Il caso Garofani non si sgonfia, anzi esplode. Belpietro ricostruisce come la notizia sia stata verificata e confermata dallo stesso consigliere del Quirinale, mentre parte della stampa tenta di minimizzare e attaccare chi l’ha pubblicata. Padellaro, da sinistra, lo riconosce: è una notizia vera e grave. E allora la domanda resta una: com’è possibile che un uomo così vicino al Colle parli apertamente di scossoni politici e listoni anti-Meloni?
Maurizio Belpietro e Giorgia Meloni (Christian Castelnuovo)
Giorgia Meloni al secondo «Giorno della Verità»: «Proveranno a interrompere la legislatura, ma invano». Sul decreto Sicurezza: «Altro che autoritarismo, vado fiera della norma. A sinistra considerano libertà scippi e occupazioni?». Bordata sui soldi al cinema rosso: «Ho visto cifre folli, il vero clan sono i progressisti: ora basta».
(...) «Le polemiche ormai me le aspetto su qualsiasi cosa. Dopodiché, perché ho scelto di dire così? Banalmente perché sono il premier e penso che sia giusto dare un segnale di rispetto nei confronti delle urne e dell’istituto referendario. Con sfumature diverse non condivido i contenuti dei referendum. E, come sempre in questa nazione, quando non si condividono i contenuti di un referendum c’è l’opzione dell’astensione. Perché, come ci insegna un partito serio in Italia...». (Mostra un vecchio volantino del Pds). «“Non votare al referendum è un diritto di tutti. Dei lavoratori e dei non lavoratori”. Allora non ho capito: è un diritto dei lavoratori e dei non lavoratori solo di sinistra o anche di quelli che non lo sono? Penso che su queste cose bisogna essere seri. Nella storia della Repubblica tutti i partiti, a fasi alterne, hanno fatto campagne per l’astensione. E penso che i diritti valgano per tutti. Aggiungo un tema di metodo, perché molti di quelli che mi redarguiscono sono stati al governo negli ultimi dieci anni. Ora qui parliamo di referendum che tendenzialmente aboliscono delle leggi fatte dalla sinistra. Che adesso la sinistra, che sta all’opposizione, chiede di abolire. Se la cantano e se la suonano, come si dice a Roma. Ma io penso che se le materie che si pongono oggi all’attenzione degli italiani fossero state così dirimenti, la sinistra quando governava avrebbe potuto tranquillamente modificarle in Parlamento. Invece di chiedere di spendere altri 400 milioni di euro per interrogare gli italiani. Dopodiché, non metto bocca perché rispetto l’istituto referendario. È una questione che mi pare più interna alle varie correnti della sinistra. Segnalo sommessamente che la cosa che ho dichiarato io l’hanno dichiarata anche diversi esponenti, di massimo spicco, del Pd. I quali hanno annunciato che su alcuni referendum si recheranno alle urne, ma non ritireranno la scheda. Mi pare Lorenzo Guerini, Pina Picierno e altri…».
Lia Quartapelle...
«Torno alla domanda iniziale. Abbiamo gli stessi diritti o più ristretti? Io non penso che abbiamo dei diritti diversi dalla sinistra e quindi rivendico questa decisione».
Ma lei pensa che sia un referendum dentro la sinistra, cioè per decidere quale delle due fazioni è favorevole oppure no a queste misure?
«Io penso che sia tutta una questione interna alla sinistra. Poi ovviamente, per non dire che c’è un avversario interno si cerca un nemico esterno. E si sta montando questa campagna contro chi sostiene l’opzione dell’astensione, come hanno fatto fior fior di presidenti della Repubblica, come hanno previsto i Padri costituenti quando hanno messo un quorum per i referendum abrogativi».
Lei ha parlato prima di sfumature diverse, ma sul tema della cittadinanza che opinione ha?
«Sono contrarissima a dimezzare i tempi della cittadinanza. Continuo a ritenere che la legge sulla cittadinanza in Italia sia ottima. Tra l’altro molto aperta, nel senso che siamo da svariato tempo tra le nazioni europee che ogni anno concedono il maggior numero di cittadinanze. Cosa diversa è accelerare l’iter burocratico una volta che si ha il diritto di accedervi ed è una materia sulla quale lavoriamo».
Presidente, prima le ho fatto la battuta sulla legislatura e forse su una legislatura futura. Innanzitutto non è mai accaduto che un governo la concludesse. L’unico caso che io ricordi è quello del governo Berlusconi ma si fece un rimpasto, si nominarono altri ministri. Un governo che è stato incaricato all’inizio della legislatura e che arriva alla fine, nella storia della Repubblica non c’è. Quindi, siccome ogni tanto leggo di contrasti tra i vari gruppi che compongono la maggioranza, le chiedo: ma secondo lei c’è una manovra per provare a mandare a casa questo governo? E magari costituire una nuova maggioranza, soprattutto in vista della prossima legislatura che, fra l’altro, dovrà persino designare il futuro presidente della Repubblica?
