotere della magistratura e il peso delle sue correnti nel Csm. Che la riforma Cartabia non riesce a intaccare.
Giuliano Amato bacchetta i promotori: «I riferimenti alle droghe pesanti violavano obblighi internazionali». Poi il richiamo al Parlamento: «Pensi ai temi etici». Festeggia Fdi.
Matteo Salvini esulta insieme a Forza Italia, ma restano le distanze con Fdi: «No alle polemiche, può nascere un centrodestra garantista».
Numerose criticità mettono la riforma a rischio di incostituzionalità. Dalle valutazioni caratterizzate da un ampio margine di discrezionalità all'illogica classificazione dei reati. E infine la sostanziale abolizione del principio di uguaglianza tra imputati.