Una privacy solo di facciata. Il governo giallorosso ha infatti dato definitivamente il via al Grande fratello fiscale, concedendo all'Agenzia delle entrate e alla Guardia di finanza di avere a disposizioni, per le indagini, anche i dati privati degli italiani.
Si parla dunque di informazioni non fiscali, come biglietti arei, pernottamenti, prestazioni sanitarie, eccetera. Insomma, l'amministrazione fiscale potrà schedare il contribuente italiano nei minimi dettagli, invadendo la sua privacy, senza il minimo problema. E questo sarà possibile grazie all'articolo 13 del dl fiscale sull'utilizzo dei dati derivanti dalle efatture, che prevede «la memorizzazione e l'utilizzo dei file Xml delle fatture elettroniche e di tutti i dati in essi contenuti». Questi saranno poi utilizzati dall'Agenzia delle entrate e dalla Guardia di finanza per svolgere indagini e verifiche fiscali.
La questione della privacy dei dati contenuti all'interno della fattura elettronica è un tema però su cui il Garante della privacy si era già espresso molto duramente, il 20 marzo 2019. Con un provvedimento aveva infatti sottolineato come l'Agenzia delle entrate non potesse memorizzare le informazioni non fiscali contenute sulle fatture elettroniche. «Niente banca dati delle fatture elettroniche all'Agenzia delle entrate, memorizzati solo i dati fiscali necessari per i controlli automatizzati» si legge dal provvedimento.
L'amministrazione fiscale avrebbe dunque potuto memorizzare solo, ed esclusivamente, i dati fiscali. E dunque niente informazioni relative alle abitudini e alle tipologie di consumo degli italiani, come la fornitura di servizi energetici, di telecomunicazione o trasporto (regolarità nei pagamenti, pedaggi autostradali, biglietti aerei, pernottamenti), o addirittura l'indicazione puntuale delle prestazioni legali (numero procedimento penale) o sanitarie (percorso diagnostico neuropsichiatrico infantile).
Grazie al dl fiscale però tutti questi dati e molti altri ancora saranno alla mercé dell'Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza per svolgere indagini o controlli. Che la mossa del Grande fratello fiscale non fosse poi così legittima se n'è accorto anche l'esecutivo, tanto che, nel testo finale del dl fiscale ha precisato come l'Agenzia delle entrate e la Guardia di finanza nell'utilizzo dei dati degli italiani dovranno rispettare «le 42 disposizioni del regolamento (Ue) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196» (le norme sulla privacy). Dicitura che non era presente invece nella bozza iniziale del dl fiscale.
Il governo ha dunque deciso di mettere una pennellata di privacy, in un'operazione dove si permette all'Agenzia delle entrate e alla Guardia di finanza di frugare nella vita degli italiani, in modo discrezionale.
Ma poi, l'Agenzia delle entrate ha veramente bisogno di tutti questi dati per trovare gli evasori? Negli anni l'amministrazione ha accumulato una mole inimmaginabile di informazioni fiscali tramite la voluntary disclosure, gli indici sintetici di affidabilità (Isa), il 730 precompilato, la compliance, il redditometro e i vari accertamenti fatti: avrebbe potuto trovare tutti gli evasori che voleva. Eppure, adesso per combattere l'evasione si ha anche bisogno di sapere quanto volte si va dall'estetista o viene l'idraulico a casa.
Forse, il problema è il non saper processare tutti questi dati che si hanno, e non la continua ricerca di informazioni. Ma il capolavoro del governo giallorosso non finisce qua perché nel dl fiscale si è anche ben pensato di inserire l'articolo 14 sui trust esteri, cercando di normare un settore che già risulta essere complicato di per sé.
Al posto di pensare a una vera e propria riorganizzazione legislativa del settore trust, si è deciso di inserire un articolo nel dl fiscale che crea più domande che risposte, trovando anche in questo caso il capro espiatorio nei beneficiari. Ma d'altra parte sono più di dieci anni che si parla di riformare il settore del trust, perché farlo proprio ora, quando si può rimandare (ancora)?
