Forse non sapremo mai se davvero sia stato un missile ad abbattere il 27 giugno del 1980 nei cieli di Ustica un Dc9 dell’Itavia in volo da Bologna a Palermo, causando la morte delle 81 persone a bordo. Ma certamente, l’intervista sul disastro all’ex premier Giuliano Amato, uscita ieri sul quotidiano La Repubblica, si è abbattuta in modo dirompente sul dibattito politico. Rispondendo alle domande della giornalista, Amato ha infatti affermato: «La versione più credibile è quella della responsabilità dell’aeronautica francese, con la complicità degli americani e di chi partecipò alla guerra aerea nei nostri cieli la sera di quel 27 giugno. Si voleva fare la pelle a Gheddafi, in volo su un Mig della sua aviazione. E il piano prevedeva di simulare una esercitazione della Nato, con molti aerei in azione, nel corso della quale sarebbe dovuto partire un missile contro il leader libico: l’esercitazione era una messa in scena che avrebbe permesso di spacciare l’attentato come incidente involontario». Secondo l’ex ministro dell’Interno, quindi, Muhammar Gheddafi per i suoi spostamenti non avrebbe usato un velivolo civile adibito ad aereo di Stato, bensì un caccia militare. Ma per Amato nel giugno di 43 anni fa «fu avvertito del pericolo e non salì sul suo aereo» e «il missile sganciato contro il Mig libico finì per colpire il Dc9 dell’Itavia». Per il presidente emerito della Corte costituzionale «l’ipotesi più accreditata è che quel missile sia stato lanciato da un caccia francese partito da una portaerei al largo della costa meridionale della Corsica o dalla base militare di Solenzara, quella sera molto trafficata. La Francia su questo non ha mai fatto luce».
Secondo il racconto dell’ex primo ministro, ad avvertire Gheddafi sarebbe stato Bettino Craxi: «Avrei saputo più tardi - ma senza averne prova - che era stato Bettino ad avvertire Gheddafi del pericolo nei cieli italiani». E proprio sul ruolo dell’ex leader socialista è arrivata la prima smentita, ad opera del figlio Bobo «È già scritto anche sui libri di storia che mio padre avvertì Gheddafi che lo avrebbero bombardato, ma nel 1986», quando il dittatore libico sfuggì a un bombardamento.
E il resto della giornata è stato un susseguirsi di prese di posizione politiche a tutti i livelli, tra le quali spicca il silenzio, per adesso, del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Per la premier Giorgia Meloni, «quelle di Giuliano Amato su Ustica sono parole importanti che meritano attenzione». Ma poi aggiunge: «Il presidente Amato precisa, però, che queste parole sono frutto di personali deduzioni. Premesso che nessun atto riguardante la tragedia del Dc9 è coperto da segreto di Stato, e che nel corso dei decenni è stato svolto dall’autorità giudiziaria e dalle commissioni parlamentari di inchiesta un lungo lavoro, chiedo al presidente Amato di sapere se, oltre alle deduzioni, sia in possesso di elementi che permettano di tornare sulle conclusioni della magistratura e del Parlamento, e di metterli eventualmente a disposizione, perché il governo possa compiere tutti i passi eventuali e conseguenti».
Il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli ha invece annunciato di voler valutare con l’intero Consiglio superiore di «l’opportunità di avanzare alla Procura della Repubblica di Marsala la richiesta di rendere accessibili tutti gli atti del procedimento di potenziale interesse di quell’inchiesta, nonché il compendio documentale delle iniziative portate avanti dal dottor Borsellino all’epoca». Paolo Borsellino aveva infatti aperto un filone sui presunti depistaggi operati sui tracciati radar, facendo interrogare i militari in servizio a Marsala la sera della strage. Ma non riuscì a trovare elementi concludenti.
Le dichiarazioni di Amato hanno evidenziato la spaccatura tra le due associazioni attive nella ricerca della verità sulla strage. Se da un lato la presidente dell’Associazione parenti delle vittime della strage, Daria Bonfietti, ha definito le parole di Amato «molto importanti» parlando poi di «una corretta ricostruzione di tutto quello che nelle carte c’è, che sappiamo da anni», ovvero «che il Dc9 è stato abbattuto» e che, secondo la ricostruzione di Francesco Cossiga del 2008 «sarebbero stati i francesi», sul fronte opposto è esplosa la polemica. Per l’ex generale Leonardo Tricarico, esponente dell’Associazione per la verità sul disastro aereo di Ustica (Avdau), infatti, quelle dell’ex premier sono «fandonie che non hanno retto nel dibattimento penale». Secondo Tricarico, nel processo «è emersa incontrovertibile, perché ampiamente provata, la verità che quel velivolo è stato vittima di un attentato terroristico con una bomba a bordo». Affermazione che, però, non trova riscontro nelle sentenze, che mettendo sullo stesso piano le due teorie, affermano che le «ipotesi […] dell’abbattimento dell’aereo a opera di un missile o di esplosione a bordo non hanno trovato conferma». L’ex generale si è spinto a domandarsi se dietro alle parole di Amato si possa celare «una strategia per mettere in difficoltà la premier Giorgia Meloni con il presidente francese Emmanuel Macron».