«Guardi, che si tenti di osteggiare il governo mi sembra la cosa più naturale del mondo. Che ci si riesca mi pare oggi la cosa più difficile. Nel senso che la maggioranza è compatta e lavora bene. E, come ho detto tante volte, la compattezza di una maggioranza si vede dalla quantità di risposte che è in grado di produrre. E mi pare che questo governo di risposte ne abbia date molte. Approfitto per offrire un’informazione perché anche stamattina, e ogni volta che convoco una riunione con i ministri, particolarmente se è una riunione con i vicepremier, c’è qualcuno che scrive che io ho bacchettato qualcuno. Questo non è accaduto! Io sono fiera del lavoro dei miei ministri e particolarmente dei miei vicepremier. Sono fiera del lavoro di Matteo Salvini in un ministero oggettivamente molto complesso e sono fiera dell’impegno di Antonio Tajani in una situazione internazionale…».
Lo ha detto qui, si è definito il ministro più sfigato.
«E io con lui» (ride). «Tajani sta lavorando in un quadro particolarmente complesso. E quindi, al di là delle speranze che in molti possono covare e al di là di alcune ricostruzioni che a volte mi sembrano fatte per determinare dei fatti, piuttosto che per raccontarli, io lavoro perché questa legislatura arrivi al termine, con questo governo. È per me la sfida più grande. Credo che la riforma più grande che abbiamo dato finora a questa nazione sia quella della stabilità. Lei non ha idea, direttore, di quante volte, quando parlo con un mio omologo all’estero mi si dice: “Con l’Italia era molto difficile lavorare prima, perché ogni volta che incontravi il tuo omologo l’interlocutore era cambiato”. Io so che dare stabilità a questa nazione significa cambiare tante cose. Significa fare una politica di bilancio per la quale non devi spendere più dei soldi che hai per cercare consenso facile, perché hai tempo per vedere i risultati di riforme strutturali. Significa cambiare tutto e guardi che sta cambiando perché noi negli ultimi giorni abbiamo fatto un’emissione di Btp e abbiamo messo sul mercato 17 miliardi di euro e sono arrivate richieste per 210 miliardi. Sa cosa significa? Che siamo considerati solidi, sicuri. E fa la differenza, direttore, quando vuoi portare investimenti esteri, quando vuoi chiedere anche agli italiani di investire. Perché la prevedibilità, la certezza che non cambierà tutto in poco tempo fa la differenza. E io farò tutto quello che posso per arrivare alla fine di questa legislatura con questo governo. Poi ovviamente non dipende solamente da me. Ma sono ragionevolmente ottimista che le cose andranno così».
Anche se ci fosse un risultato diciamo non positivo alle prossime regionali?
«Guardi, si vota per cinque regioni la prossima volta. Se dovessimo calcolare questo come un metro oggettivo di dov’è la maggioranza degli italiani, mi corre l’obbligo di ricordare che da quando è iniziata questa legislatura attualmente siamo 11 regioni a 3. Diciamo che il gap non sarebbe già recuperabile, direttore» (ride). «Poi faremo del nostro meglio per presentare la candidatura di persone che possano essere credibili, autorevoli e vincenti. Ma non è un elemento dirimente per la tenuta della legislatura».
Lei prima raccontava che quando incontra gli altri premier viene lodata la nostra stabilità attuale, ma, in realtà, leggendo alcune ricostruzioni, ma soprattutto le dichiarazioni di alcuni esponenti dell’opposizione, l’Italia - e quindi anche lei che la rappresenta - sarebbe isolata. Lei viene anche da un incontro con il presidente francese, Emmanuel Macron: l’abbiamo rotto questo isolamento?
«Tutto si può dire fuorché che l’Italia sia isolata. Piuttosto credo che l’Italia abbia ritrovato un suo protagonismo, che lo abbia fatto con l’autorevolezza e con la franchezza che secondo me le devono essere proprie. Dopo la caduta dell’ultimo governo di centrodestra si è tentato di far passare il messaggio che l’unico ruolo possibile per l’Italia in politica estera fosse quello dello junior partner di Francia e Germania. Io sono oggettivamente un tantino più ambiziosa. Penso che l’Italia debba ricordarsi che è una grande nazione, una potenza economica che ha fondato l’Ue e la Nato. Quindi è evidente che bisogna andare d’accordo, è importante avere cooperazione e collaborazione con la Francia e con la Germania. Io, ad esempio, ho un ottimo rapporto con il nuovo cancelliere tedesco, Merz. Con Emmanuel Macron si è discusso molto perché abbiamo avuto un bilaterale di tre ore, ma le materie su cui Francia e Italia lavorano insieme sono un’infinità. Dopodiché però penso anche che l’Italia debba rivendicare una cooperazione tra pari. E debba rivendicare una sua autonomia, esattamente come fanno tutti gli altri. Non penso che il ruolo dell’Italia debba essere quello di ruota di scorta di Parigi e Berlino. Possiamo giocare un’altra partita e penso che oggi tutti abbiano fatto i conti con questa nuova linea di politica estera italiana e che questa dimostri che noi possiamo avere e giocare un altro ruolo. E quindi intendo andare avanti».
