«Per prosperare nel tempo, la performance finanziaria non è sufficiente, ogni azienda deve dimostrare di aver fornito un contributo positivo alla società, a beneficio di tutti i suoi portatori di interesse; azionisti, dipendenti, clienti e comunità di riferimento», scriveva Larry Fink, ceo di BlackRock in una lettera inviata all’inizio del 2018 agli ad delle migliaia di società partecipate da un capo all’altro del pianeta. Blackrock è la più grande società di investimento al mondo che sposta masse di milioni di dollari con un clic, una sorta di sherpa del mercato che viene seguito a ruota dagli altri investitori internazionali. Il messaggio di Fink del 2018 era stato chiaro ed era stato mandato prima ancora che Greta Thunberg facesse scendere in piazza il movimento Fridays For Future. Dopo pochi anni, però, lo stesso colosso aveva suonato la ritirata. Già all’inizio del 2023 BlackRock ha dichiarato di appoggiare le risoluzioni degli azionisti su questioni ambientali e sociali delle società statunitensi, per lo più di tipo consultivo, solo nel 7% dei casi, rispetto al 22% dell’anno precedente. E subito si sono allineati altri big come Vanguard. Con l’inflazione alle stelle e l’aumento dei tassi i giganti della gestione del risparmio hanno capito che insistere con gli investimenti sostenibili in società che seguono i cosiddetti criteri Esg non fa più guadagnare, anzi. Rischiano di rimetterci, considerando anche il rischio di incappare in chi fa greenwashing, ovvero spaccia progetti e prodotti come ad alto standard ambientale quando non lo sono. Il dietrofront adesso è però accelerato dall’effetto Trump, ovvero dall’imminente insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti. Le più grandi istituzioni finanziarie americane, sottolinea l’agenzia Bloomberg, sono infatti sottoposte a crescenti pressioni da parte dei legislatori repubblicani affinché prendano le distanze dai gruppi industriali che sostengono la riduzione delle emissioni di carbonio. Non sorprende, quindi, la mossa di Citi e Bank of America che hanno deciso di abbandonare la Net-Zero Banking Alliance (NZBA), una coalizione di banche sostenuta dall’Onu dedicata a promuovere gli obiettivi globali di zero emissioni nette attraverso le loro attività di finanziamento. Fa parte della Glasgow Financial Alliance for Net Zero (era nata sulla scia della Cop 26 di Glasgow), di cui Citigroup e Bank of America sono membri fondatori, e che lo scorso martedì ha dichiarato di apportare modifiche che «raddoppieranno i suoi sforzi per mobilitare capitale privato» per supportare la transizione energetica. Altri big del calibro di Goldman Sachs e Wells Fargo avevano già abbandonato il club verde e un’altra alleanza la Net Zero Insurance Alliance (NZIA) si è addirittura sciolta nel 2024 dopo l’esodo in massa delle società del mondo assicurativo. Queste ultime due uscite sono pesanti: Citigroup è il quarto sottoscrittore mondiale di obbligazioni verdi dall’inizio del decennio, dietro a Bnp Paribas, JPMorgan e Credit Agricole, mentre Bofa si classifica all’ottavo posto.
Dopo il crac della Silicon valley bank, scatta il piano di emergenza per evitare il contagio. La Casa Bianca ha annunciato un intervento per evitare che il fallimento di Svb inneschi una crisi simile a quella del 2008. Il Tesoro, la Federal deposit insurance corporation (che si occupa della solvibilità del sistema bancario) e la Federal reserve hanno annunciato che tutti i depositi presso la Svb sono disponibili da ieri. Inoltre, la Banca centrale Usa metterà a disposizione una nuova finestra di liquidità per aiutare le banche a rispondere alle richieste dei clienti. Questo non è però bastato a evitare il lunedì nero sulle Borse europee. Francoforte ha ceduto il 3,04%, Parigi il 2,9%, Londra (dove Hsbc ha rilevato la filiale britannica di Svb per una sterlina) il 2,58%, Madrid il 3,55% mentre a Piazza Affari il Ftsemib ha lasciato sul terreno più del 4% mandando in fumo 24 miliardi di capitalizzazione. A Milano sono stati forti i cali dei titoli bancari: -9% per Unicredit, -6,1% per Intesa, -8,09% per il BancoBpm e -9,5% per Bper. I timori per un nuovo «cigno nero» in arrivo dalla California hanno fatto anche decollare i titoli di Stato i cui rendimenti sono in picchiata: in media nell’Eurozona oltre una ventina di punti sulla parte a dieci anni, anche il doppio per Francia e Germania sui due anni. Il decennale italiano è sceso ma i timori sul nostro debito pubblico hanno fatto salire lo spread con il Bund a 192 punti base.
