Dicono i presunti grandi giornali, quelli amici della scienza, che Eugenio Serravalle e Paolo Bellavite non possono parlare di vaccini al Nitag, che non hanno i galloni per fare parte del prestigioso comitato. In realtà, però, secondo gli stessi giornali chiunque può parlare di iniezioni, a patto che ripeta la versione corretta e approvata dal pensiero prevalente (sui media). Infatti La Stampa dedica addirittura la foto di prima pagina a Martina Benedetti, di professione infermiera di terapia intensiva, divenuta famosa anni fa per qualche post propagandistico sui social. Da allora ha fatto fortuna: collaborazioni con i giornali, interviste, celebrazioni varie. È infermiera, non una virologa o una vincitrice del premio Nobel, eppure viene chiamata a illuminarci con la sua sapienza. «Noto una crescente tendenza ad affrontare temi scientifici, come è stato fatto in tempi di Covid, per motivi ideologici, sul tema dell’obbligo vaccinale non si tratta di colore politico, ma di buonsenso», predica. Si lancia anche in acute analisi politiche: «Siamo in un periodo di grande instabilità ed è facile fare leva sulle paure delle persone», dice. «Basti guardare agli Stati Uniti, con il segretario alla Salute, Robert Kennedy Jr., che anziché fare campagna per far la prevenzione al morbillo si batte contro il vaccino. E infatti questa malattia sta tornando a mietere vittime in alcuni stati degli Usa, anche bambini molto piccoli».
L’infermiera Benedetti, dopo le dotte dissertazioni socio-politiche, può dire ovviamente la sua anche su Bellavite e Serravalle, pur senza nominarli direttamente: «Schillaci ha fatto bene ad azzerare la commissione vaccini. Non ci si poteva appellare alla necessità di pluralismo in questo frangente. La scienza non è un dogma assoluto. Ma se con metodo si arriva a dimostrare un’evidenza, questa va seguita. Altrimenti si mette a rischio la popolazione. E non potevamo permetterci di avere in commissione due persone che simpatizzano per le cure omeopatiche e scettiche sui vaccini». Capito? Lo dice lei, divenuta massima autorità in materia grazie al suo libro che ripete gli slogan contro i presunti complottisti e i perfidi no vax. «Quando chiedevi loro come mai non si fossero vaccinati (se, ovviamente, erano stubati e in grado di parlare)», spiega con tono grave, «non sapevano rispondere. In quei momenti li vedi nel panico, con occhi sgranati e vacui che guardano lo stanzone. E fissano anche te come per dire “Cos’ho fatto?”». Chissà che diceva invece ai plurivaccinati che si ammalavano nonostante la puntura, e chissà che direbbe ai danneggiati che i suoi medici di riferimento hanno ignorato per anni. Lei però di questo non parla, ci mancherebbe. Le interessa piuttosto biasimare i non vaccinati, anche se non li odia. Anzi, La Stampa ci informa con un titolone che lei, nei giorni bui, «curava anche i non vaccinati». Ma pensa, che cuore d’oro, che bontà.
Davvero brava, la Benedetti: non è un medico, ma può discettare a piacimento di evidenze scientifiche. Non odia i non vaccinati, ma si premura - tramite la sua intervista - di insinuare il dubbio che meritino di essere curati. Così funziona da queste parti: a chi impara a memoria la lezioncina e la ripete, viene steso il tappeto rosso, chiunque sia. Soprattutto se è una infermiera fotogenica che ha curato «anche i no vax». Gli stessi no vax che - nonostante fossero privati dei diritti e del lavoro - continuavano e continuano a pagarle lo stipendio.