Ci saranno altri incontri con Macron?
«Ci sono solo questo mese altri tre vertici…».
No, intendo bilaterali?
«Guardi che ormai vedo più Macron di mia figlia» (ride). «Siamo sempre impegnati: c’è il vertice Nato, c’è il G7, c’è il Consiglio europeo… Passerò praticamente dieci giorni con tutti gli altri leader tra una cosa e l’altra. Quindi sì, ci saranno molti altri incontri, particolarmente nel mese di giugno».
Anche con Donald Trump ce ne sono stati alcuni?
«Anche con il presidente americano ce ne sono stati diversi e ce ne saranno ancora, tra vertice Nato e G7».
Ma in queste riunioni con Trump e con Ursula von der Leyen si arriva al dunque sui dazi secondo lei?
«Ci sto lavorando molto. Penso che il lavoro diplomatico che l’Italia ha fatto per favorire un avvicinamento sia stato molto utile. Dopodiché il dossier non è nelle nostre mani, è nelle mani della Commissione. Non sono gli Stati membri che trattano. Io ho dato i miei consigli alle persone coinvolte. Penso che ci sia a volte un problema di comunicazione: da una parte un approccio molto di dettaglio, che è quello della Commissione europea, e dall’altro un approccio più politico. Bisogna riuscire a trovarsi. Però io sono sufficientemente positiva sul fatto che continuare a favorire momenti di incontro che riguardano più in generale anche il rapporto transatlantico e il ruolo dell’Occidente nell’attuale dimensione sia utile. Siamo stati abituati a un mondo nel quale quando ci occupavamo di noi stessi ci occupavamo anche di tutto il resto. Oggi non è più così. Dobbiamo ripensare il nostro ruolo e ci dobbiamo guadagnare il nostro ruolo nel mondo. E penso che lo possiamo fare solamente insieme. Il famoso Make the West Great Again. Se invece ci allontaniamo non faremo altro che indebolirci l’un l’altro. L’Italia ha tenuto questa linea anche per i buoni rapporti che può vantare da una parte e dall’altra e continueremo a fare del nostro meglio. Sono ragionevolmente positiva sul fatto che alla fine si arriverà a una composizione».
Pensa che si arriverà invece a una pace in Ucraina o pensa che Putin stia solo prendendo tempo per riorganizzare le proprie file.
«I segnali non sono incoraggianti. C’è stato per lungo tempo il dibattito su quali fossero le cause della guerra in Ucraina, se fosse una certa assertività americana durante l’amministrazione Biden. E quella che la Russia percepiva come minaccia riguardo all’ingresso dell’Ucraina nella Nato. O piuttosto, come io ritengo, il fatto che Putin covasse un sogno di recupero delle vecchie arie di influenza russa. Purtroppo quello che accade in queste settimane racconta molto. Se la realtà fosse stata quella che hanno sostenuto alcuni, allora di fronte a un presidente americano che oggi dice che quell’opzione non è sul tavolo e la Russia deve essere reinserita nella Comunità internazionale, ci si aspetterebbe da parte di Mosca di fare chiari, repentini passi in avanti nella direzione di una pace. E invece questo non sta accadendo. E quindi temo che si torni alla vera ragione dell’invasione: le sfere di influenza. Quello che Putin racconta come il ritorno agli storici confini della Russia. Quali siano questi confini è difficile dirlo, ma quei confini potrebbero coinvolgere la Moldavia, la Polonia…».
Lettonia…
«I Baltici. Quando io ho deciso di sostenere l’Ucraina, e continuo a farlo, al di là del fatto che credo che un popolo sovrano debba potersi difendere da un’invasione, l’ho fatto anche per un’altra ragione. Se l’Ucraina fosse capitolata immediatamente noi avremmo rischiato di ritrovarci una guerra più vicina a casa nostra. E poiché la pace è deterrenza, l’unica cosa che potevamo fare era rendere la guerra in Ucraina difficile, non conveniente. E se oggi si comincia a parlare di un tavolo negoziale è perché è stata costruita quella deterrenza. Dopodiché noi oggi dobbiamo continuare a sostenendo tutti gli sforzi che vengono fatti. Sicuramente quelli degli Stati Uniti, poi la mediazione del presidente turco Erdogan, fino alle disponibilità del pontefice a ospitare i negoziati in Vaticano per costringere la Russia a sedere al tavolo in modo serio. L’Ucraina ha detto di sì a un cessate il fuoco, ha fatto tutto quello che doveva fare. Dall’altra parte, segnali non sono ancora arrivati».
