Il Veneto colpito non affonda grazie agli argini e ai bacini che la legge Natura combatte
Piove, Europa «ladra»! Eh sì dopo l’approvazione della legge sul ripristino della natura, che impone entro il 2030 agli Stati membri di rinaturalizzare almeno il 30% degli habitat che vanno dalle foreste alle praterie, dalle zone umide ai fiumi e laghi e coralli perché il precetto si allunga anche al mare rendendo quasi impossibile l’attività di pesca, va aggiornata l’imprecazione. Anche perché l’Italia rischia di andare sott’acqua. Ma ad andare contro al precetto verde si rischia grosso. Ora c’è il reato di ecocidio che prevede fino a dieci anni di carcere.
Il nostro ministro agricolo, Francesco Lollobrigida, che è su tutte le furie perché il Restauration nature act smentisce tutte le promesse che sono state fatte agli agricoltori, sostiene: «Questa visione ideologica mette in discussione il ruolo dell’uomo e le sue capacità di manutenzione del territorio. C’è una parte dell’Europa che sembra vivere su un altro pianeta. Tutti i lavori di bonifica degli argini dei fiumi che vengono fatti, da una parte del Parlamento anziché essere apprezzati vengono considerati dannosi».
Eh già i fiumi. Sono di strettissima attualità perché la natura, senza aspettare che la legge, che prevede di lasciare liberi di correre 25.000 chilometri di corsi d’acqua, tra Vicenza e Padova si è messa in proprio. È piovuto tanto, ma non sono eventi eccezionali eppure si è bloccata la ferrovia Milano-Venezia, l’Arno a Firenze è sotto osservazione e così i fiumi dell’Emilia-Romagna. Sulle Alpi c’è il pericolo delle valanghe. Va così da qualche migliaio di anni ma ora c’è l’emergenza clima.
Dice il presidente del Veneto, Luca Zaia: «La situazione è sotto controllo, è stato un evento alluvionale vicino a quella che fu Vaia. I danni ci sono, tanto che chiederemo lo stato di crisi. Senza le opere di contenimento sarebbe stato un disastro». La legge approvata due giorni fa dal Paramento europeo tra le norme più stringenti prevede: «Trasformare 25.000 chilometri di fiumi a scorrimento libero abbattendo le dighe, le barriere e ogni altro ostacolo». Una norma che letta alla luce di quanto è accaduto in queste ore appare folle. Quando Zaia dice che senza le opere di contenimento sarebbe stato un disastro si dichiara fuorilegge. Le vasche di laminazione sono contro la legge europea. L’alluvione del maggio scorso in Romagna, e ancor prima quella delle Marche nel 2022, misero in evidenza che senza le vasche di laminazione e senza la manutenzione degli argini gli effetti sono disastrosi. Molti ambientalisti sono però persuasi che bisognerebbe lasciar corre i fiumi senza costruire le città. Una prova? La deputata dei Verdi Eleonora Evi, per contrastare le opere di sfogo delle acque del Seveso, che in Lombardia è tragicamente noto per le sue continue esondazioni, ha sostenuto: «La vasca di espansione contribuisce al degrado ambientale e minaccia gravemente la salute dei cittadini». Angelo Bonelli, che dei Verdi è il portavoce, la pensa diversamente e sostiene: «Da sempre gli ambientalisti e i nostri consiglieri sono impegnati a chiedere di realizzare le aree di laminazione dove far defluire le acque dei fiumi in caso di forti piogge».
A dire il vero le cose non stanno proprio così, perché in Emilia-Romagna, dove a occuparsi di ambiente c’è stata anche l’attuale segretario del Pd, Elly Schlein - che era assessore al clima con buona pace di Stefano Bonaccini (il presidente della Regione, anche lui Pd) - di vasche di laminazione ne funziona una su due e in Romagna non ci sono proprio. E a Strasburgo lunedì il Pd ha votato compatto la legge Natura dando via libera ai fiumi.
La cosa curiosa è che nei fondi del Pnrr, che l’Europa ci presta, ci sono tanti soldi per le dighe del Polesine e dell’alto Appennino tosco-emiliano. C’è un piano dell’Anbi che prevede oltre 700 invasi con una spesa di circa 4,5 miliardi. Tutta roba che il Parlamento europeo ha di fatto cancellato.
Ma le contraddizioni di questa legge, che introduce il reato di ecocidio, sono enormi. Si va dal fatto che mentre si obbligano gli agricoltori a rispettare il paesaggio - contraddicendo peraltro la dichiarazione universale del paesaggio firmata sotto l’egida dell’Europa nel 2000 a Firenze e che prevede espressamente l’interazione uomo-natura - si dice che gli impianti fotovoltaici ed eolici sono un bene per la natura e quindi si possono fare dove si vuole, posto che bisogna misurare la qualità ambientale dalle farfalle e dagli uccelli. S’impone l’abbandono della coltivazione (Ursula von der Leyen, spaventata dai trattori che hanno assediato Bruxelles, aveva promesso che non si sarebbe perso un metro quadrato di terreno coltivato) e la conversione dei seminativi a frutteto (tanto il grano ce lo vende Vladimir Putin), si prevede di piantare 3 miliardi di alberi e di far avanzare ancora le foreste, che devono essere lasciate incolte, si promuove il ripristino delle paludi. Viene da pensare che chi ha scritto la legge non sappia che in Italia le paludi sono state bonificate per strappare terra da coltivare, che non sappia che l’Appenino corre a 30 chilometri dal mare e che i nostri fiumi sono torrenti che devono essere regimati, che non sappia che le nostre città sono state costruite sui fiumi nel Medioevo perché l’acqua era la forza motrice. È strano che l’Europa escluda la figura dell’agricoltore custode che invece l’Italia ha promosso con una legge, ma ancora più strano è che si vogliano abbattere le dighe, che generano energia idroelettrica. Forse più che la natura a qualcuno interessano i fatturati.





