Ecco #LaVeritaAlleSette del 29 marzo 2022 con Camilla Conti.
L'argomento di oggi è: "Caso Mps (tra passato e presente), questione Gamaleya-Spallanzani".
Ecco #LaVeritaAlleSette del 29 marzo 2022 con Camilla Conti.
L'argomento di oggi è: "Caso Mps (tra passato e presente), questione Gamaleya-Spallanzani".
«Non si tratterà di una svendita di attività statali» ma di «una soluzione strategicamente superiore nell'interesse del Paese», con la «massima attenzione per 21.000 dipendenti» e senza rischi di «smembramento» del Monte dei Paschi, ha detto il ministro dell'Economia, Daniele Franco, davanti alle commissioni Finanze di Camera e Senato riunite nella Sala del Mappamondo di Montecitorio.
Franco ha spiegato così le ragioni che l'hanno spinto ad avviare una trattativa in esclusiva con Unicredit (ma non ha spiegato perché sia stato scartato l'altro fondo interessato, Apollo). Dopo aver ricordato le ultime puntate della telenovela senese, il ministro ha sottolineato che «il nuovo piano della banca non è conforme con gli impegni presi con la Ue», che «l'esito degli stress test richiede un aumento capitale superiore a 2,5 miliardi» e che «non ci sono presupposti per richiedere alla Ue un rinvio dei termini» fissati al 31 dicembre. Anzi, è probabile che Bruxelles chieda «obiettivi più ambiziosi» e «gli esuberi di personale potrebbero essere considerevolmente più elevati» rispetto ai 2.500 volontari attualmente fissati. «Se la banca restasse soggetto autonomo, sarebbe esposta a rischi e incertezze considerevoli e avrebbe seri problemi», ha poi precisato. Quindi ecco la trattativa aperta con Unicredit di cui, se l'operazione andrà in porto, il Mef potrà anche arrivare a detenere una quota, pur senza cambiare gli equilibri di governance. Il Tesoro è vincolato a negoziare solo con l'istituto guidato da Andrea Orcel finché la due diligence non sarà completata, entro 40 giorni «che possono essere prorogati», ha aggiunto Franco, la cui audizione era ancora in corso quando questo giornale andava in stampa.
Sullo sfondo, intanto, vanno registrate le voci di altri due banchieri: l'ad di Intesa, Carlo Messina («Non ci porremo in nessun modo come ostacolo a una eventuale operazione di Unicredit nei confronti di Mps, tutto quello che può venire per stabilizzare il sistema è un valore») e quella dell'ad di Bper, Pier Luigi Montani («Ci rendiamo conto che potremmo essere coinvolti in un processo di M&A e se sarà così valuteremo la convenienza per i nostri azionisti, ma escludo Carige»).
Mentre oggi il cda di Rocca Salimbeni approverà i conti semestrali, la trattativa tra il Mef e Unicredit ieri ha «riesumato» anche vecchi protagonisti delle vicende politiche e finanziarie senesi. Come l'ex presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, che dopo la lettera inviata da Enrico Letta a Repubblica ha voluto dire la sua. Allineandosi al segretario del Pd (che tra l'altro l'ha superato nella corsa per la candidatura alle suppletive senesi) e spostando come Letta l'attenzione su «alcuni nodi come le infrastrutture per i collegamenti, la cittadella universitaria, il polo delle Scienze della vita». Perché «occorre pensare a Siena non solo in termini di Mps,» ma individuare per la città «una via di sviluppo» al territorio «come risorsa agricola», con Siena «punto di riferimento di un polo grande che comprende l'Aretino, il Grossetano, in qualche modo il Viterbese». In sostanza, perso il polo finanziario si riconverte tutto. Ovviamente «mettendo al centro la tutela dei lavoratori, dei risparmiatori e delle imprese, senza cedere a logiche di potere». Logiche che ovviamente non riguardano la Regione da lui al tempo governata, («Se errori ci sono stati, vanno cercati nella Fondazione Mps che controllava la banca»). La sinistra, secondo Rossi, deve quindi «stare fuori dalle nomine in questi ambiti» ma deve anche «costruirsi la capacità d'intervenire sui nodi della finanza».