Ma secondo lei ci sono dei piani di attacco nei confronti dell’Europa da parte della Russia?
«Non ho gli elementi per dirlo. È una preoccupazione che viene manifestata legittimamente da molti Paesi che sono vicini al confine russo e che probabilmente hanno le loro evidenze. Non ho gli elementi, ma se il disegno è quello di un’espansione non c’è niente che si possa escludere.
Mentre per quanto riguarda Gaza cosa si può fare per costringere le parti a cessare il fuoco? L’accusano anche di non aver preso posizioni decise. Cosa risponde?
«Rispondo che tutti gli attori della regione del Medio Oriente riconoscono l’Italia come uno degli interlocutori più seri e credibili. E questo mi basta, al di là delle polemiche. Siamo stati chiari nel ricordare che questa guerra è stata iniziata da Hamas. Dopodiché il governo ha anche detto che la legittima reazione di Israele agli attacchi terroristici ha assunto dei contorni inaccettabili. Israele deve fermarsi immediatamente tutelando la popolazione civile. Ma noi abbiamo agito, non abbiamo parlato. Siamo uno dei Paesi al mondo che ha aiutato di più la popolazione di Gaza. Cosa bisogna fare ora? Gli attori fondamentali sono i Paesi del Golfo e i Paesi arabi, che si sono dimostrati molto responsabili. E penso che siano l’elemento che può fare la differenza nel trovare una ricomposizione. Dopodiché sappiamo che c’è anche l’Iran. E qui la questione si complica, ma è la ragione per la quale stiamo anche sostenendo i colloqui negoziali tra Iran e Stati Uniti».
Torniamo in Italia. Vi accusano di voler instaurare una sorta di regime e di limitare le libertà costituzionali di manifestare e di voler impedire il dissenso.
«Allora, ci accusano di autoritarismo per il decreto Sicurezza. Ma vale la pena ricordare qualche titolo: prevede un inasprimento delle pene per chi insulta e aggredisce le forze dell’ordine. Prevede una stretta contro i borseggi, contro la possibilità che si mandino i minori a fare accattonaggio. Prevede una stretta contro le truffe agli anziani, norme di estrema celerità per sgomberare le case occupate. E prevede delle norme che inaspriscono le pene contro chi per manifestare blocca le strade e le ferrovie. Tu puoi tranquillamente manifestare senza ledere i diritti degli altri. L’autoritarismo è una contrazione delle libertà. Quali sarebbero le libertà che noi staremo in un complimento?».
Occupare le case?
«Truffare gli anziani? Se la sinistra considera che queste sono libertà io sono fiera di stare dall’altra parte».
Rimanendo alle contestazioni dell’opposizione. La Verità ha raccontato nel dettaglio quali siano i finanziamenti al cinema che sono stati dati in questi anni, quasi sempre a film politicamente orientati e spesso neppure visti. Però vi dicono che volete tappare la bocca agli artisti.
«Abbiamo fatto delle norme di buon senso per impedire gli sprechi. Io penso che non fosse serio consentire che ci fossero delle produzioni che prendevano contributi pubblici milionari e poi al botteghino contavano pochi spettatori. Questa cosa ci è costata circa 7 miliardi di euro negli anni. Lei capisce che non possiamo continuare a permetterlo. Dopodiché non è che mi stupisce che chi ha beneficiato di questi lauti contributi contesti il governo. Qualcuno ha detto che ci comportiamo come un clan. Ma lei conosce qualche attore dichiaratamente di destra?».
Qualcuno.
«Ma non lo dicono. Non abbiamo notizia di esponenti del mondo del cinema di rilievo che non si dichiarino di sinistra, ma questo è statisticamente impossibile. Quindi la risposta è che gli altri non dichiarano le loro preferenze politiche perché altrimenti non lavorano. E allora, a chi dice che noi ci comportiamo come un clan devo rispondere che per me quando uno è bravo lavora, e non me ne frega niente di che cosa vota. Quelli che non fanno lavorare chi non vota come dicono loro hanno un comportamento da clan. Io credo nella libertà d’espressione delle proprie idee. E non butterò i soldi dei cittadini per pagare cose che non lo meritano».
Grazie presidente, allora l’aspetto l’anno prossimo.
«Grazie a lei, in bocca al lupo e complimenti».
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Riduci
«Necessaria, come il premierato. TeleMeloni? Sono molto meno presente di tutti i miei predecessori, lo dicono i numeri. E vogliono pure impedirmi il confronto con la Schlein. La repressione del dissenso è una bufala di chi usava gli idranti contro lavoratori inermi. Sul Covid fatti tanti errori: voi coraggiosi».
