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2023-09-29
Spread a 200 e Btp a un passo dal 5%. Mercati e Ue puntano contro l’Italia
La nota di aggiornamento al Def varata ieri dal consiglio dei ministri (di cui ancora non si conosce il testo, né un numero ufficiale del debito 2023 su cui misurare il calo dello stesso fino al 2026) è una cornice super prudente che abbassa gli obiettivi di crescita del Pil reale allo 0,8% nel 2023 (dall’1% fissato ad aprile) e all’1,2% nel 2024 (dall’1,5% precedente) mentre l’obiettivo di deficit di bilancio è stato alzato al 5,3% del Pil nel 2023 (dal 4,5% fissato ad aprile), a causa dell’impatto dei crediti d’imposta per le ristrutturazioni edilizie, ovvero il superbonus. Questa la cronica in cui verrà incardinata la manovrina, come l’ha definita ieri La Verità sottolineando che a disposizione per la legge di bilancio ci saranno solo 22 miliardi. Eppure questa prudenza non è bastata per fermare il rialzo dello spread tra Btp e Bund che ieri pomeriggio è salito a un passo dai 200 punti base – livelli che non vedeva da marzo – per poi chiudere in ritirata a 195 punti. La progressiva revoca del sostegno della Bce – le cui scelte, lo abbiamo scritto anche ieri, rilanciano il ballo dello spread - e una dinamica del disavanzo peggiore del previsto iniziano a incidere sul costo del debito, sostengono gli analisti. Preoccupati più che altro dalla velocità della salita del differenziale (è già rimbalzato più volte fino a 250-300 punti base negli ultimi quattro anni però l’aumento in questo caso è stato di 50 punti base in soli due giorni) e dal fatto che banche d’affari come Morgan Stanley si aspettassero un balzo di tale entità verso fine anno e invece è avvenuto con tre mesi di anticipo. In un contesto, ricordiamolo, di Quantitative Tightening – ovvero di un alleggerimento - da parte della Bce, che riduce la domanda di obbligazioni e mentre l’aumento dei tassi continua ad alimentare l’incertezza. Nelle sale operative, più che sullo spread i riflettori sono accesi soprattutto sul rendimento del Btp decennale italiano che, sul circuito Mts, ha superato il picco del 4,93% segnato lo scorso 28 settembre portandosi al 4,94%: oltre questa soglia, su livelli più prossimi al 5%, bisogna risalire al 2012 per rintracciare livelli di rendimento ugualmente elevati.
Il disimpegno di Francoforte dall’acquisto dei titoli, pesa. La stessa corsa al rialzo dei rendimenti, evidente già da inizio settimana nel corso delle prime aste di titoli di Stato è conseguenza diretta dell’ultima riunione della Bce. Nel momento in cui il board della banca centrale ha deciso di alzare i tassi dello 0,25%, portando il tasso di riferimento al 4,5%, gli investitori si sono spaventati non solo per i possibili ulteriori rialzi, ma anche per la paura che si possa restare a lungo su valori così alti. Ma è chiaro che i mercati si stanno di nuovo muovendo (con sommo gaudio dei mistici dello spread nostrani). E vengono lanciati messaggi anche politici, tipo: più di così non potete fare ma non basta.
Ieri il Financial Times, nella sua edizione online, ha sottolineato che i rendimenti sul mercato obbligazionario dell’eurozona sono ai massimi da dieci anni per le preoccupazioni degli investitori per le alte previsioni sul deficit di Italia e Francia e le attese che le banche centrali manterranno i tassi di interesse più alti più a lungo. Il rendimento dei titoli a 10 anni dell’Italia è salito di 0,12 punti percentuali al 4,89%, il livello più alto dal 2013.
Il rendimento dei titoli di stato francesi a 10 anni è balzato al 3,5%, il livello più alto dal 2011, dopo che il governo è stato criticato mercoledì dall’autorità di vigilanza fiscale del Paese per non tagliare la spesa pubblica abbastanza da evitare di violare le regole fiscali dell’Ue l’anno prossimo. Ai massimi del decennio anche i rendimenti dei titoli tedeschi a dieci anni, al 2,93%, e di quelli spagnoli, saliti oltre il 4%. «È probabile che i deficit di bilancio siano maggiori di quanto precedentemente previsto. I mercati semplicemente non tollerano quelli che sembrano essere deficit non solo ciclici ma strutturalmente più elevati», ha dichiarato all’Ft Mike Riddell, gestore di Allianz Global Investors.
