L'accusa di corruzione per il governatore-sceriffo Vincenzo De Luca sarebbe maturata ben prima dell'interrogatorio del ras delle coop rosse salernitane Fiorenzo Vittorio Zoccola che ha confermato, dopo il suo arresto, lo scambio con la politica: voti per appalti. Con tanto di divisione tra due candidati legatissimi al governatore campano stabilita a tavolino nella misura del 70 e 30 per cento. L'indicazione? Arrivò dritta «da De Luca», ha svelato Zoccola, che poi la veicolò «alle cooperative». De Luca, citato ben 30 volte nell'ordinanza che ha privato della libertà uno dei suoi sherpa salernitani, Nino Savastano, consigliere regionale ed ex assessore alle Politiche sociali a Salerno, eletto in Regione con 16.569 preferenze, accusato di associazione a delinquere finalizzata alla turbata libertà degli incanti e corruzione elettorale, ha ricevuto ieri, nella sede del Genio civile di Salerno, dove De Luca registra ogni venerdì la sua tribuna social, un avviso di proroga delle indagini preliminari che, per lui, sarebbero cominciate all'incirca sei mesi fa. Il giro di vite sulla sua posizione, però, come svelato la scorsa settimana dalla Verità, potrebbe essere stato innescato proprio dalle dichiarazioni di Zoccola. La notizia, insomma, era nell'aria. E ieri Massimo Giletti dandone un'anticipazione con un video sul sito del Corriere della Sera ha innescato una polemica con De Luca che, piccato, gli ha dato dell'ubriacone. Il nome del governatore è saltato fuori a febbraio 2020, dopo una captazione telefonica tra Zoccola e il presidente di una delle cooperative nella quale i due avrebbero fatto espresso riferimento alla presenza del governatore della Campania a una cena al Ristorante del golfo di Salerno del 16 febbraio 2020. «All'evento», annotarono gli investigatori della Squadra mobile, «hanno partecipato oltre a Zoccola, i rappresentanti legali di altre cooperative sociali salernitane». La cena era stata anticipata dalle telefonate del consigliere regionale Franco Picarone, in campagna elettorale per le regionali del 31 maggio 2020, che «compulsava» i rappresentanti delle coop, e in particolare Zoccola, «ad attivarsi», affinché «nell'incontro con il governatore si definisse la questione della gara, lasciando intendere che la situazione dovesse risolversi prima delle elezioni amministrative regionali». A settembre 2020, poi, sono cominciati a emergere strani riferimenti a «contropartite» che Zoccola, nel corso delle intercettazioni, come sottolineano gli investigatori, «attribuisce alle direttive dello stesso governatore, narrando di aver manifestato apertamente le proprie esigenze in ordine all'affidamento delle commesse pubbliche del Comune di Salerno e alla rimozione degli ostacoli derivanti dall'indagine in corso, con riguardo alla gara indetta con il bando per l'affidamento biennale dei servizi di manutenzione ordinaria e conservativa del patrimonio cittadino». Nelle carte dell'inchiesta, nel corso di una colorita telefonata di Zoccola, c'è perfino il riferimento a un pizzino: «Effettivamente... perché l'altro giorno gli mandai... gli feci consegnare sempre a De Luca... una lettera di quattro fogli da... Peppe e dopo averla letta ha bestemmiato tutti i santi... a Maria Vergine... il Bambino... poi ha chiamato a Marotta e al sindaco (Vincenzo Napoli, indagato pure lui nell'inchiesta per il reato di turbativa d'asta, ndr) e li ha fatti una munnezza (li ha rimproverati duramente, traduce la polzia, ndr) a tutti e due... e adesso loro (Marotta e il sindaco) stanno vedendo di risolvere il problema». Zoccola aveva paura che le coop perdessero terreno, dopo aver fatto il pieno di appalti per anni. Tra il 2017 e il 2020, hanno ricostruito le indagini, per la manutenzione del patrimonio pubblico sarebbero arrivati alle coop di Zoccola circa 1,6 milioni di euro l'anno. I magistrati ritengono di aver descritto «un sistema che ha radici lontane nel tempo e che trae linfa vitale dalla partecipazione di esponenti della politica locale che, di tale impianto, si avvantaggiano per scopi personali ed elettorali». Inoltre, «esponenti politici», sostiene l'accusa, «a vario titolo e con diverse responsabilità, hanno reso possibile il consolidarsi del monopolio in capo al gruppo imprenditoriale, con reciproci vantaggi». Che si sarebbero consumati tutti all'interno del Pd campano. Zoccola il 22 ottobre scorso, nel corso dell'ennesimo interrogatorio, è andato a fondo: «Esiste un accordo ben preciso tra le cooperative e la politica che è teso a garantire alle prime continuità lavorativa in cambio di voti». Soprattutto alle elezioni regionali, dove, secondo Zoccola «vi è una pluralità di indicazioni di voto che proviene sia dai referenti in Consiglio comunale delle cooperative, sia da coloro che sono rappresentanti alla Regione (consigliere e governatore)». Gli omissis piazzati dagli investigatori su alcuni pezzi del verbale rendono impossibile ricostruire quali siano questi esponenti politici. Ma una cosa è certa: sono tutti dem legati al giro salernitano del governatore. Che ora è nei guai.
