La portaerei Usa Uss Eisenhower dopo essere transitata dalle coste dello Yemen era andata a piazzarsi nel golfo Persico. I missili dei ribelli filo iraniani Huthi sembrano aver stravolto le strategie pianificate negli ultimi mesi. Tant’è che in pochissimo tempo la portaerei è tornata sui propri passi e gli Stati Uniti hanno chiamato a raccolta una coalizione di una decina di nazioni per fermare i ribelli yemeniti e i loro missili destinati a bloccare o semplicemente rallentare i traffici marittimi lungo il canale di Suez. L’altro ieri il segretario di Stato alla Difesa, Lloyd Austin, ha annunciato l’avvio dell’operazione «Prosperity Guardian» e il coinvolgimento di Gran Bretagna, Canada, Norvegia, Olanda, Bahrain, Seychelles, Spagna e Italia. Alcuni Paesi effettueranno pattugliamenti congiunti, mentre altri forniranno supporto d’intelligence nel Mar Rosso meridionale e nel golfo di Aden. Il tutto poiché gli attacchi costringono gli armatori a scegliere di circumnavigare l’Africa evitando di arrivare al canale di Suez, e ciò allunga di almeno due settimane il tempo di consegna delle merci dirette in Europa e causa un aumento del prezzo di ciò che viene trasportato, greggio in primis. In queste ore, due cacciatorpediniere statunitensi, la Uss Carney e la Uss Mason, incrociano attraverso lo stretto di Bab El Mandeb per contribuire al controllo dello spazio aereo, per scoraggiare blitz da parte Huthi e per rispondere a eventuali attacchi. Ad oggi gli Stati Uniti e la Francia, le cui unità sono intervenute a difesa delle navi mercantili, si sono limitate a distruggere i droni e i missili senza rispondere agli attacchi Huthi, sostenuti dall’Iran, che operano nello Yemen, né hanno preso di mira depositi di armi o altri siti dei militanti. L’Italia ha così anticipato l’invio della fregata Virgilio Fasan, la cui missione avrebbe dovuto iniziare nel prossimo mese di febbraio nell’ambito della missione diplomatica e antipirateria «Atalanta». Domenica la nostra nave dovrebbe quindi attraversare il canale di Suez per unirsi alle attività operative intorno a Capodanno. L’autorizzazione al viaggio rientra nella missione Atalanta, a sua volta già con l’ok del Parlamento. «Durante il colloquio con il segretario alla Difesa degli Stati Uniti», ha commentato ieri il ministro Guido Crosetto, «è stata affermata l’importanza del principio di libera navigazione, valutato l’impatto sul commercio internazionale e discusse le possibili opzioni per garantire la sicurezza delle rotte marittime al fine di prevenire ripercussioni sull’economia internazionale, con pericolose dinamiche sui prezzi delle materie prime». Il riferimento è chiaramente al ruolo dei nostri porti nel Mediterraneo allargato. Ormai il 40% dei traffici transita dalle nostro coste e il canale di Suez da solo vale per l’economia tricolore degli scambi marittimi qualcosa come 82 miliardi di dollari, oltre il 40% del fatturato complessivo del settore. «L’Italia farà la sua parte, insieme alla comunità internazionale, per contrastare l’attività terroristica», ha concluso Crosetto, «e per tutelare la prosperità del commercio». Resta da capire se a breve si aggiungerà una seconda nave italiana alla missione, ma soprattutto quanto il pattugliamento delle coste di Aden possa impattare sull’allargamento del conflitto lungo la via della Seta. Non si può, infatti, non notare che la struttura militare degli Huthi non richieda il dispiegamento di una flotta. Le posizioni delle batterie missilistiche sono conosciute al millimetro e gli Usa potrebbero intervenire all’istante grazie ai satelliti. D’altro canto le milizie yemenite sono semplici esecutori di strategie iraniane, finanziate tramite un sistema nemmeno troppo complesso di gestione illecita del greggio. Le autorità statunitensi hanno imposto sanzioni a una rete di contrabbando che si ritiene aiuti a finanziare il corpo delle Guardie della rivoluzione islamica dell’Iran e i combattenti in Yemen. Questa rete, presumibilmente guidata dal finanziatore Houthi con base in Iran, Sa’id Al Jamal, indirizzerebbe i fondi ottenuti dalla vendita di greggio iraniano attraverso intermediari e case di cambio in più Paesi verso gli Huthi in Yemen. Bloccare la rete sarebbe un’altra strategia percorribile. La scelta di mettere in campo la flotta, invece, spinge verso uno scenario molto più largo. La Marina serve a conquistare spazi di competenza. Creare un cuscinetto tra il golfo di Aden e quello di Oman significa andare direttamente a disturbare le mosse degli iraniani e dei russi nel mar arabico e in Asia. Viene il dubbio che ciò da un lato permetta il congelamento della guerra in Ucraina (con il riposizionamento del conflitto a livello regionale) e dall’altro l’allargamento di scontro mirato a fermare il ruolo della Russia nella creazione di una struttura economica e militare che possa toccare oltre all’Iran, anche la Cina e le ex repubbliche sovietiche. Ciò che è certo è che la flotta Usa per difendere Israele non ha bisogno di dispiegarsi nel golfo dell’Oman. Basterebbe presidiare le coste di Gaza e quella piccola striscia che va sotto il nome di Eilat. Insomma, stiamo assistendo a un allargamento del conflitto e delle tensioni con la Russia e la Cina. L’Italia si è già schierata. Avremo davanti un triennio molto movimentato.