Presidente, io mi leverei subito il problema, visto che tante persone vogliono saperlo: cosa pensa dell’inchiesta di Genova?
«Quello che vedo è che il presidente della Regione Liguria ha detto che avrebbe letto le carte e che poi avrebbe dato la sua versione dei fatti. Penso che il minimo sindacale di rispetto per un uomo che governa bene da diversi anni sia attendere le sue parole. Non ho altro da aggiungere sulla vicenda perché non ho gli elementi per farlo».
Veniamo al confronto con Elly Schlein. È la prima volta che un premier in carica, candidato, si confronta con il leader del partito dell’opposizione. Perché lo fa?
«Perché il confronto mi piace, è il sale della democrazia, soprattutto incampagna elettorale. E francamente mi fa sorridere il dibattito di questi giorni. Io penso che sia normale raccontare agli italiani che ci sono due modelli di Europa: da una parte la proposta socialista e dall’altra quella dei conservatori. Mettere a confronti le ricette e le visioni è un modo di aiutare i cittadini nella loro scelta. Dopodiché storicamente non sono una persona che ha il timore di confrontarsi. Sarà anche che sono stata tanti anni all’opposizione, per cui mi fanno sorridere quelli che oggi si stracciano le vesti dicendo che non si può fare, che il confronto va fatto con tutti... Non ricordo le stesse parole quando ero dall’altra parte. Se gli altri comunque vogliono organizzare confronti diversi sono liberissimi di farlo, ma che si brighi per tentare di impedire questo mi pare insomma francamente eccessivamente. Vedremo cosa accadrà».
Vedremo cosa accadrà... quindi cosa si aspetta? Gli altri li vede preoccupati?
«Noto che si sta muovendo qualcosa, magari con l’idea che sarebbe meglio che questo confronto non si facesse. Io lo considererei un errore, è una cosa utile per tutti».
Lei ha detto: «Sulla scheda scrivete Giorgia», rivendicando il suo status di «pesciaiola», «borgatara», cosa le avevano detto?
«La correggo, è “pesciarola” e non “pesciaiola”» (ride). «Ma posso andare avanti per ore: “fruttivendola”, “regina di Coattonia”, “borgatara”...».
La accusano di demagogia?
«Ma guardi, mi accusano di qualsiasi cosa. La verità è che sono fiera del fatto che a un anno e mezzo di distanza dal giorno in cui sono diventata presidente del Consiglio la maggior parte delle persone che mi incontra per strada mi chiama ancora Giorgia. Temevo che il ruolo potesse creare una distanza, ma sono fiera del fatto che le persone mi diano ancora del tu. Gli avversari pensavano che darmi della “borgatara” fosse il peggiore insulto che mi si potesse rivolgere, non capendo che per me non lo era. Se io sono diventata premier vuol dire che il destino delle persone non è determinato dalla loro condizione d’origine. Carlo Cottarelli dice: “Non chiamatemi Carlo, chiamatemi dottore”. Bene, bravo, per carità. Però in Italia c’è anche tanta gente che non è stata nella condizione di laurearsi e a queste persone voglio dire che il loro destino non è segnato. Non conta la condizione dalla quale provieni, ma la tua disponibilità al sacrificio, la tua capacità di dimostrare quello che vali. Io la vedo così e in questo non siamo uguali ala sinistra».
Lei ha parlato di obiettivi da raggiungere. Ma il suo obiettivo, scendendo in campo, qual è?
«Confermare il consenso che avevo quando sono diventata premier. Lo considererei importante perché in questo anno e mezzo molto complesso abbiamo dovuto prendere decisioni difficili, coraggiose. Io non sto al governo per me stessa. Faccio questa vita solamente per i cittadini italiani e solo se loro sono d’accordo. Sono stata contestata dal Movimento 5 stelle, secondo il quale la candidatura dei parlamentari e dei membri del governo è una truffa. Secondo me la democrazia non è mai una truffa. Lo è invece, ad esempio, mettere a capo del governo un signore che non si era mai candidato e gli italiani non sapevano nemmeno chi fosse».
C’è qualcuno che dice che dopo le europee ci sarà un rimpasto di governo, una parola terribile, da Prima repubblica. E che il rimpasto servirebbe anche a mandare qualche esponente del governo in Europa, come commissario.
«Intanto non ho mai pensato a un rimpasto. Anzi, tra le cose sulle quali mi piacerebbe fare la differenza c’è proprio arrivare a cinque anni con il governo che ho nominato. Non è mai accaduto nella storia d’Italia. Dopodiché, a maggior ragione, non per fare il commissario europeo commissario europeo. Il commissario è uno e bisogna vedere qual è la delega che l’Italia riesce a spuntare».
Che delega vorreste?
«Una delle più importanti e una di quelle che ci aiutano a difendere meglio l’interesse nazionale italiano».