Ora è chiaro il motivo per il quale Vincenzo De Luca non ha firmato il patto per le liste pulite che gli avevano proposto i pentastellati: è indagato da tre anni per truffa e falso. Lo «Sceriffo», passato alla Regione Campania dopo aver fatto per 20 anni il sindaco a Salerno, si portato dietro quattro vigili urbani che gli costano una somma di poco inferiore ai 170.000 euro (per l'esattezza 169.383,18 euro) l'anno a titolo di rimborso degli emolumenti accessori dei dipendenti in comando. Nonostante ciò De Luca sostiene che il suo staff faccia risparmiare l'ente.
«L'indagine», spiega il governatore campano sul suo profilo Facebook, «verte su questo interrogativo, gli autisti che a turno accompagnano il presidente della Regione, erano solo autisti o facevano anche lavoro di segreteria? Nel frattempo si comunica che l'organizzazione dell'Ufficio di segreteria della presidenza attuale, rispetto a quella precedente, ha comportato un risparmio di 84.000 euro l'anno». I quattro autisti, infatti, avevano anche mansioni ben precise: Gianfranco Baldi, l'unico che è tornato al Comune di Salerno, all'epoca si occupava dei rapporti con la conferenza Stato-Regioni, a Giuseppe Muro erano toccati i rapporti con i consiglieri regionali, Giuseppe Polverino è l'uomo di raccordo con la presidenza del consiglio regionale della Campania e Claudio Postiglione gestisce i rapporti con strutture regionali e istituzioni locali. Il rimborso degli emolumenti anticipati dall'amministrazione comunale salernitana per gli stipendi dei quattro, come si legge nella determina dirigenziale numero 154 della Regione Campania, è stata richiesta dalla ragioneria del Comune di Salerno nel settembre 2018. Ed è da quella nota che è possibile ricavare una parte dei costi sostenuti dal governatore per i suoi uomini. Con un suo decreto, poi, De Luca ha stabilito che ai responsabili della sua segreteria spettasse un emolumento accessorio da 4.600 euro, oltre al trattamento economico da funzionario. Nonostante i quattro non avessero alcuna qualifica. E infatti, il governatore campano avrebbe «favorito» i suoi quattro autisti, «promossi indebitamente nello staff delle relazioni istituzionali», secondo Repubblica, «soltanto per consentire loro di percepire uno stipendio più cospicuo». L'inchiesta giudiziaria, condotta dal pm Ida Frongillo e coordinata dal procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli, ipotizza che, nel 2017, i quattro vigili, autisti del governatore campano oggi ricandidato alle elezioni regionali del 20 e 21 settembre, sono stati trasferiti da Salerno a Napoli, ricevendo incarichi da addetti o responsabili di segreteria, pur non avendo un pezzo di carta per giustificare quegli incarichi. I quattro, comunque, non sono indagati. De Luca, invece, sarebbe stato ascoltato dai magistrati a ridosso del lockdown. E mentre l'inchiesta è in corso, l'Ansa fa un titolo furbo: «Inquirenti non escludono archiviazione». Sostenendo che «secondo quanto si apprende, gli inquirenti stanno valutando anche la possibilità di archiviare l'indagine». Come molto probabilmente stanno anche valutando la possibilità contraria, ovvero quella di chiedere il rinvio a giudizio del governatore. È presto insomma per tirare le conclusioni.
E al momento bisogna restare ai fatti. L'auto di De Luca, nel 2017, nel percorrere un tratto contromano nelle vicinanze dell'abitazione del governatore, investì una ragazza di 22 anni che era in sella a un motorino. Si scoprì che alla guida c'era uno degli autisti, Postiglione. E che da dipendente della polizia municipale di Salerno, quest'ultimo, era stato elevato, insieme ai tre colleghi, al ragno di esperto dello staff dello Sceriffo con quattro distinti decreti in sequenza: il 62, 63, 64 e 65 del 10 marzo 2016. Acquisiti dai magistrati napoletani dopo un'interrogazione del consigliere regionale di Forza Italia Severino Nappi (candidato con la Lega).
Nell'interrogazione Nappi, che ora definisce De Luca un «guappo di cartone», chiedeva di sapere per quali ragioni l'auto della Regione veniva condotta stabilmente da personale diverso dai 20 autisti dipendenti in capo all'ente. Ma, soprattutto, in forza di quali disposizioni normative era consentita «l'attribuzione al dipendente pubblico di un trattamento economico corrispondente a quello di dirigente».
La difesa del governatore replica: «È errato definirli vigili promossi», chiosa il legale del presidente campano, l'avvocato Andrea Castaldo, secondo il quale quella scelta rientrerebbe nell'ambito di «una riorganizzazione che ha consentito un risparmio di spesa». E ora De Luca sbotta: «Indagate su di lui». Ma è l'ennesimo autogol. Prende le distanze persino il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris: «Non c'è bisogno di questa vicenda per marcare il mio distanziamento politico ed etico da De Luca». La candidata pentastellata Valeria Ciarambino lo definisce «il primo degli impresentabili». Mentre Giorgia Meloni commenta: «L'unica cosa che l'attuale governatore ha saputo fare è mettere in piedi un sistema di potere dalle tinte estremamente opache, in un mix di clientelismo e trasformismo che ha paralizzato la Campania».