Attraverso il canale di Suez, transitano quasi 83 miliardi di euro di import ed export Italiano, pari a circa il 40% del totale dell’interscambio via mare dell’Italia. Basta questo dato, contenuto nel rapporto 2023 su Suez di Srm (il centro studi collegato al gruppo Intesa Sanpaolo), per capire l’impatto degli attacchi dei droni dei ribelli Huthi armati dall’Iran. Perché bloccare il Mar Rosso significa bloccare Suez. E una rotta strategica per i cargo che trasportano le merci. L’alternativa è far percorrere alle navi un percorso più lungo, più costoso (in termini di equipaggi da pagare e di polizze assicurative già schizzate alle stelle) e altrettanto complicato considerando che, o si passa dal Capo di Buona Speranza circumnavigando l’Africa con una deviazione di 3.000 miglia nautiche, pari ad almeno due settimane di viaggio in più, oppure si deve imboccare la via del Pacifico attraverso Panama. Dove, però, i recenti disordini hanno congestionato il traffico nel canale, alimentando i ritardi e spingendo le esportazioni di grano dagli Stati Uniti a utilizzare proprio Suez.
Circa il 40% dei nostri scambi di import-export avviene via mare, per 377 miliardi di euro a fine 2022, con un aumento del 66% nel decennio. Il Mediterraneo è sempre più centrale, con la spinta di Suez (oltre 23.400 le navi transitate nel 2022). E i porti italiani nel 2022 hanno movimentato oltre 490 milioni di tonnellate di merci, con un incremento dell’1,9% sul 2021. Dal 2019 in poi si assiste al sorpasso in Italia del segmento Ro-Ro, ossia i truck e i semirimorchi (cresciuto del 55% dal 2013) sui container, un settore - quest’ultimo - comunque in buona salute con 11,6 milioni di container (Teu) movimentati nel 2022 e una crescita nel decennio del 15%, ma al di sotto dei competitor euromediterranei.
A livello globale ci sono 26 milioni di barili di petrolio che ogni giorno passano da due punti, il canale di Suez e lo stretto di Hormuz. Nel solo canale di Suez passare il 10% dell’oil mondiale e l’8% del Gnl. Sulla rotta Asia-Africa-Europa transita il 10-13% del commercio mondiale. Se il blocco non si risolverà entro fine anno, rischia di sfumare l’atteso taglio delle tariffe del gas a gennaio. E se ci sarà un allargamento del conflitto in quella zona, gli effetti su commercio mondiale e prezzi sarà ancora più pesante. Già adesso le attività dei ribelli contro le navi in transito nel Mar Rosso stanno provocando un aumento dei costi di trasporto delle merci stimato attorno al 12 per cento. Quando l’Evergiven ha bloccato il Canale di Suez nel marzo 2021, ha avuto un effetto drastico sui costi di trasporto, che hanno poi contribuito ad alimentare l’inflazione, le tariffe sulla rotta commerciale Asia-Nord Europa sono salite a 20.000 dollari per container rispetto alla media storica di 1.500 dollari.
«Mare insicuro significa mare costoso: quando un’area di mare entra in una fase di insicurezza tutti i costi delle merci che passano in quell’area di mare aumentano per tutti. I veri costi aumentano per i consumatori finali, vale a dire per noi cittadini a terra. Gli aumenti di costi assicurativi vengono immediatamente ribaltati sulle merci trasportate e sui consumatori finali», ha detto ieri Luca Sisto, direttore generale di Confitarma (la confederazione degli armatori). In allarme anche i porti: «Per quanto riguarda Trieste avremo almeno due, tre settimane di stop. Dal 27 dicembre a metà gennaio non avremo navi, che stanno circumnavigando l’Africa. Se la situazione perdura, mi chiedo, una nave che circumnaviga l’Africa che interesse ha a entrare nel Mediterraneo o a raggiungere il Mediterraneo orientale o l’Adriatico? Il West Med si salva, East Med andrà servito in transhipping», ha spiegato Zeno D’Agostino, presidente Espo (European Sea Ports Org.) e del porto Trieste.
Tutto questo succede mentre sta proseguendo l’azione politica sul Mediterraneo allargato (Tunisia, Algeria, Egitto, Israele, Eau) attraverso i contatti avviati dal governo Meloni con i principali omologhi della regione per condividere un’agenda di lavoro sulla lotta alle migrazioni illegali, cooperazione energetica e commerciale. La nuova crisi coincide anche con un profondo cambiamento della geopolitica commerciale. Negli ultimi anni, infatti, c’è stata una crescita delle rotte marittime regionali a scapito delle rotte globali simultaneamente a processi di reshoring o nerashoring in settori collegati a comparti industriali ritenuti strategici dai vari paesi. Il Mediterraneo sta crescendo nei commerci grazie al cosiddetto short-sea-shipping e al Ro-Ro (l’imbarco dei Tir direttamente sulla nave). Il motivo è semplice: se una azienda ha una filiera di approvvigionamento lunga e deve importare o esportare in Cina dovrà usare le navi portacontainer e utilizzare la rotta Suez-Asia. Ma se la stessa azienda, per motivi di sicurezza degli approvvigionamenti e vicinanza ai mercati decide di spostare una parte della sua subfornitura in Turchia o in Marocco, per esempio, la modalità del Ro-Ro risulta più adatta per trasportare merce verso la sponda Sud del Mediterraneo. Con questo riassetto sullo sfondo, il Mediterraneo in generale e lo snodo di Suez in particolare, rappresentano l’unico luogo in cui si incontrano tutte le macroregioni geografiche» del mondo, ossia Asia, Europa, Africa e la costa atlantica degli Usa (mentre Panama e Malacca rappresentano punti di collegamento bilaterali e non globali). Per questo gli attacchi dei pirati yemeniti rischiano di dare l’ennesimo scossone al commercio mondiale, dunque alla crescita dei singoli Stati. Italia compresa.