L'Agenzia delle entrate va a caccia di errori sul 730 precompilato. L'amministrazione fiscale è infatti in grado di correggere in tempo reale i dati presenti sulla dichiarazione dei redditi, se rettificati dai soggetti competenti (commercialisti, farmacie). In questo caso il 730 verrà «bloccato», modificato e ricaricato sull'area personale del contribuente.
Da parte sua il cittadino, quando proverà ad accedere alla sua precompilata, si troverà di fronte a una pagina bianca con un riquadro verde chiaro che lo avvisa del fatto che il 730 «è in corso di rielaborazione». Rientrando dopo un paio di giorni si potrà visionare il «nuovo» 730 precompilato.
Le conseguenze dei cambiamenti fiscali posso essere dunque di due tipi: positive nel caso in cui nel precedente modello si era a debito (si sarebbe dovuto versare dei soldi all'amministrazione fiscale) e con le modifiche fatte dall'Agenzia delle entrate si passa ad avere un credito (il contribuente dovrà essere rimborsato). E negative nel caso in cui si passa da un credito a un debito. Le rettifiche possono riguardare qualsiasi dato che è stato comunicato all'Agenzia delle entrate in modo errato o parziale.
Si parla dunque dei commercialisti, oppure dei dati relativi alle spese sanitarie, o a qualsiasi altra spesa che rientra nella dichiarazione precompilata. Qualunque tipo di rettifica inviata avrà dunque come conseguenza una rielaborazione di tutto il 730. Questo modo di operare, in tempo reale, da parte dell'amministrazione fiscale, se da una parte è sicuramente da premiare (correggendo gli errori infatti si evita al contribuente di modificare la dichiarazione dei redditi e di incorrere in ulteriori controlli amministrativi), dall'altra fa emergere delle criticità economiche a carico dei contribuenti. Se infatti si dovesse accettare il modello precompilato che vanta un debito nei confronti dell'amministrazione fiscale, prima dell'avvenuto cambiamento, il contribuente pagherà la somma sbagliata, per poi ricevere nei mesi successivi una comunicazione da parte dell'Agenzia delle entrate dove si attesta il credito. E dunque aspettare ancora dei mesi, prima che questo venga erogato e accreditato. In questo caso il contribuente pagherebbe una somma non dovuta, per un errore commesso dai soggetti che dovevano comunicare i dati, per poi ricevere mesi dopo il rimborso. Prassi all'opposto se invece si dovesse passare da un credito a un debito. Anche in questo caso, se si dovesse accettare la dichiarazione precompilata prima della rettifica, si riceverà più avanti una comunicazione di debito da parte dell'amministrazione fiscale.
Attenzione però perché può capitare che le correzioni fatte dall'Agenzia delle entrate non siano sufficienti, soprattutto quando si tratta delle novità per il 2019 sulle nuove spese (abbonamento dei mezzi pubblici, bonus verde, la spesa per comprare supporti per i disturbi specifici dell'apprendimento, eccetera). In questo caso può infatti capitare che i dati non siano presenti nel precompilato, nonostante gli aggiornamenti fatti dall'amministrazione fiscale, e dunque dovrà essere compito del contribuente inserirli nuovamente.
Questo significa che, oltre alle eventuali modifiche fatte dall'Agenzia delle entrate, dopo le varie segnalazioni si dovrà riaprire la precompilata, inserire i dati mancanti e inviare il modello. In questo caso l'Agenzia delle entrate potrà svolgere ulteriori controlli e verificare la veridicità delle nuove informazioni, ma soprattutto dovrà ricalcolare l'importo che il contribuente dovrà pagare. La dichiarazione precompilata dovrà essere modificata e inviata entro il 23 luglio via Web. E la ricevuta di emissione del 730 non sarà visibile immediatamente, ma solo a distanza di due o tre giorni dall'invio del documento. Nel caso in cui si sia in credito, si riceverà la somma scritta sul precompilata sulla busta paga, facendo il datore di turno da sostituto di imposta.
Note di credito come se piovesse. Il nuovo sistema di fattura elettronica sta complicando la vita di professionisti e imprenditori. Se prima, quando si commettevano degli errori (data, descrizione, importo) nella compilazione della fattura cartacea si stracciava il foglio e se ne compilava un'altra, adesso con la fattura elettronica questo non è più possibile.
