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Nella sesta puntata di Rovescio, Giorgia Pacione Di Bello affronta con l'avvocato Pietro Frisani di Difendimi.com e il giornalista Michele Damiani, un altro tema scottante relativo alle pensioni.
Nella sesta puntata di Rovescio, Giorgia Pacione Di Bello affronta con l'avvocato Pietro Frisani di Difendimi.com e il giornalista Michele Damiani, un altro tema scottante relativo alle pensioni.
C’è chi chiede una rivalutazione delle pensioni adeguandole all’inflazione e chi non vuole l’abolizione del vantaggio pensionistico maturato per i dipendenti pubblici e chi vuole la non applicazione della «nuova» quota 103. Le associazioni sindacali di medici o, più in generale, che si occupano di sanità, sono oggi tutte unite nel combattere una battaglia comune. Evitare in ogni modo che dal 2024, a seguito di alcune norme inserite nella manovra, molti camici bianchi perdano una fetta importante della propria pensione.
D’altronde, le pensioni dei medici vengono bersagliate su tre fronti. In primis, viene riesumata quota 103 «e mezzo» che introduce sempre il criterio di 62 anni di età e di 41 anni, ma con un incremento del periodo, le finestre, per uscire dal mondo del lavoro. Dai tre mesi di scivolo ai sei mesi per i dipendenti privati e da 6 mesi a 9 mesi per pubblici dipendenti. C’è poi il ricalcolo pensionistico realizzato solo attraverso il sistema contributivo e dicendo addio al metodo «misto» con cui si conteggiavano anche gli anni retributivi di contributi prima del 1996, e l’imposizione di un limite all’importo delle pensioni sino a quattro volte il minimo Inps. Dulcis in fundo, è stata prevista la revisione delle aliquote di rendimento delle pensioni per i dipendenti pubblici iscritti ad alcune Casse previdenziali.
«Chi va in pensione nel 2024 viene penalizzato se non viene cambiata la norma», spiega Roberto Bonfili, coordinatore nazionale area medico-veterinaria Uil-Fpl (Federazione Poteri Locali), la categoria della Uil che rappresenta i lavoratori della sanità (pubblica e privata), delle autonomie locali, del terzo settore. «Siamo fortemente preoccupati e sdegnati per la norma di adeguamento al ribasso delle aliquote di rendimento delle gestioni previdenziali dei medici e dirigenti sanitari previste nella legge finanziaria per il 2024, che taglierà gli assegni pensionistici fino al 30%». Come spiega Bonfili, abbiamo chiesto, «una flessibilità di accesso al pensionamento intorno ai 63 anni, come avviene in tutti i Paesi Ue. Per le pensioni in essere, abbiamo chiesto la piena rivalutazione all’inflazione».
«Riteniamo che nei rapporti tra Stato e cittadini sia fondamentale il mantenimento degli impegni assunti; le modifiche dovrebbero essere piccoli aggiustamenti, piuttosto che modifiche di parametri decisi 27 anni prima», spiega Alessandro Garau, segretario nazionale CoAS Medici Dirigenti. «Non possiamo che chiedere che queste modifiche di tipo retroattivo, vengano emendate, o del tutto cassate, nel passaggio parlamentare». Il riferimento è tutto alla nuova introduzione di quota 103. «Come mi ha detto pochi giorni fa un collega, ci hanno promesso Quota 100, ma sono riusciti a peggiorare persino la Legge Fornero», spiega. «Il peggioramento dei servizi sanitari è già in atto da anni senza tema di smentita per la carenza di medici nelle diverse specialità, in particolare quelle afferenti i Dea (Dipartimenti di Emergenza Urgenza). Anche Servizi squisitamente pubblici come quello della Prevenzione o della Psichiatria hanno già ridotto il loro output».
«Le restrizioni sul sistema pensionistico potrebbero essere temperate nel medio-lungo periodo restituendo libertà di scelta al dipendente su requisiti e metodo di calcolo al momento della pensione. Eliminando decadenze e irrevocabilità di opzioni che negli anni sono intervenute», aggiunge Tiziana Cignarelli, segretario generale confederazione Codirp, la confederazione di dirigenti della Repubblica che rappresenta i dirigenti delle Funzioni centrali, dell’area di istruzione e ricerca e della sanità.
«Siamo molto preoccupati», spiega alla Verità, Mauro Mazzoni, segretario nazionale medici del territorio Simet e coordinatore nazionale Fassid. L’associazione, come spiega Mazzoni, prevede «un’ecatombe di presenze (50.000), che si somma alla già drammatica carenza di personale e alla fuga dei medici dal Servizio sazionale, a rischio default».
«Per quanto riguarda i medici e gli infermieri e le penalità previdenziali previste in manovra, l’Ugl ritiene fondamentale raggiungere gradualmente una posizione più equa rispetto ad altre categorie professionali, riequilibrando la rivalutazione delle pensioni sulla base di criteri ispirati all’equità e alla giustizia sociale», ribadisce Gianluca Giuliano, segretario nazionale Ugl Salute. «Sarebbe opportuno, in tal senso, bloccare innanzitutto l’approvazione di questa norma e, in secondo luogo, aprire un tavolo per discutere di tale materia all’interno di una riforma complessiva del sistema previdenziale».
