Se un marziano fosse sceso ieri sulla terra e si fosse fermato a un'edicola per comprare la copia della Stampa, giornale sabaudo della famiglia Agnelli, avrebbe concluso che un gruppo di appartenenti ai centri sociali era caduto vittima del tranello tesogli da Matteo Salvini. Il perfido capitano leghista infatti lunedì è sceso dalla Padania fin giù giù a Mondragone, paese del litorale casertano dove si sono registrati casi di coronavirus ma soprattutto disordini per via della presenza di un gruppo di rom. Ufficialmente il viaggio avrebbe dovuto consentire all'ex ministro dell'Interno di incontrare la gente del posto che non vuole gli abusivi accanto a casa propria e perciò li vorrebbe rispedire dalle parti da cui provengono. Ma in realtà il vero obiettivo dello scaltro Salvini era avvicinarsi ai palazzi illegalmente occupati, dove anche le forze dell'ordine faticano a entrare, per poi far scattare un trappolone. Un gruppo di antagonisti, cioè di militanti dei centri sociali, senza neppure accorgersene è caduto vittima dell'agguato leghista, impedendo al leader padano di parlare. Striscioni, urla, insulti, lanci di sassi, uova e acqua. Le cose più tenere che si siano sentite sono state buffone e sciacallo. I manifestanti hanno provato a sovrastare con le grida il discorso di Salvini, ma visto che questo procedeva imperterrito e per di più supportato da robusti altoparlanti, alla fine qualcuno si è incaricato di tagliargli i fili, al fine di zittirlo. Che poi è ciò che intimamente Salvini desiderava, ovvero di essere censurato per potersi atteggiare a martire. «I contestatori non capiscono qual è il gioco», scriveva ieri La Stampa a uso e consumo del marziano arrivato sulla terra, «e gli servono su un piatto d'argento le munizioni del vittimismo. Una storia già vista». Il titolo del commento è ancora più efficace: «Chi fischia il Capitano lo aiuta». Tuttavia il quotidiano sabaudo non è il solo a pensare che non solo Salvini se le vada a cercare, le contestazioni, ma addirittura le provochi, nella speranza di trarne un vantaggio politico. Lasciamo perdere le cronache apparse su altri quotidiani, dove i cronisti faticano a nascondere la soddisfazione di aver visto Salvini battere in ritirata, senza poter concludere il suo comizio. Sul Corriere della Sera ad esempio si accosta il nome dell'ex ministro a quello dell'ex segretario generale della Cgil, Luciano Lama, cui nel 1977 fu impedito di parlare all'università La sapienza di Roma. Paragonarlo al famoso sindacalista è decisamente troppo secondo l'inviato a Mondragone, e però «adesso anche Salvini ha il suo comizio negato, nemmeno iniziato, soffocato sotto una valanga di fischi, cori e canzoni a sfotterlo». Sì, insomma, ci siamo capiti, l'ex ministro se l'è cercata, «perché le sue visite al Sud hanno spesso questa impostazione». In pratica il senso è che Salvini va a caccia di guai. Non va lungo la costiera campana per farsi una vacanza, come accadde un anno fa in Romagna. Va là dove sa che esiste un problema, per appoggiare una protesta e portare la sua solidarietà. «Ma stavolta il Capitano ha fatto male i conti», spiega Repubblica, perché, è sott'inteso, ha trovato pane per i suoi denti, ovvero chi lo ha contestato, così impara a gettare benzina sul fuoco. Concetto espresso mica solo sui giornali, ma anche in tv, dove l'altra sera mi è toccato precisare che nessuno ha il diritto di impedire a nessuno di parlare. Che si chiami Salvini, Di Maio, Zingaretti o Conte, qualsiasi leader politico può andare dove vuole e fare comizi dove gli pare. Dirlo mi sembrava perfino banale. Ma fino a un minuto prima avevo sentito spiegare con una certa saccenteria che se c'era chi aveva contestato il leader leghista era perché questi si era spinto là dove non avrebbe dovuto, cioè in una «zona rossa». Ma l'idea che si debba togliere il diritto di parola o impedire a qualcuno di entrare in una città è roba d'altri tempi, quando i comunisti erano pronti a spaccare le teste e mettere a ferro e fuoco le città pur di impedire un comizio. Ricordate? Era il 30 giugno di 60 anni fa quando Cgil e Pci si mobilitarono contro Giorgio Almirante allo scopo di impedire un congresso del Msi a Genova. Scontri, sassi lanciati e cassette delle lettere divelte: alla fine in 43 finirono a processo. Anche allora si pensava che la colpa fosse del segretario del Movimento sociale, perché aveva scelto Genova per gettare benzina sul fuoco. Ma in realtà ad appiccare l'incendio oggi come allora sono sempre coloro che si dicono democratici. L'altro ieri a Mondragone per fortuna non è accaduto nulla di grave, nel senso che non ci sono state teste spaccate o arresti. E però la matrice dell'intolleranza è la stessa di 60 anni fa. Per dirla con un vecchio titolo di un libro dedicato a quanti erano passati direttamente da Mussolini a Togliatti, senza soluzione di continuità: Fascisti rossi.