Mi fa un elenco?
«Penso alla delega sulle materie le materie economiche, non indebolita, come è accaduto l’ultima volta, quindi piena. Poi la competitività, il mercato interno, la coesione, il Green deal, la famosa transizione verde. A questo proposito, possiamo dire che qualcosa non ha funzionato in come è stata portata avanti. E ora bisogna correggere il tiro».
Correggere il Timmermans?
«Esatto». (ride). «In realtà si sta già correggendo. In avvicinamento al voto dei cittadini europei, in parecchi si sono ricreduti su alcune questioni sulle quali si era partiti lancia in resta. La democrazia, lo dicevo prima, è sempre una cosa utile, riporta i piedi per terra rispetto a scelte irragionevoli. Oggi occorre mettere insieme la tutela dell’ambiente e la difesa della competitività europea. Bisogna tornare a ragionare in termini di pragmatismo, come in parte si è fatto in chiusura di questa legislatura».
Lei chiede sostanzialmente un cambio di linea.
«Sì, l’ho detto e l’ho rivendicato. In alcuni dossier siamo anche riusciti a realizzarlo. L’Italia ha saputo fare da capofila e in parecchi ci sono venuti dietro, dal tema dei motori a scoppio al packaging, fino ai fitofarmaci. Abbiamo portato a casa dei risultati decisamente migliori di quelli che si rischiavano di avere».
Venendo alla campagna elettorale, i giovani di Atreju hanno utilizzato una foto di Antonio Scurati - uno scrittore che forse lei conosce... È bastato uno «Scrivi Giorgia anche se lui ci rimane male» per scatenare la polemica.
«Penso che non ci sia niente di offensivo. Si usano sempre due pesi e due misure: da una parte si viaggia con insulti pesantissimi, vignette molto pesanti sulla sottoscritta. E chiaramente ogni volta che qualcuno prova a dire qualcosa si parla di libertà e di diritto alla satira. Sono d’accordo ma penso che il dibattito sia libero per tutti e quindi dire che qualcuno ci rimane male se viene votata la Meloni è una cosa anche abbastanza scontata, no? Si sa che alcune persone non sono contente se io vado bene alle elezioni come è giusto e normale che sia, ma ribadirlo non toglie niente a nessuno».
A proposito di libertà, ha visto che alcuni giornalisti del Tg1 del Tg2 hanno deciso di non scioperare? Ed è partito l’attacco contro quelli che hanno scelto di mandare in onda il servizio pubblico Poi c’è stato il caso del ministro Roccella. Ma la libertà va solo in un senso?
«Da settimane sento parlare di TeleMeloni. E visto che io non voglio niente di tutto questo, mi sono andata a guardare i dati degli osservatori indipendenti. L’Osservatorio di Pavia ha un simpatico grafico: durante i primi 14 mesi di governo sono stata presente 15 minuti. Mario Draghi nello stesso periodo 19 minuti, Giuseppe Conte 42 minuti, Paolo Gentiloni 28 e Matteo Renzi 37. Allora, dov’erano le anime belle del pluralismo? Sono stata all’opposizione parecchio tempo. Ricordo qual era la percentuale di presenza di Fratelli d’Italia, ricordo quando venne esclusa dal cda della Rai. La realtà è che nei dati la Meloni è drammaticamente ultima e quindi io non accetto queste accuse. Il nervosismo non è dato da TeleMeloni, ma dal fatto che non c’è più TelePd. Ma questo lo avevamo promesso. La sinistra pensa di avere più diritti degli altri. La norma sulla par condicio che è sempre valsa per tutti i governi della sinistra adesso non va bene. C’è qualcosa che non va. E vorrei sottolineare che lei non troverà mai un esponente del centrodestra che va a tentare di impedire a un ministro di parlare durante una manifestazione. Queste cose in Italia le fa solo la sinistra e poi danno dei censori a noi».
Tra le accuse che le rivolgono non c’è solo la censura, ci sono anche le manganellate negli scontri tra studenti e polizia.
«Intanto non è il governo che dà le indicazioni alle forze dell’ordine. Dopodiché dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre noi abbiamo deciso di non vietare le manifestazioni. Altri hanno scelto diversamente. La libertà di manifestare andava assolutamente difesa, eravamo d’accordo sia io che il ministro Piantedosi. Ma oltre alla libertà di manifestare c’è bisogno che le regole vengano rispettate. L’assalto alla Cgil era libertà di manifestare? Le forze dell’ordine cercano di trovare un equilibrio E io penso che non meritino l’assenza di solidarietà che troppe volte abbiamo visto. Ci sarebbe anche da ricordare i lavoratori seduti a terra, perfettamente inermi, sui quali si sparava con l’idrante. Per cui lezioni non ne accetto. Alcuni esponenti dei centri sociali hanno circondato un’auto delle forze dell’ordine e nessuno nessuno ha speso una parola. Per cui io penso che noi dobbiamo difendere il diritto di manifestare, ma nel rispetto delle regole. Le forze dell’ordine vengono provocate e spesso anche malmenate e lo fanno sempre anche per stipendi abbastanza inadeguati».