Dal passato rispunta anche un ex presidente del Monte dei Paschi dal 1998 al 2006, Pierluigi Fabrizi. Il professore universitario ieri ha sentito la necessità, «dopo anni deliberato silenzio, di portare la mia testimonianza per contribuire alla ricostruzione dei fatti di quell'epoca». E in una nota ha precisato che l'acquisizione della Banca del Salento, pagata 2.500 miliardi di lire nel 1999, venne fatta sia «per aumentare la presenza» di Mps «nel Sud Est», sia per avviare «una politica di diversificazione dei canali di distribuzione» acquisendo una «rete di promotori finanziari» di cui Mps era «totalmente priva». Al pari delle altre acquisizioni fatte in quegli anni, ha poi aggiunto Fabrizi, «alcune di successo altre meno», anche quella fu determinata da «obiettivi e logiche di mercato». L'acquisizione di quella che diventerà Banca 121 rientrava insomma nella strategia di fare di Siena un «polo aggregante federativo», affiancata dal tentativo «di una possibile fusione» con Bnl, ricostruisce Fabrizi. Le nozze con la banca romana furono però bloccate «da miopie politiche locali e nazionali ascrivibili» all'indisponibilità a ridurre la quota della Fondazione Mps «sotto il 50%» della banca e «al timore che Mps diventasse un primario player nazionale». Due cose sono certe, secondo Fabrizi: «La prima è che Bnl era ed è un'ottima banca; la seconda è che se quell'operazione non fosse stata impedita dalle suddette miopie, Mps avrebbe risolto una volta per tutte il problema della crescita dimensionale e la Fondazione avrebbe partecipato come protagonista al controllo di una grande banca». Con il senno di poi, però, non si fa la storia. E quella del Monte è arrivata forse al capitolo finale.
Non c'è solo il Pd a piangere lacrime di coccodrillo per il futuro del Monte dei Paschi. Al grido di dolore di questi giorni di campagna elettorale senese per le suppletive di ottobre, con il nodo esuberi che incombe sui voti per il candidato-segretario Enrico Letta, si uniscono i sindacati. Con un «no pasaran» quasi unanime, se si esclude la posizione di Lando Maria Sileoni della Fabi, che martedì ha ridimensionato gli allarmi, sottolineando che il problema si risolve con i prepensionamenti garantiti dal fondo di settore.
Proprio come molti esponenti del centrosinistra che oggi piangono dopo aver attivato il processo di rimozione kafkiano, anche una parte del sindacato soffre però di improvvise amnesie. Sfortunatamente chi negli ultimi 20 anni ha seguito da cronista finanziario le vicende del Monte dei Paschi ha ottima memoria. E ricorda che nel cda di Mps, negli anni d'oro della gestione di Giuseppe Mussari, sedeva l'ex segretario provinciale della Cgil: Fabio Borghi. Consigliere appunto del Monte dal 2003 al 2012, nominato su indicazione della Fondazione Mps (di cui era stato membro dal settembre 2001 all'aprile 2003). La carriera di Borghi è tutta nella galassia Mps: è stato presidente del Fondo pensione complementare per i dipendenti del Monte, consigliere della Cassa di previdenza aziendale per il personale, presidente di Mps Gestione crediti, di Mps Banca personale e presidente di Mps leasing and factoring. E fuori da Siena, anche membro del cda di Banca Monte Parma e di Unipol Gruppo finanziario.
Ma soprattutto Borghi era nel board che a novembre 2007 approva l'acquisto di Antonveneta. Per questo viene ascoltato il 14 novembre del 2012 dai pm senesi: «Ho saputo della possibilità dell'acquisizione di Antonveneta nel corso della riunione tenutasi alle ore 8 circa dell'8 novembre 2007 presso l'ufficio del presidente Mussari. Il 7 sera fui chiamato dal segretario del presidente, che mi convocò per il giorno dopo dicendomi che il presidente ci doveva dare delle informazioni riservate. A quella riunione», racconta ancora Borghi, «erano presenti anche gli altri componenti del cda nominati dalla Fondazione e il direttore generale Antonio Vigni. Nell'occasione, Mussari ci disse che vi era la possibilità di acquisire Antonveneta al prezzo di 9 miliardi, ci illustrò le ricadute sulla banca in termini di contrazione dei costi e di redditività. Gli chiedemmo come si era determinato il prezzo e in che modo sarebbe stato pagato. Per grandi linee ci disse che tra gli strumenti che sarebbero stati utilizzati per pagare il prezzo vi era anche un aumento di capitale. Non ci disse che aveva già informato gli altro soci», ma «che dopo l'incontro con i consiglieri nominati dalla fondazione aveva in programma degli incontri anche con altri consiglieri». E poi Borghi aggiunge: «Non dissi ad alcuno di quanto avevamo saputo da Mussari nel corso della riunione . Ricordo però di avere inviato a Maurizio Cenni, allora sindaco di Siena, un sms del seguente tenore: “Allora ci compriamo Antonveneta?" senza ricevere alcuna risposta». Lo stesso Cenni, del resto, era un ex sindacalista (segretario provinciale di Latina) prima di essere eletto nelle liste del Pds e infine diventare primo cittadino. Un altro esponente della Fisac, Paolo Calosi, dopo la nomina di Borghi alla presidenza di Mps leasing, era diventato capo del personale della stessa. E sempre in Mps leasing sedeva anche Claudio Vigni, anche lui ex segretario generale della Cgil di Siena.
Resta agli atti il comunicato stampa vergato insieme dalle segreterie di Cgil, Cisl e Uil, nelle loro sigle bancarie, subito dopo l'acquisto della banca padovana: «Esprimiamo grande soddisfazione per l'operazione Antonveneta, che mette al riparo Mps da speculazioni mediatiche e finanziarie». Amen.