E forse non è un caso se un fedelissimo della Meloni come Giovanni Donzelli, vicepresidente del Copasir, si è premurato di gettare acqua sul fuoco: «Amato oggi dice delle cose, in passato ha detto l’esatto opposto. Ci chiediamo perché oggi dica queste cose, lo spiegherà per bene, spiegherà anche perché in passato ha detto cose diverse». Un esempio delle contraddizioni di Amato emerge dall’intervista, laddove si chiede perché ricostruzioni ufficiali avessero provato a far credere che «l’aviere libico ritrovato sui monti della Sila il 18 luglio del 1980, tre settimane dopo la tragedia del Dc 9» fosse morto il giorno prima, nonostante nella perizia medica, letta da Amato, si parlasse «espressamente di avanzato stato di putrefazione».
Ricostruzioni che, però, proprio lui aveva fatto proprie, da sottosegretario alla presidenza del Consiglio, laddove, in una seduta della Camera del 30 settembre 1986, rispondendo a una serie di interrogazioni parlamentari, fece riferimento a un referto medico secondo cui «il pilota era morto poche ore prima».
Proprio il Copasir sarà il primo organismo istituzionale che dovrà valutare, forse già nella riunione in programma mercoledì prossimo, se disporre un approfondimento sul caso Ustica alla luce dell’intervista di Amato. Della vicenda il Comitato si è già occupato in passato per i profili che riguardano il segreto di Stato ed i documenti presenti negli archivi dell’intelligence, ma, come ricordato da Donzelli, quello che viene fatto al Copasir è coperto dal segreto.




Francia cauta: «Se ce lo chiedete collaboriamo»
In Italia, l’intervista di Giuliano Amato a Repubblica in cui l’ex premier ha sostenuto che l’aereo DC-9 precipitato il 27 giugno 1980 fu distrutto per errore da un missile francese, destinato a uccidere il dittatore libico Muammar Gheddafi, ha fatto deflagrare commenti e polemiche.
Nessuna risposta nel merito è arrivata invece da parte da parte di Emmanuel Macron, esortato dal Dottor Sottile a «togliere l’onta che pesa sulla Francia» rispetto alle responsabilità nella strage, seguito dalla richiesta di commenti da parte del ministro e vicepremier Matteo Salvini alle autorità francesi.
Nella mattinata di ieri, dall’Eliseo era arrivato infatti un secco «no comment». Poca rilevanza alle parole dell’ex presidente del Consiglio italiano è stata data anche dai media francesi: i pochi che hanno riportato la vicenda, tra cui Le Figaro, hanno sottolineato la prudenza del premier Giorgia Meloni, che ha invitato Amato a fornire al governo, oltre alle sue deduzioni, prove concrete alle sue accuse.
Dopo il silenzio di Macron, nel pomeriggio di ieri è arrivato, dopo sollecitazione, il commento del Quai d’Orsay, la sede del ministero degli Esteri di Parigi: «Su questa tragedia, la Francia ha fornito ogni elemento in suo possesso ogni volta che le è stato chiesto». Il ministero ha aggiunto che ogni informazione è stata fornita «soprattutto nel quadro delle inchieste condotte dalla giustizia italiana. Restiamo ovviamente a disposizione per lavorare con l’Italia, se ce lo chiederà».
Un cauto spiraglio, dunque, da parte del ministero, sempre a fronte dell’assenza di risposte da Macron. Che tuttavia, d’altra parte, è stato chiamato in causa da un ex primo ministro ora privato cittadino (come ha sottolineato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani) e senza alcun seguito dal presidente del Consiglio italiano, ben attento come si è detto a non mettere a rischio gli equilibri, già precari, con la Francia e tanto meno con la Nato.
Le parole di Amato sono destinate dunque ad agitare le acque solo nel perimetro italiano: dalla politica e l’intelligence ai militari, fino alla magistratura, nonostante siano ormai fuori gioco i protagonisti di 43 anni fa. A eccezione dei parenti delle vittime, che con dignità cercano la verità per la morte di 81 innocenti.