Nel frattempo, la Bce nell’ultimo bollettino economico scrive che «i mercati dei titoli di Stato hanno mostrato capacità di tenuta anche rispetto alla minore presenza dell’Eurosistema sul mercato. L’assenza di significative pressioni al rialzo sui differenziali, nonostante l’interruzione dei reinvestimenti nell’ambito del programma di acquisto di attività a partire da luglio e il consueto minimo che le condizioni di liquidità registrano nei mesi estivi, suggerisce che gli investitori privati stiano continuando ad assorbire le obbligazioni non più acquistate dall’Eurosistema senza gravi difficoltà».
Incentivi a chi rinuncia a quota 103
Le politiche monetarie restrittive della Bce drenano dal bilancio dello Stato 14 miliardi di euro e a 14 miliardi di euro ammonta il deficit della prossima manovra. Non usa direttamente queste parole, ma è questo il senso del discorso del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Chiamato a commentare la Nadef, il titolare del Mef respinge al mittente i reiterati tentativi dell’opposizione di far passare la legge di bilancio come un terreno di scontro con l’Europa e con i mercati che stanno allargando la distanza, lo spread, tra i nostri titoli di Stato a 10 anni e il benchmark del debito costituito dal bund tedesco, ieri arrivato intorno a quota 200. «La manovra», evidenzia il leghista, «è improntata al principio della responsabilità e della prudenza con interventi indispensabili e necessari per assicurare la coesione sociale. L’aumento dei tassi d’interesse brucia risorse nell’ordine di 14-15 miliardi, sottratti ovviamente a interventi attivi a favore dell’economia e delle famiglie: è un buon motivo per non creare debito ma ovviamente dobbiamo ridurre gli effetti negativi su tutti noi».
Come finanziare diversamente il taglio (un rinnovo del taglio) del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti fino a 35 mila euro di reddito lordo (costo intorno agli 11 miliardi) e come altrimenti trovare le risorse per il primo assaggio di vero taglio delle tasse con l’accorpamento delle prime due aliquote Irpef, portando quella minima fino alla soglia dei 28.000 euro?
Poi ci sarà spazio anche per altro. Ma qui è tutto in divenire. Sono, infatti, 31 i disegni di legge collegati alla manovra e di questi, alcuni sono già all’esame del Parlamento. Si parte dagli interventi a sostegno della competitività dei capitali e si arriva fino alle misure in materia di semplificazione normativa, di disciplina pensionistica, di sostegno alle politiche per il lavoro, di contrasto alla povertà e sostegno alla maternità e alle famiglie numerose. Non solo perché sono allo studio le norme corrette per realizzare le infrastrutture di preminente interesse nazionale e altri interventi strategici in materia di lavori pubblici, anche per il potenziamento del trasporto e della logistica.
Spiccano il capitolo pensioni e infrastrutture.
Sul lato previdenziale uno degli obiettivi è quello di portare le pensioni minime a 700 euro. Centrale quota 103, cioè la possibilità di andare in pensione con 62 anni d’età e 41 di contributi, insieme all’Ape sociale, un assegno fino a 1.500 euro a partire dall’età di 63 anni, con 30 o 36 anni di contributi a secondo dei casi. Da ricordare l’incentivo per restare a lavorare. Chi ha maturato i requisiti per Quota 103 può restare in ufficio vedendosi girati in busta paga i contributi a suo carico.
Il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, poi, ha chiarito che in manovra ci sarà un primo finanziamento per il Ponte sullo Stretto: «Quando fai la legge di bilancio cadono tanti uccelli del malaugurio perché o un finanziamento per il ponte c’è o non c’è. Tertium non datur. E siccome ci sarà l’obiettivo è che il primo treno attraversi il collegamento stabile tra Palermo, Reggio, Roma, Milano, Berlino e Stoccolma, nel 2032».
E veniamo alle prossime tappe. La Nadef approvata dal Consiglio dei ministri passa ora al vaglio delle Camere, per il via libera, in tempi brevissimi, anche perché il documento programmatico di bilancio dovrà essere notificato a Bruxelles entro il 15 ottobre. La Commissione europea non si è ancora espressa e ha dato appuntamento al 21 novembre per un parere ufficiale. Il passo successivo sarà la stesura della legge di bilancio, che dovrà essere approvata dal parlamento entro il 31 dicembre per evitare l’esercizio provvisorio.