Scorrendo le carte dell'inchiesta bergamasca sul sistema di gestione dell'immigrazione, ancora una volta si capisce come - all'origine di tante storture e di tanto malaffare - ci sia sempre lo stesso approccio ideologizzato alla questione migratoria: la fatale commistione fra la politica e le varie organizzazioni che si occupano di ospitare gli stranieri.
A questo proposito è molto interessante leggere alcune conversazioni intercettate dagli inquirenti bergamaschi. La prima è quella tra Maria Carolina Marchesi, assessore alle Politiche sociali della giunta Gori in quota Pd e Bruno Goisis, presidente della cooperativa Ruah, attualmente indagato. Secondo gli investigatori, il dialogo tra i due «dimostra in modo evidente la complementarietà tra la “politica" in senso stretto e le strutture private ad essa collegate»
È il primo agosto del 2018. La Marchesi chiama Goisis per discutere un problema stringente. Un altro indagato, Francesco Bezzi dell'associazione Diakonia legata alla Caritas bergamasca, si è rivolto all'assessore per chiedere più soldi. Bezzi vorrebbe che fosse aumentata la retta giornaliera corrisposta dalle istituzioni per i minori stranieri ospitati nella struttura «Casa anche me», utilizzata per i progetti Sprar. Nello specifico, la richiesta è che la cifra versata salga da 57 a 75 euro al giorno. La Marchesi spiega a Goisis che il Comune di Bergamo non è in grado di sostenere costi simili: «Non riusciamo ad arrivare a 75 nella maniera più assoluta, io i soldi non li ho non me li danno neanche, già faccio fatica a tenere quelli che eh... vabbé che dobbiamo, ma io non ce la faccio eh... io a questo punto veramente sarei costretta a dire mi dispiace e li porterò da un altra parte dove mi costano 67 euro 66 euro». Fin qui sembra tutto normale: la coop vuole più denaro, il Comune si tira indietro.
Dal seguito della conversazione, però, sembra di capire che - se fosse per l'assessore - i soldi arriverebbero eccome. I problemi riguardano piuttosto il momento politico. Nell'agosto 2018, infatti, al ministero dell'Interno c'è Matteo Salvini.
«Io non ce la faccio per 4 ragazzi 75 euro al giorno eh..., non ce la faccio assolutamente, quindi sto facendo anche quella roba lì. Hai visto che lo Sprar minori non arriverà mai più», spiega la Marchesi, facendo capire che i denari per la gestione dei migranti verranno tagliati dal nuovo governo. A queste condizioni, non si può stipulare una nuova convenzione che consenta di aumentare la retta giornaliera per i migranti. Le associazioni, aggiunge la Marchesi, avrebbero dovuto muoversi prima: «Ma gliel'avevo detto, gliel'avevo detto, guarda gli avevo detto uno facciamola entro marzo perché così ci portiamo avanti. […] Hanno voluto aspettare giugno e questo è il risultato. Se l'avessimo fatto a marzo, probabilmente lo portavamo a casa». Adesso però è troppo tardi, perché al potere ci sono i temibili sovranisti. Goisis concorda: «Ci taglia tutto questo», dice, riferendosi a Salvini.
L'assessore Marchesi spiega che loro, come Pd, le hanno provate tutte. Dice che Elena Carnevali, deputato dem, ha fatto un'interpellanza in proposito, ma non è stata ascoltata.
Goisis: «Non è servito a nulla».
Marchesi: «Ma no anzi peggiora la situazione perché́ guarda che noi avevamo anche contattato il Belotti (Daniele Belotti, deputato della Lega, ndr)».
Goisis: «Eh... e lui?».
Marchesi: «Siccome Gaspare (Passanante, dirigente del Comune di Bergamo, ndr) gioca a pallone con lui…».
Goisis: «Sì».
Marchesi: «Eh, gli aveva mandato un messaggino dicendo “oh non è che ci lasciate nelle pezze come Comune che ci servono quei soldi lì", quindi in maniera molto informale».
