La possibilità di rileggere una saga diventata leggenda, l’occasione di infilare al suo interno stralci di vita privata, di idee personali, di un vissuto che non ha nulla a che spartire con La Famiglia Addams. Quando Tim Burton ha acconsentito a girare la sua prima serie televisiva, una rilettura in chiave contemporanea degli Addams, le ragioni che ha addotto a spiegazione del suo «sì» sono state diverse. «Sono cresciuto con La Famiglia Addams, con quei fumetti. E, nonostante io sia un uomo, mi sono sempre sentito affine a Mercoledì», ha spiegato il regista, che la propria serie televisiva, su Netflix dal 23 novembre, ha deciso di dedicarla alla bambina «malmostosa», le lunghe trecce a incorniciarle il viso. Non saranno gli Addams a tornare, non davvero. Tim Burton, con il benestare della piattaforma, ha voluto fare qualcosa di nuovo: dare alla sua piccola Mercoledì una costruzione inedita. «Ho sempre pensato di avere il suo stesso sguardo sulla vita, una prospettiva in bianco e nero. Mercoledì, però, è sempre stata raffigurata come una bambina. Volevo andare oltre, immaginarla altrove: una ragazza in rapporto con la scuola, con la famiglia, con la terapia». Con un mondo diverso da quello che è stato dato alla sua famiglia, da quello che gli spettatori hanno fatto proprio.
Mercoledì, la serie televisiva, è un racconto originale, costruito a mezza via tra l’immaginario gotico di Tim Burton e i luoghi ormai familiari di un Harry Potter qualsiasi. Ritrova gli Addams, li omaggia e li perde, regalando alla sola Mercoledì, non più bambina ma adolescente, l’occasione di essere protagonista. Mercoledì, il volto scuro di una straordinaria Jenna Ortega, è stata espulsa dal suo liceo tradizionale. Troppa rabbia e due tentati omicidi. Morticia, una Catherine Zeta-Jones eterea il giusto (ma un po’ in sordina), ha deciso perciò di iscriverla alla Nevermore Academy, un istituto per reietti: gente con poteri psichici, lupi mannari, sirene, vampiri, creature invise all’umanità canonica. Mercoledì avrebbe preferito restarsene a casa, pecora nera del suo liceo. Ma la famiglia, che nella serie appare poco, quasi che l’unico suo fine fosse quello di tener legati passato e presente, ha scelto per lei. Alla Nevermore, contro ogni suo pronostico, Mercoledì comincia a vivere. Nella serie, infatti, confluisce tutto: gli Addams così come fumetti, cinema e televisione li hanno già raccontati; le problematiche adolescenziali di un teen drama in piena regola; il giallo, efficace e teso, utile a soddisfare un pubblico più maturo. Mercoledì è una serie furba. Ammicca agli Addams «canonici» e poi, attraverso la trama principale, snoda il mistero di un serial killer e poteri soprannaturali. Attira a sé. Lo fa bene, con qualità, senza obliterarsi nella banalità di tanti recenti revival. Tim Burton si concede del citazionismo. Qua e là infila il proprio marchio di fabbrica, mostri e volti immediatamente identificabili. Ma non c’è l’effetto già visto né la sensazione di una serie tirata per i capelli, fatta per accaparrarsi con il richiamo di un grande regista pubblico e denaro. Mercoledì è fresca, il cast perfetto. Jenna Ortega è magistrale e magnetica nei panni della protagonista, suo padre Gomez (il caratterista messicano Luis Guzmán) più centrato di tanti predecessori. Sbalordisce Gwendoline Christie, la guerriera mascolina di Game of Thrones, e poi Christina Ricci, Mercoledì Addams degli anni Novanta, innesca deliziosi déjà-vu. Il tocco di classe di Burton è Mano, l’arto mozzato di casa Addams: in Mercoledì non è la solita macchietta bensì regge - su cinque dita appena - un personaggio degno di questo nome. Nulla è lasciato al caso, e nel mare magnum di serie buttate là alla rinfusa, per garantire quantità a scapito della qualità, l’attenzione con cui è stata costruita Mercoledì è la prima e più importante ragione del suo successo.



Tim Burton