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A Bruxelles e ai fondi non basta la prudenza della manovra che non dovrebbe superare i 22 miliardi. Pesano le decisioni della Bce. Preoccupa la crescita del rendimento del decennale ai massimi da 10 anni.Si punta ad aumentare l’assegno minimo. Previsti più soldi per restare al lavoro una volta raggiunti i requisiti minimi. Matteo Salvini: ci saranno risorse per costruire il PonteLo speciale contiene due articoliLa nota di aggiornamento al Def varata ieri dal consiglio dei ministri (di cui ancora non si conosce il testo, né un numero ufficiale del debito 2023 su cui misurare il calo dello stesso fino al 2026) è una cornice super prudente che abbassa gli obiettivi di crescita del Pil reale allo 0,8% nel 2023 (dall’1% fissato ad aprile) e all’1,2% nel 2024 (dall’1,5% precedente) mentre l’obiettivo di deficit di bilancio è stato alzato al 5,3% del Pil nel 2023 (dal 4,5% fissato ad aprile), a causa dell’impatto dei crediti d’imposta per le ristrutturazioni edilizie, ovvero il superbonus. Questa la cronica in cui verrà incardinata la manovrina, come l’ha definita ieri La Verità sottolineando che a disposizione per la legge di bilancio ci saranno solo 22 miliardi. Eppure questa prudenza non è bastata per fermare il rialzo dello spread tra Btp e Bund che ieri pomeriggio è salito a un passo dai 200 punti base – livelli che non vedeva da marzo – per poi chiudere in ritirata a 195 punti. La progressiva revoca del sostegno della Bce – le cui scelte, lo abbiamo scritto anche ieri, rilanciano il ballo dello spread - e una dinamica del disavanzo peggiore del previsto iniziano a incidere sul costo del debito, sostengono gli analisti. Preoccupati più che altro dalla velocità della salita del differenziale (è già rimbalzato più volte fino a 250-300 punti base negli ultimi quattro anni però l’aumento in questo caso è stato di 50 punti base in soli due giorni) e dal fatto che banche d’affari come Morgan Stanley si aspettassero un balzo di tale entità verso fine anno e invece è avvenuto con tre mesi di anticipo. In un contesto, ricordiamolo, di Quantitative Tightening – ovvero di un alleggerimento - da parte della Bce, che riduce la domanda di obbligazioni e mentre l’aumento dei tassi continua ad alimentare l’incertezza. Nelle sale operative, più che sullo spread i riflettori sono accesi soprattutto sul rendimento del Btp decennale italiano che, sul circuito Mts, ha superato il picco del 4,93% segnato lo scorso 28 settembre portandosi al 4,94%: oltre questa soglia, su livelli più prossimi al 5%, bisogna risalire al 2012 per rintracciare livelli di rendimento ugualmente elevati.Il disimpegno di Francoforte dall’acquisto dei titoli, pesa. La stessa corsa al rialzo dei rendimenti, evidente già da inizio settimana nel corso delle prime aste di titoli di Stato è conseguenza diretta dell’ultima riunione della Bce. Nel momento in cui il board della banca centrale ha deciso di alzare i tassi dello 0,25%, portando il tasso di riferimento al 4,5%, gli investitori si sono spaventati non solo per i possibili ulteriori rialzi, ma anche per la paura che si possa restare a lungo su valori così alti. Ma è chiaro che i mercati si stanno di nuovo muovendo (con sommo gaudio dei mistici dello spread nostrani). E vengono lanciati messaggi anche politici, tipo: più di così non potete fare ma non basta. Ieri il Financial Times, nella sua edizione online, ha sottolineato che i rendimenti sul mercato obbligazionario dell’eurozona sono ai massimi da dieci anni per le preoccupazioni degli investitori per le alte previsioni sul deficit di Italia e Francia e le attese che le banche centrali manterranno i tassi di interesse più alti più a lungo. Il rendimento dei titoli a 10 anni dell’Italia è salito di 0,12 punti percentuali al 4,89%, il livello più alto dal 2013.Il rendimento dei titoli di stato francesi a 10 anni è balzato al 3,5%, il livello più alto dal 2011, dopo che il governo è stato criticato mercoledì dall’autorità di vigilanza fiscale del Paese per non tagliare la spesa pubblica abbastanza da evitare di violare le regole fiscali dell’Ue l’anno prossimo. Ai massimi del decennio anche i rendimenti dei titoli tedeschi a dieci anni, al 2,93%, e di quelli spagnoli, saliti oltre il 4%. «È probabile che i deficit di bilancio siano maggiori di quanto precedentemente previsto. I mercati semplicemente non tollerano quelli che sembrano essere deficit non solo ciclici ma strutturalmente più elevati», ha dichiarato all’Ft Mike Riddell, gestore di Allianz Global Investors. Nel frattempo, la Bce nell’ultimo bollettino economico scrive che «i mercati dei titoli di Stato hanno mostrato capacità di tenuta anche rispetto alla minore presenza dell’Eurosistema sul mercato. L’assenza di significative pressioni al rialzo sui differenziali, nonostante l’interruzione dei reinvestimenti nell’ambito del programma di acquisto di attività a partire da luglio e il consueto minimo che le condizioni di liquidità registrano nei mesi estivi, suggerisce che gli investitori privati stiano continuando ad assorbire le obbligazioni non più acquistate dall’Eurosistema senza gravi difficoltà».