L’industria siderurgica sempre nell’occhio del ciclone. In Germania ThyssenKrupp taglierà 11.000 posti entro il 2030, il 40% della forza lavoro attuale, e chiuderà uno stabilimento nella Ruhr. La capacità produttiva scenderà dagli attuali 11,5 milioni di tonnellate a un livello futuro di 8,7-9 milioni di tonnellate, in linea con le condizioni di mercato. Il capitolo della Thyssen si aggiunge a quello caldo dell’automotive.
Mentre il settore dell’acciaio, compresso dagli alti costi energetici e dall’aumento delle importazioni a basso costo, in particolare dall’Asia, in Germania boccheggia, in Italia si assiste al paradosso dello Stato che va contro sé stesso e dei due ministeri di riferimento che procedono in ordine sparso, senza una linea comune. È quanto accade per Accaierie d’Italia, l’ex Ilva. Mentre il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, tesse la tela per dare un futuro all’impianto, ieri è arrivata la doccia gelata dal ministero dell’Ambiente che ha diffidato il più grande gruppo siderurgico italiano (partecipato dal pubblico, va ricordato) sulle emissioni di ossido di azoto da un altoforno. La diffida ministeriale recepisce quanto ha segnalato l’Ispra, deputato al controllo in fabbrica sul rispetto delle prescrizioni dell’Autorizzazione integrata ambientale, e chiede ad Acciaierie di prendere provvedimenti per rientrare nei limiti, entro 30 giorni. In caso di inadempienza c’è il rischio di sanzioni e ulteriori provvedimenti.
Facendo riferimento ad una ispezione Ispra dei mesi scorsi, il ministero contesta il superamento del valore limite giornaliero di 100 milligrammi autorizzato di esposizione per le emissioni di ossido di azoto. La diffida è stata inviata per conoscenza anche alla Procura di Taranto. Il ministero evidenzia che è previsto che l’autorità competente proceda «alla diffida e contestuale sospensione dell’attività per un tempo determinato nel caso in cui le violazioni siano comunque reiterate più di due volte l’anno». Il caso si riferisce al secondo trimestre di quest’anno. Acciaierie d'Italia in amministrazione straordinaria ha risposto che ritiene di poter rientrare nei limiti e che comunque i parametri vanno calcolati come media e non nei picchi.
Va sottolineato, come detto, che il gruppo è partecipato dal pubblico e con la diffida da parte del ministero dell’Ambiente, è tutto un botta e risposta tra Stato e Stato. Di sicuro non un bello spettacolo da fornire agli investitori che stanno alla finestra.
Il ministro Urso in più occasioni ha ribadito che per la società ucraina Metinvest c’è sempre la possibilità di presentare una manifestazione di interesse per l’ex Ilva. Al momento però questa non ha fatto alcun passo in avanti in questo senso, dopo aver deciso di investire 2,5 miliardi di euro nello stabilimento siderurgico di Piombino. Nell’incontro bilaterale tra il governo ucraino e quello italiano, l’azienda ha firmato una dichiarazione congiunta per promuovere la realizzazione di un grande impianto di produzione di acciaio green nella città toscana. L’Agenzia Nova ha riportato che a una decina di giorni dal termine della presentazione delle offerte vincolanti per il siderurgico, gli investimenti della Metinvest sono stati dirottati sullo stabilimento di Piombino.
Nei mesi scorsi alcuni gruppi industriali tra cui Vulcan Green Steel, Steel Mont e Baku Steel, hanno visitato gli impianti accompagnati dai commissari straordinari di Acciaierie d’Italia. L’auspicio di Urso è la vendita «in blocco» ed evitare lo «spezzatino», che metterebbe a repentaglio posti di lavoro e rami d’azienda. «Ma c’è un problema di risorse per il rilancio del gruppo, come incentivi agli investitori. Al momento non ci sono fondi sul tavolo della trattativa, prima del 2027, come aiuti alla riconversione dell’altoforno a fondo elettrico, e questo potrebbe allontanare eventuali investitori. Se questi dovessero mollare, lo Stato si ritroverebbe sulle spalle una società che perde decine di milioni al mese» commenta Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity e analista materie prime.


