Via libera dal cda di Mediobanca alla lista dei candidati al nuovo consiglio di amministrazione che conferma alla guida l’ad, Alberto Nagel, e alla presidenza Renato Pagliaro. Proprio intorno a quest’ultimo nome si è consumato l’ultimo scontro tra l’attuale vertice di Piazzetta Cuccia e Delfin, la cassaforte della famiglia Del Vecchio che è azionista con il 20%. La rosa comprende 15 nomi (al massimo 12 saranno eletti) e quattro new entry (Laura Penna, Angel Vilà Boix, Marco Giorgino e Mana Abedi) al posto dei consiglieri che hanno raggiunto i limiti di età. All’assemblea dei soci del 28 ottobre, salvo sorprese, si scontreranno dunque due liste: quella del board uscente e quella del primo azionista Delfin che avrà tempo fino al 3 ottobre per presentare il proprio elenco di candidati. Il presidente della holding dei Del Vecchio, Francesco Milleri, starebbe valutando se presentare una lista «corta» di nomi, per puntare ai due posti riservati ai soci di minoranza (il quindicesimo posto è riservato al candidato dei fondi con Assogestioni), oppure una lista «lunga», fino a 7 consiglieri, per sfidare apertamente la lista del consiglio uscente che ricandida il tandem Nagel-Pagliaro. L’obiettivo è comunque quello di dare una spolverata al management che, secondo Milleri, è cristallizzato da troppo. Delfin, però, è stata autorizzata dalla Bce a salire al 20% di Mediobanca solo come «investitore finanziario», quindi senza poter prendere il controllo della banca né incidere sulla governance. Toccherà quindi a Francoforte dirimere la questione e i contatti sarebbero stati già avviati.
In attesa di giocare la partita Mediobanca sul campo dell’assemblea, c’è un altro match che riguarda anche il futuro del governo societario di Piazzetta Cuccia e delle Generali ma che si disputa sul terreno di gioco della politica. Il Senato sta infatti esaminando il ddl Capitali che punta a evitare la fuga verso Paesi dalla normativa più favorevole come l’Olanda. I senatori Dario Damiani (Fi) e Fausto Orsomarso (Fdi) hanno presentato però degli emendamenti per cambiare le regole che oggi consentono al cda uscente di una società quotata di presentare all’assemblea la lista dei nuovi consiglieri da eleggere. Tra le modifiche proposte: la lista del cda che finora è stata indicata dal cda uscente può essere presentata solo se almeno 4/5 del cda uscente la vota; se la lista del cda raccoglie più voti in assemblea, a prescindere da quanti voti ottiene, e il secondo classificato supera il 20%, viene automaticamente portato al 49% e gli viene assegnato metà del cda; se la lista del cda arriva seconda, indipendentemente da quanti voti prende, non ha diritto ad avere rappresentanti nel nuovo cda. Gli emendamenti sono allineati alle posizioni espresse lo scorso 27 giugno durante un’audizione in commissione dall’imprenditore romano Francesco Gaetano Caltagirone, nonché azionista di Mediobanca (con il 9%) e Generali (con il 6%). Inizialmente il termine per presentare i subemendamenti era stato fissato per il 18 settembre ma poi è stato prorogato di 48 ore. Ieri la proroga è stata allungata ulteriormente: la commissione Finanze del Senato si è limitata a prendere atto dei 29 subemendamenti presentati. Il voto dovrebbe essere fissato a partire da mercoledì prossimo. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non ha ancora espresso una posizione ufficiale ma al Mef si è preferito togliere il piede dall’acceleratore. Ieri sera fonti di governo hanno segnalato all’Ansa che gli emendamenti relativi alle liste dei cda uscenti nelle società quotate «non rispecchiano la posizione del ministro e la settimana prossima il governo farà una sintesi portando in commissione Finanze del Senato un parere sul tema che prescinderà dagli emendamenti e i subemendamenti finora presentati. L’obiettivo dell’esecutivo è di dare un segnale di affidabilità dell’Italia all’estero ascoltando i timori degli investitori internazionali». Il governo Meloni dovrebbe far digerire questo provvedimento ai mercati mentre sono già forti i mal di pancia per la tassa sugli extraprofitti delle banche. Proprio ieri il Financial Times ha scritto che gli emendamenti al ddl Capitali «minacciano di ridurre l’appeal della riforma» dei mercati finanziari e causerebbero «un nuovo inutile shock per gli investitori stranieri». L’Ft riporta poi le critiche espresse da Caltagirone all’attuale sistema e ricorda che la questione riguarda anche il rinnovo del cda di Mediobanca, principale azionista di Generali. In realtà, anche se passassero gli emendamenti sulle liste dei cda, il ddl Capitali potrebbe essere varato entro fine anno ma di certo non diventerà legge prima del 28 ottobre e quindi non influirà sull’esito dell’assemblea di Piazzetta Cuccia. A Trieste invece si vota nel 2025.
Già nel 2022 l’imprenditore romano aveva tentato di contrapporre una propria lista a quella del consiglio uscente e appoggiata da Mediobanca con il rinnovo del mandato all’ad Philippe Donnet. Il blitz con l’alleato Delfin (al 9,7%) sulla compagnia assicurativa non era riuscito perché gli investitori istituzionali si era schierati a larga maggioranza per la riconferma di Donnet. Ora la cassaforte della famiglia Del Vecchio si prepara a un nuovo scontro in Piazzetta Cuccia. Per poi rimettere nel mirino, insieme con l’alleato romano, la presidenza del Leone. E in quel caso potrebbe entrare in gioco, come figura super partes seppur ingombrante, Fabrizio Palenzona oggi al vertice di Fondazione Crt.