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/spread-a-200-e-btp-a-un-passo-dal-5-mercati-e-ue-puntano-contro-litalia-2665755613.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="incentivi-a-chi-rinuncia-a-quota-103" data-post-id="2665755613" data-published-at="1695928603" data-use-pagination="False"> Incentivi a chi rinuncia a quota 103 Le politiche monetarie restrittive della Bce drenano dal bilancio dello Stato 14 miliardi di euro e a 14 miliardi di euro ammonta il deficit della prossima manovra. Non usa direttamente queste parole, ma è questo il senso del discorso del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Chiamato a commentare la Nadef, il titolare del Mef respinge al mittente i reiterati tentativi dell’opposizione di far passare la legge di bilancio come un terreno di scontro con l’Europa e con i mercati che stanno allargando la distanza, lo spread, tra i nostri titoli di Stato a 10 anni e il benchmark del debito costituito dal bund tedesco, ieri arrivato intorno a quota 200. «La manovra», evidenzia il leghista, «è improntata al principio della responsabilità e della prudenza con interventi indispensabili e necessari per assicurare la coesione sociale. L’aumento dei tassi d’interesse brucia risorse nell’ordine di 14-15 miliardi, sottratti ovviamente a interventi attivi a favore dell’economia e delle famiglie: è un buon motivo per non creare debito ma ovviamente dobbiamo ridurre gli effetti negativi su tutti noi». Come finanziare diversamente il taglio (un rinnovo del taglio) del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti fino a 35 mila euro di reddito lordo (costo intorno agli 11 miliardi) e come altrimenti trovare le risorse per il primo assaggio di vero taglio delle tasse con l’accorpamento delle prime due aliquote Irpef, portando quella minima fino alla soglia dei 28.000 euro? Poi ci sarà spazio anche per altro. Ma qui è tutto in divenire. Sono, infatti, 31 i disegni di legge collegati alla manovra e di questi, alcuni sono già all’esame del Parlamento. Si parte dagli interventi a sostegno della competitività dei capitali e si arriva fino alle misure in materia di semplificazione normativa, di disciplina pensionistica, di sostegno alle politiche per il lavoro, di contrasto alla povertà e sostegno alla maternità e alle famiglie numerose. Non solo perché sono allo studio le norme corrette per realizzare le infrastrutture di preminente interesse nazionale e altri interventi strategici in materia di lavori pubblici, anche per il potenziamento del trasporto e della logistica. Spiccano il capitolo pensioni e infrastrutture. Sul lato previdenziale uno degli obiettivi è quello di portare le pensioni minime a 700 euro. Centrale quota 103, cioè la possibilità di andare in pensione con 62 anni d’età e 41 di contributi, insieme all’Ape sociale, un assegno fino a 1.500 euro a partire dall’età di 63 anni, con 30 o 36 anni di contributi a secondo dei casi. Da ricordare l’incentivo per restare a lavorare. Chi ha maturato i requisiti per Quota 103 può restare in ufficio vedendosi girati in busta paga i contributi a suo carico. Il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, poi, ha chiarito che in manovra ci sarà un primo finanziamento per il Ponte sullo Stretto: «Quando fai la legge di bilancio cadono tanti uccelli del malaugurio perché o un finanziamento per il ponte c’è o non c’è. Tertium non datur. E siccome ci sarà l’obiettivo è che il primo treno attraversi il collegamento stabile tra Palermo, Reggio, Roma, Milano, Berlino e Stoccolma, nel 2032». E veniamo alle prossime tappe. La Nadef approvata dal Consiglio dei ministri passa ora al vaglio delle Camere, per il via libera, in tempi brevissimi, anche perché il documento programmatico di bilancio dovrà essere notificato a Bruxelles entro il 15 ottobre. La Commissione europea non si è ancora espressa e ha dato appuntamento al 21 novembre per un parere ufficiale. Il passo successivo sarà la stesura della legge di bilancio, che dovrà essere approvata dal parlamento entro il 31 dicembre per evitare l’esercizio provvisorio.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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