Il file Xml elettronico con l'errore viene infatti inviato al sistema di interscambio dell'Agenzia delle entrate (il postino digitale), che se riesce consegna la fattura al destinatario. Successivamente, il mittente, accortosi dello sbaglio, dovrà rimandare un'altra fattura digitale allo stesso fornitore.
Il risultato non è altro che una doppia fattura per uno stesso ordine. Gli errori che comportano l'invio di una seconda efattura vanno dai più banali (una lettera o un numero sbagliati) a quelli più complessi e tecnici, che per loro natura comportano di default un nuovo invio (come il codice destinatario errato, che non permette l'identificazione e dunque la ricezione della fattura).
L'intolleranza agli errori sta però rallentando ulteriormente l'invio delle efatture, che rimangono ben oltre i cinque giorni nello «stato di attesa dell'esisto». Non si sa dunque se la fattura digitale emessa sia stata recapitata oppure no. Il tempo di attesa ha però conseguenze su chi deve usufruire delle detrazioni Iva, dato che «in molti casi hanno già provveduto ai pagamenti delle fatture al ricevimento della copia di cortesia» come sottolinea l'Associazione nazionale dei commercialisti (Anc). «La conseguente impossibilità di recuperare il dovuto nei termini della liquidazione», continua l'Anc, «determina un danno per il contribuente, che si vede costretto ad affrontare un esborso non dovuto, con il versamento di un'Iva periodica maggiore, e rischiare così difficoltà finanziarie».
Che il sistema di fatturazione elettronica avesse dei problemi lo si era già appurato i primi giorni dell'anno, caratterizzati da blocchi e rallentamenti vari. Ieri, essendo uno degli ultimi giorni possibili per inviare le fatture relative al mese di gennaio, i disservizi sono aumentati. Il sistema dell'Agenzia delle entrate ha funzionato, nonostante i continui rallentamenti e i blocchi momentanei. Questo ha però avuto ripercussioni anche sui software a pagamento. L'effetto a catena deriva dal fatto che tutti i programmi, a pagamento o meno, riportano al sistema di interscambio dell'Agenzia delle entrate. E dunque, se questo presenta dei rallentamenti per il sovraffollamento di fatture elettroniche avranno problemi anche i professionisti o le imprese che usano sistemi a pagamento.
Visti gli innumerevoli disagi, a febbraio il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ha inviato una lettera al ministro dell'economia Giovanni Tria e al direttore dell'Agenzia delle entrate, Antonino Maggiore, chiedendo di prorogare al 16 marzo la moratoria sulle sanzioni per la tardiva trasmissione delle fatture elettroniche. Il governo gialloblù ha però deciso di non prorogare la moratoria delle sanzioni, lasciando come termine ultimo per l'invio delle fatture elettroniche di gennaio il 16 febbraio. Si è invece deciso di far slittare al 30 aprile la scadenza per l'invio ultimo dell'esterometro (fatture elettroniche fatte a fornitori esteri) per cercare di alleggerire il carico fiscale. E questo perché, se si è una società con fornitori italiani ed esteri, si dovranno mandare fatture digitali agli italiani, fatture cartacee agli esteri ed esterometro all'Agenzia delle entrate per segnalare le attività non italiane.
Per ovviare a questo sdoppiamento è però possibile inviare solo la fattura elettronica per segnalare all'Agenzia delle entrate le attività estere. Opzione scelta da molte società. In questo caso la proroga decisa dal governo risulta essere di poco aiuto al mondo produttivo italiano.
Ma non solo: queste distorsioni stanno dando vita a ulteriori complicazioni. Molte società stanno infatti continuando a emettere copie di cortesia, che non hanno nessun tipo di valenza fiscale, perché non ancora del tutto pronte all'invio di fatture elettroniche. E chi invece risulta essere in linea invia efatture solo a determinati orari o in cambio di un pagamento extra (vedi benzinai e la richiesta di 0,40 centesimi a fattura).