Senta presidente, lei ha fatto di Caivano una vera battaglia. Ma il governatore De Luca ha definito il parroco di Caivano, Maurizio Patriciello «il Pippo Baudo del dell’area Nord di Napoli».
«Sono fiera di guidare uno Stato che non si è girato dall’altra parte come troppo spesso aveva fatto di fronte a eventi simili. Lo Stato non ha indietreggiato, i cittadini hanno cominciato a fidarsi e ogni giorno, piano piano, è cambiato qualcosa. È anche merito di padre Maurizio Patriciello. Fu lui a chiamarmi, io sono andata a Caivano e da lì è nata questa scommessa. E quindi ho trovato le parole del presidente della Regione Campania Campania vergognose. Insultare una persona che è sotto scorta per minacce da parte della criminalità organizzata è secondo me un segnale spaventoso».
Arriviamo al tema immigrazione. Lei pensa davvero di riuscire a cambiare qualche cosa con l’Europa? Pensa davvero che questo voto riuscirà a far modificare la posizione di alcuni Paesi come Polonia e Ungheria? E soprattutto gli accordi con la Libia sono possibili?
«Gli accordi con i Paesi del Nord Africa sono necessari e sono una delle grandi questioni che l’Italia ha portato al tavolo dell’Unione. Non a caso lei cita l’Ungheria, una nazione che si oppone alla redistribuzione dei migranti. Io le aggiungerei che se è per questo si oppongono molte altre nazioni, diciamo considerate molto più europeiste. Ecco perché non mi risulta che abbiano redistribuito tutta questa gente in Francia, in Germania, nelle grandi nazioni europee. L’unico dibattito che può mettere insieme gli interessi di tutti è: come facciamo a fermare la migrazione illegale? E per fare questo l’unico modo serio è cooperare con i Paesi di provenienza e di transito. Vedo che qualsiasi risposta deve essere smontata, per cui l’accordo con la Tunisia non va bene, l’accordo con l’Egitto non va bene, con la Libia non devi parlare, con l’Albania siamo fuori dallo Stato di diritto e se fai il decreto Cutro te lo smontano i giudici. Stanno facendo il possibile per rallentare il nostro lavoro, ma noi continuiamo a e i risultati piano piano arrivano. Oggi i migranti illegali sulla rotta del Mediterraneo centrale sono diminuiti del 60% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Continuiamo a lavorare anche su proposte, come posso dire, creative come è stato il caso dell’Albania. La sinistra rincorreva tutti i commissari europei chiedendo “è fuori dallo Stato di diritto quell’accordo?” sperando che qualcuno dicesse di sì. Ma la verità è che non è fuori dallo Stato di diritto. Il primo ministro della Repubblica Ceca l’ha trovato interessante, quindi è evidente che il dibattito si sta spostando. E qui il voto dei cittadini diventa fondamentale per rafforzare rafforzare questa linea».
Lei vuole un mandato su questa linea.
«Sì, io penso che serva rafforzare la posizione italiana, dichiarare guerra ai trafficanti di esseri umani, tema che io porterò anche al G7. Le Nazioni Unite dicono che il traffico di esseri umani è diventata l’attività criminale più redditizia del mondo, ha superato il traffico di armi, ha eguagliato il traffico di droga...».
Se lei ricorda, ci fu Salvatore Buzzi che disse che era meglio della droga.
«È esattamente quello che sta accadendo, per cui io credo che sul contrasto alle reti di trafficanti noi si debba costruire un’alleanza globale. Qui si può imparare qualcosa anche da Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, che sulla lotta alla mafia dicevano follow the money, segui i soldi».
Presidente, l’argomento l’ha sfiorato lei dicendo che si fa il decreto Cutro e poi qualcuno lo smonta. E quindi?
«E quindi si fa la riforma della giustizia. Che è una delle riforme che servono in questa nazione. Penso che bisogna avere il coraggio di intervenire anche lì. Quindi penso che nei prossimi giorni arriverà in Consiglio dei ministri».
Visto che lei ha citato le grandi riforme, il premierato è la riforma principe. Qualcuno pensa che se dovesse essere bocciata la riforma lei rischi il posto? Altri dicono che il presidente del Consiglio avrebbe troppi poteri...