«Il tema della penalità previdenziale», Rosaria Iardino, presidente della Fondazione the Bridge, che si occupa di politiche sanitarie e sociali, «è solo l’ultimo anello di una catena di problematiche che si sommano, e la cui soluzione richiede un approccio sistemico. Prendiamo ad esempio il caso delle borse di specialità, che hanno più domande di quanto siano i posti disponibili, o del decreto Calabria, grazie al quale gli ospedali possono assumere specializzandi già a partire dal secondo anno, a scapito di un’adeguata formazione del personale medico».
E adesso cosa succederà nel vertice di maggioranza di domani? Forza Italia e Lega presenteranno altre proposte di modifica o la quadra trovata in queste ora sarà considerata soddisfacente? E soprattutto la volontà espressa dal premier Giorgia Meloni di blindare la legge di bilancio con l’impegno dei partiti di governo a non «inserire» emendamenti sarà rispettata o si tornerà all’atavico andazzo delle misure bandierina da piazzare in fretta e furia e ad ogni costo? Gli interrogativi si tengono e infatti più passano le ore e più quella che sembrava una mission impossible, individuare un punto di caduta rispetto al quale poi la colazione avrebbe garantito «zero cambiamenti» in Parlamento, è diventata l’ipotesi più realistica: la manovra, almeno per quanto riguarda Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, va verso l’inemendabilità. Motivi? Sicuramente la strada è stata spianata dall’intesa di fatto sulla cedolare secca sugli affitti brevi. Sale certo dal 21 al 26%, ma l’aumento si applica solo dalla seconda casa data in locazione in poi. Un compromesso che i partiti giudicano in modo abbastanza positivo perché tutela i proprietari che affittano un singolo immobile. Matteo Salvini del resto aveva «preteso» e ottenuto già il giorno prima che sulle pensioni si tornasse indietro da quota 104 a 103. E quindi, a quelle che venivano considerate le principali storture della legge di bilancio è stata messa quantomeno una pezza.
Dire che Carroccio e Forza Italia siano soddisfatti è una parola grossa, fosse per Antonio Tajani la norma sugli affitti brevi dovrebbe essere stralciata, così come sarebbe necessario un intervento sulle pensioni minime. Mentre Salvini eliminerebbe anche adesso le penalizzazioni a quota 103. La riduzione delle finestre per uscire, il calcolo dell’assegno con il contributivo e l’indicazione di un limite pari a poco più 2.200 euro lordi al mese, ma il messaggio che è passato un po’ a tutti è chiaro: ci sono gli occhi della Commissione (il parere di Bruxelles è atteso per il 21 novembre) e delle agenzie di rating (il più pericoloso è il giudizio di Moody’s del 17 novembre), i saldi devono praticamente restare invariati.
Anche ieri infatti il premier ha tenuto il piede sull’acceleratore: «La manovra è un lavoro che abbiamo sostanzialmente concluso. È stata inviata dal Mef a palazzo Chigi e lunedì la invieremo al parlamento», ha evidenziato la Meloni ad Acqualagna, in provincia di Pesaro e Urbino, dopo la firma dell’accordo di Coesione tra la presidenza del Consiglio e la Regione Marche, «voglio aggiungere che non e stata modificata rispetto ai saldi di bilancio che sono stati approvati nel Consiglio dei Ministri, siamo quindi pronti a procedere e confido che faremo del nostro meglio anche per approvarla in tempi rapidi e dare un segnale di serietà e idee chiare da parte dell’Italia».
Tra i due alleati della Meloni, di certo i forzisti sono i più insofferenti. Forza Italia vorrebbe che venisse fatto un altro passo in avanti non solo sulla cedolare secca, ma anche sull’aumento dell’Iva che riguarda i prodotti per l’infanzia come i pannolini e di igiene intima come gli assorbenti. E domani, il numero uno azzurro dovrebbe vedere il premier per un chiarimento sul merito a palazzo Chigi. Una sorta di incontro preparatorio al vertice di maggioranza già previsto. «Siamo fiduciosi che si arriverà presto ad una soluzione che metta tutti d’accordo e acceleri l’approvazione della manovra», sottolinea Raffaele Nevi, portavoce nazionale di Fi, che getta acqua sul fuoco delle polemiche. Insomma, con quello che è successo in questi giorni nessuno può escludere che ci siano altri colpi di scena, ma al momento è probabile che nel corso del vertice di lunedì, la maggioranza dia il via libera a un testo condiviso e che la Meloni ribadisca lo stesso concetto espresso un paio di settimane fa: niente emendamenti alla manovra per velocizzare l’iter, dare un segnale di compattezza della maggioranza ed evitare il giro di «mance» che caratterizza la chiusura di ogni finanziaria.
All’incontro dovrebbero partecipare oltre ai capigruppo dei tre partiti della coalizione anche i leader di Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega, oltre al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’attuazione del programma Giovanbattista Fazzolari.
Nell’ultima stesura, la manovra da 24 miliardi sale a 109 articoli, rispetto agli 89 delle precedenti versioni, con l’aggiunta di 20 articoli che riguardano i saldi dei ministeri. Mancano però le tabelle, grazie alle quali si capirà l’effetto della spending review sui singoli dicasteri. E anche su questo punto i partiti sono in fibrillazione.