Sui listini europei a poco sono servite anche le scommesse degli investitori su una Banca centrale americana più cauta: lo scontato rialzo dei tassi di interesse di almeno 50 punti base alla prossima riunione del 22 marzo appare in bilico e lo scenario ipotizzato dagli analisti è una pausa forse per l’intero 2023 della campagna aggressiva dei rialzi del costo del denaro anche a fronte di un’inflazione che non molla la presa. Oggi l’Eurogruppo «discuterà» anche del crac della banca Usa e domani pomeriggio al Parlamento europeo si terrà un dibattito sulle conseguenze per la stabilità finanziaria iniziando con una dichiarazione della Commissione Ue. Ma gli occhi sono puntati sulle mosse della Bce attese per giovedì. Vedremo se, nonostante il caso Svb, Francoforte tirerà dritto con il rialzo dei tassi di mezzo punto percentuale, esito indicato come altamente probabile dal presidente Christine Lagarde nella conferenza stampa seguita all’ultimo meeting della Banca centrale europea.
Ieri in un’intervista Davide Serra, a capo del fondo Algebris, ricordava che «in Europa le banche con più di 10 miliardi di attivo sono sottoposte alle regole di Basilea 3. Per intenderci non possono fare ciò che ha fatto Svb, cioè raccogliere quasi 200 miliardi di depositi a breve e investirli a lunga scadenza per guadagnarci di più». Anche il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, ha spiegato che Basilea prevede due indici di liquidità. «Il primo è il Liquidity coverage ratio e il Net stable funding ratio. Il primo è un indice costruito per verificare che la banca abbia un cuscinetto di attività ad alta liquidabilità per fare fronte a stress di liquidità per almeno 30 giorni. Per le banche italiane questo indice oggi è superiore al 160%. Le autorità Usa non applicavano questo indice. Il secondo mira ad assicurare un equilibrio tra la durata delle fonti di finanziamento della banca e i suoi impieghi». Anche i nostri istituti di credito dovranno comunque trovare fonti di rifinanziamento visto che sono state quelle che più hanno attinto alla generosa liquidità della Bce tramite il Tltro, di cui scadranno due tranche a giugno del 2023 e poi a fine 2024. Secondo gli ultimi dati disponibili sono scese a 415 miliardi dopo che alcune, specie le grandi, hanno anticipato la loro restituzione, ma altre stanno aspettando le scadenze e vedranno quindi aumentare il loro costo della raccolta. È ancora presto per capire se Svb è il canarino nella miniera di carbone del sistema finanziario, al netto delle reazioni in Borsa (i mercati prima agiscono e poi fanno e si fanno domande), ma di certo al di là e al di qua dell’Atlantico nessuno può tapparsi le orecchie.
Non a caso ieri è stata anche la giornata delle rassicurazioni, dell’acqua gettata sul fuoco sia negli Usa sia nel Vecchio continente. L’intervento chiave è stato quello del presidente americano, Joe Biden, che ha sostenuto la tenuta degli indici di Wall Street ma non quella di alcuni titoli bancari: «Il sistema bancario è solido e i vostri depositi sono al sicuro, faremo tutto il necessario e ci spingeremo anche oltre chiedendo al Congresso una stretta sulle regole», ha detto dopo che le autorità di regolamentazione federali hanno assunto il controllo di Svb venerdì e di una seconda banca, Signature bank (attiva nelle criptovalute), domenica. Biden ha affermato che i clienti avranno accesso ai loro soldi senza alcuna perdita per i contribuenti. Il presidente ha però aggiunto che «gli investitori non saranno protetti», che «si sono assunti un rischio consapevolmente e quando il rischio non dà i suoi frutti, gli investitori perdono i loro soldi. Ecco come funziona il capitalismo». In Europa, il messaggio del ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, agli investitori è stato il seguente: «La realtà è che il sistema bancario francese non è esposto alla Svb. Non ci sono collegamenti tra le diverse situazioni». Il collega tedesco, Christian Lindner, ha dichiarato di avere «fede nell’economia tedesca» ma sta comunque monitorando la situazione insieme con la Bafin (la Consob in Germania) e alla Bundesbank. Anche il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, monitora «in stretto contatto con la Bce» ma esclude «uno specifico rischio di contagio». In Italia, con una nota il Mef ha sottolineato che il ministero sta seguendo con attenzione gli sviluppi del caso Silicon valley bank e le decisioni prese dalle autorità monetarie americane. «Confidiamo che, se necessario, anche le autorità europee intervengano con la medesima tempestività valutando anche le implicazioni per la condotta della politica monetaria e per la stabilità finanziaria», viene aggiunto.