«Si sta cercando di personalizzare questo scontro su un referendum, sperando in un revival della situazione di Renzi. Su questa riforma io spero che si possano creare delle convergenze. Se quelle convergenze non dovessero arrivare, io la considero comunque una riforma necessaria. Devo chiedere ai cittadini che cosa ne pensano ma non è un referendum su di me. E attenzione, non è neanche un referendum sul Quirinale. Io vedo sempre questo tirare per la giacchetta il presidente della Repubblica, ma la riforma entrerà in vigore nel 2028. Quindi non è una riforma che riguarda il presente, ma il futuro e io spero che gli italiani potranno votare. Guardiamo al merito. Il merito dice in buona sostanza due cose: il capo del governo viene scelto direttamente dai cittadini. Punto primo, se il capo del governo va a casa, ragionevolmente la legislatura finisce. Scusate, “la sovranità appartiene al popolo” ma non scelgo il presidente del Consiglio, non scelgo la maggioranza non scelgo il programma e non scelgo il parlamentare? Io penso che con l’elezione diretta del capo del governo intanto si rimettano le decisioni nelle mani dei cittadini. Durante i nostri 75 anni di Repubblica noi abbiamo avuto 68 Governi. Che cosa comporta questo? Quando io sono diventata presidente del Consiglio qualcuno l’ha battuta, me l’ha fatta. Senti, ma la prossima volta che ci incontriamo ci stai ancora tu? Perché i nostri interlocutori internazionali sono abituati al mutare dell’interlocutore ogni volta che c’è un nuovo incontro. Ma chi è che stringe partnership strategiche quando non c’è certezza sul nulla? Quando tutto può cambiare da un giorno all’altro? Chiedetevi: perché l’Italia improvvisamente è diventata così appetibile? Perché tutti vogliono investire in Italia. Io vorrei poter dire grazie al mio governo, ma la risposta è la stabilità. Oggi noi siamo considerati una delle nazioni più stabili del panorama. Le persone si sentono al sicuro a mettere i loro risparmi in Italia. Quindi il tema non è filosofico, non è politico, non è un gioco tra i partiti, è economico prima di tutto. Se noi vogliamo dare la ricchezza che merita a questa nazione che ha tutti gli skill possibili e immaginabili la dobbiamo dotare di un governo che abbia un mandato chiaro dei cittadini. Quindi la forza per fare le cose che vanno fatte e il mandato per fare le cose che i cittadini chiedono di fare. Gli avversari diranno che non c’era bisogno di fare il referendum. Però mi pongo il problema di raddrizzare quello che in questa nazione non funziona. Diciamo non mi troverei in pace con la mia coscienza se se se non lo facessi. E quindi faccio banalmente quello che considero giusto fare. Quando gli italiani riterranno che sto sbagliando mi manderanno a casa perché lo possono fare, come sempre accade in democrazia. Ma non sto qui a sopravvivere».
Presidente, oggi è il giorno della verità. E sa che uno dei uno dei cavalli di battaglia della verità è stata l’inchiesta su quello che è accaduto durante la stagione del Covid. Noi stiamo pubblicando i verbali del Comitato tecnico scientifico da cui emerge una cosa incredibile. Io le parole che ho letto le ho definite agghiaccianti perché leggendo quei verbali si rimane davvero disgustati dal tono e dal livello. Ora io le chiedo ma che fine ha fatto la commissione di inchiesta? E soprattutto si farà qualcosa per impedire che tutto ciò si ripeta?
«Iodevo ringraziare perché avete avuto obiettivamente molto coraggio. Fare delle domande voleva dire essere additati. Io sono stata messa alla berlina per aver chiesto evidenze scientifiche. Additata come no vax perché chiedevo quali fossero le evidenze che giustificavano la vaccinazione di massa dei bambini molto piccoli. La scienza non è religione. E c’erano dei casi in cui le evidenze francamente erano. Così si limitava chi chiedeva spiegazioni. Se vogliamo parlare di censura e perché io me la ricordo quel clima».
Mario Monti la invocò.
«E per alcuni accadde. Detto questo, la Commissione di inchiesta la considero una cosa utile. Ci sono molte resistenze, in particolare la Commissione non è ancora nata perché alcuni partiti dell’opposizione si rifiutano di nominare i propri componenti. Un’altra cosa che io considero sbagliata. Confido che alla fine partirà e che potrà serenamente operare ma anche per evitare che in futuro possano ripetersi questi errori e chiarire che cosa non ha funzionato».
Lei prima stava parlando della stabilità. Ho un’ultima curiosità. La stabilità ci sarà anche dopo le elezioni europee?
«Io penso che si possa superare brillantemente queste elezioni e spero che possano crescere tutti i partiti della maggioranza. Questo ci aiuterebbe molto a continuare a fare il nostro lavoro sapendo che abbiamo un mandato chiaro da parte dei cittadini che come ho detto in tutta questa intervista per me fa sempre la differenza. Leggo i quotidiani e trovo queste ricostruzioni per cui ogni giorno ci insultiamo, ci stracciamo le vesti. Noi ci scherziamo su perché la realtà è molto diversa».
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