Goisis: «E lui?».
Marchesi: «Gli ha risposto, no, no gli ha risposto e gli ha detto che eh... “se Gori non avesse fatto le cazzate che ha fatto prendendosi i profughi, adesso il Comune non avrebbe bisogno di soldi"».
Goisis: «Ma non è proprio così».
Marchesi: «E comunque i soldi non ci sono, si, si, si, si giuro».
Goisis: «Che stronzo!».
Marchesi: «Chiedi a Gaspare, e chiedi a Gaspare uhm chiedi a Gaspare che tra l'altro ha cancellato il messaggio perché ha detto “mica che qualcuno mi venga a dire qualcosa poi"».
Goisis: «Ah (ride)».
Marchesi: «Sì,sì«.
Goisis: «Che stronzi».
Chiaro: se fosse per il Pd, i soldi per aumentare le rette si troverebbero, ma con «gli stronzi» al governo, i rubinetti sono chiusi. Nell'estate del 2018 la questione del cambio di esecutivo è oggetto di parecchie conversazioni tra i protagonisti dell'inchiesta bergamasca. Qualcuno ci scherza pure su. Ad esempio don Alessandro Sesana, presidente della coop Nuova cascina dell'Agro, dice a Bruno Goisis (riferendosi ai migranti): «E non hai più il lavoro adesso... Salvini te li porta via tutti, quindi?». È una battuta, ma indicativa del clima. Il succo delle discussioni fra i professionisti dell'accoglienza è più o meno sempre lo stesso: il vento è cambiato, e i nuovi arrivati vogliono vederci chiaro. Chiedono documenti, rendicontazioni, fatture. I funzionari delle Prefetture si adeguano, diventano più scrupolosi, e i responsabili delle varie coop e associazioni si irritano. Il 6 luglio del 2018, ad esempio, Bruno Goisis di Ruah parla con Luca Bassis della Caritas. Quest'ultimo è arrabbiato, perché gli viene richiesto di presentare documenti che evidentemente gli uffici pubblici non hanno mai preteso prima. E, ovviamente, quelle carte non ci sono. Bassis prima se la prende in modo volgare con una donna della Prefettura di Bergamo: «Questa qua è una... posso dire una zoccola perché la conosco di persona, che fa tanto la figa con me, perché era in classe con me alle superiori e ti dico zoccola a ragion veduta perché l'ha data a tutti tranne che a me ovviamente negli anni ti posso dire nomi e cognomi e le posizioni assunte durante l'accoppiamento (ride) perché ovviamente poi tra ragazzi si parlava», dice Bassis. Goisis suggerisce di risolvere i problemi con la prefettura a modo suo: «Andiamo a trovarli e gli diciamo non rompere i coglioni».
Ma, nonostante l'atteggiamento battagliero, i guai per i documenti mancanti restano. Sempre il 6 luglio 2018, spiegano gli investigatori, Luca Bassis chiama «don Roberto Trussardi, vicedirettore della Caritas, affinché si facesse carico delle problematiche emerse con la prefettura di Bergamo […]. Di fatto quest'ultimo restava neutrale criticando anzi le scelte del suo superiore (don Claudio Visconti, ndr) che spesso si è dimostrato uso a chiedere interventi alla “politica" nella persona del sindaco di Bergamo Giorgio Gori affinché l'ente pubblico si allineasse alle sue volontà e procedesse ai pagamenti». Bassis è furente, spiega che - mancando i documenti - la Prefettura non vuole versare i soldi per l'accoglienza. «O si dà una risposta istituzionale», sbuffa, «che si dice “signori non rompeteci i coglioni ci pagate o no?". Oppure intervengono, non io, non te magari neanche, ma a livelli istituzionali superiori e ti dicono “allora cosa facciamo ci prendiamo per il culo o adesso voi smettete di pagare solo perché avete paura di Salvini?". E allora a questo punto ditemelo che chiudiamo le strutture stasera... che così quello che è stato fatto, è stato fatto e via». Anche don Roberto sembra irritato con i funzionari della prefettura, li accusa di essere degli «emeriti fannulloni» e sostiene che hanno paura del nuovo ministro dell'Interno: «Forse dicono che questo qua è in riga, il sig. Salvini».
Il problema è esattamente questo: nessuno, per lungo tempo, ha mai «messo in riga» il sistema dell'accoglienza. Ed ecco perché, ciclicamente, ci imbattiamo in inchieste come quella di Bergamo.