Piazza Affari parte bene, poi nella giornata di ieri ripiega verso il basso chiudendo sostanzialmente in parità. È un po' la sintesi della giornata complessiva sui mercati che ha visto forti penalizzazioni un po' per tutte le piazze. Molti analisti nostrani, come spesso accade visto l'influenza del partito dei Forza spread, hanno puntato il dito sulla crisi di governo in atto. Il differenziale rispetto al bund tedesco si è infatti piazzato sui 230 punti base, ma è praticamente stabile dopo l'impennata seguita alla sfiducia verbale di Matteo Salvini a Giuseppe Conte. Anzi, per certi versi, Milano ha fatto meglio di altre piazze. In concomitanza con l'inversione di rotta di futures Usa, sulla scia delle tensioni valutarie con la Cina e delle proteste a Hong Kong, con l'aeroporto bloccato dai dimostranti, Madrid, Londra e Parigi hanno chiuso con segni meno lasciando il colore verde solo alle trattative sull'oro. Questo insistere su Piazza Affari come se fosse semplicemente il riflesso automatico delle mosse di Salvini rischia, però, di far perdere di vista le effettive pressioni che insistono sul nostro Paese. Domenica la banca d'affari americana Jp Morgan ha rilasciato uno studio dedicato a questa fine d'anno sostenendo che soltanto un governo di destra sarà in grado di avviare uno choc fiscale sullo stile di Donald Trump. Un implicito messaggio agli investitori istituzionali. La riforma del sistema impostivo è fondamentale per il rilancio dell'economia. Ieri è stata invece la volta di Goldman Sachs. Istituto sempre americano, ma con riflessi decisamente più vicini al mondo dem, tant'è che in Italia ha sempre fatto riferimento a uomini come Romano Prodi.
«La situazione politica italiana è molto fluida ed è molto difficile prevedere cosa succederà», si legge nel report dell'Istituto, «secondo il nostro punto di vista un governo istituzionale, nel breve termine, piacerebbe ai mercati mentre le elezioni politiche nel quarto trimestre, data la forza della Lega nei recenti sondaggi, sarebbe nel breve termine una notizia negativa, perché gli investitori dovrebbero aumentare il prezzo del rischio di un ulteriore indebolimento delle prospettive delle finanze pubbliche, di declassamento delle agenzie di rating e di un dialogo più conflittuale con i partner europei sia riguardo la politica di bilancio sia quella migratoria». È probabile, ipotizza Goldman Sachs, che «il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, spinga i partiti politici a supportare un governo istituzionale che faccia la legge di bilancio 2020 prima delle elezioni per evitare il rischio di reazioni negative da parte dei mercati. Tuttavia non si sa se in Parlamento ci sia una maggioranza che supporti un tale governo».
Al di là dell'ultima frase che è un po' acqua fresca, la posizione di Goldman Sachs è tutta spostata a favore dell'asse filo europeo che si ispira al presidente della Repubblica. Mentre Jp Morgan sembra spingere su Salvini per avviare un nuovo ciclo di atlantismo spinto. Al contrario, gli ambienti dem continuano a immaginare il nostro Paese come una nazione cuscinetto sia tra Europa e Russia, sia tra Europa e Cina. Perché la vera battaglia aperta è proprio quella in atto tra la Casa Bianca trumpiana e la leadership di Xi Jinping. Il governo d'inciucio tra Pd e 5 stelle sarebbe in assoluto il più filocinese della storia italiana. E ci riferiamo già ai passati rapporti di Romano Prodi e pure di Paolo Gentiloni. «L'Italia può essere protagonista in questa grande operazione a cui la Cina tiene molto: per noi è una grande occasione e la mia presenza qui significa quanto la riteniamo importante», aveva detto l'ex premier nel 2017. Mentre Matteo Renzi nel 2016, alla tv pubblica cinese Cctv ha persino dichiarato: «Penso che abbiamo molte possibilità se seguiamo l'iniziativa One Belt One Road ma nella mia mente la priorità è la decisione raggiunta dal governo italiano di cambiare la regolamentazione dei porti: questa è un'opportunità davvero grande, perché l'Italia è una terra bagnata dal mare e la conclusione della strada tra la Cina e l'Europa possono essere proprio i porti italiani». Il futuro dei rapporti tra Italia e Stati Uniti si gioca attorno alla partita del 5G. La Via della Seta è un falso problema. Sarà il grimaldello per entrare nella telefonia e nel mondo della trasmissione dati. Trump sa bene che fare entrare un altro partner strategico in Italia significa perdere il controllo del Mediterraneo e quindi del Medioriente. Se The Donald dovesse perdere questa partita non potrà spendere tutte le sue carte durante le presidenziali del 2020. Dietro il fumo dello spread si nasconde la vera battaglia geopolitica. Ed è importante sapere chi sta con chi. Perché la scelta del voto porto in una direzione la scelta di un inciucio porta a Parigi, Berlino e Pechino.




