2025-08-07
La corsa alla spesa tedesca abbatte l’impianto europeo. La Commissione è all’angolo
Berlino ha varato un maxi fondo da 100 miliardi per la Difesa. L’Unione, per come è impostata, non può sopravvivere se la Germania molla il «dogma» dell’austerità.Germania e Commissione ai ferri corti significa un barlume di speranza per il futuro dell’Europa e un bel de profundis per la Ue. Quanto accaduto lunedì - con la visita in solitaria del ministro delle Finanze tedesco Lars Klingbeil a Washington - segna uno spartiacque netto nei rapporti tra i tedeschi e la Commissione che nel corso degli anni è sempre stata prona a ogni desiderata di Berlino. Lunedì è invece accaduto che non solo Klingbeil ha discusso con il segretario al Tesoro Scott Bessent della vicenda dei dazi, entrando nel dettaglio delle quote di esenzione a favore dell’acciaio e dell’alluminio, sovrapponendosi irritualmente all’azione del Commissario Maros Sefcovic. Ma, nell’immediatezza dell’incontro, si è pure permesso di definire come «troppo debole» l’approccio dei negoziatori Ue e dichiararsi insoddisfatto dei risultati ottenuti. Parole che hanno suscitato la stizzita reazione del portavoce di Sefcovic, che ci ha tenuto a dichiararsi sorpreso e a puntualizzare che l’esito di quel negoziato è stato l’espressione della volontà della stragrande maggioranza degli Stati membri, che non volevano una guerra commerciale con gli Usa e hanno spinto verso il compromesso. Accuse che suonano ancora più clamorose alla luce del fatto che, accanto a Ursula von der Leyen e Sefcovic, in Scozia c’erano Björn Seibert, capo del gabinetto della Von der Leyen, e Sabine Weyand, direttore generale della dg Commercio dell’Ue, entrambi di nazionalità tedesca.A segnare ulteriormente la cesura tra Berlino e Bruxelles, Klingbeil non ha esitato a dichiarare che discutere con Bessent sulle quote di esenzione per l’acciaio sarebbe stato «importante per l’industria tedesca e per i posti di lavoro in Germania», concludendo che sperava che quei colloqui portassero a «soluzioni ragionevoli che sono nell’interesse dell’economia tedesca».Parole che confermano un vecchio cliché. La Germania usa e ha sempre usato la Commissione e la Ue come un autobus. Fino a quando esso conduce verso le mete gradite a Berlino - euro sottovalutato, rigore di bilancio di Grecia, Spagna e Italia per recuperare i prestiti delle loro banche, rigore sugli aiuti di Stato - si resta a bordo. Quando le mete cominciano a non essere gradite, si scende e si procede per conto proprio. In questo caso va però notato che la direzione di marcia che la Germania intende seguire - spesa pubblica in infrastrutture e significativi deficit pubblici - è proprio una delle soluzioni per uscire dall’asfittica crescita della Ue e dell’Eurozona in particolare. Pare che la Germania stia facendo finalmente la cosa «giusta» (investire anziché risparmiare) ma, inevitabilmente, questo passa per la demolizione, al momento controllata, della Ue e del suo assetto istituzionale. Entrambi concepiti dai tedeschi per fare esattamente il contrario e ora non più utili per i nuovi obiettivi.Solo pochi e coraggiosi economisti non allineati facevano notare già 15 anni fa che il rigore di bilancio, la compressione della domanda interna (sia consumi che investimenti) e la conseguente elevata propensione all’export erano il tallone d’Achille della Ue. Su cui però la Germania ha prosperato per almeno 20 anni. Salvo veder crollare questo fragile modello sotto i colpi congiunti e sequenziali del Dieselgate, del Covid, della crisi energetica, della guerra russo-ucraina e della reazione Usa - minacciata da tempo - a questa politica mercantilista.La nettezza dello scarto della sedicente «locomotiva tedesca» (che invece è sempre stata un vagone al traino della domanda soprattutto dei partner Ue e degli Usa) è confermata dai fatti.Il bilancio presentato la settimana scorsa dal governo di Friedrich Merz prevede un fondo di 500 miliardi da destinare a infrastrutture civili e dotazioni militari, esentato dal freno costituzionale del deficit/Pil non superiore allo 0,35%. Tuttavia sono comunque spese che lasceranno un maggior fabbisogno fino al 2029 per 170 miliardi, un vero e proprio «buco» nelle parole di Klingbeil che dovrà essere colmato al più presto.Inoltre, proprio ieri è stato annunciato il lancio di un fondo di investimento con una dotazione iniziale di 10 miliardi di capitale pubblico, al fine di mobilitare fino a 100 miliardi di investimenti nel settore Difesa, delle infrastrutture energetiche e delle materie prime indispensabili. Qualcosa a cavallo tra un fondo di venture capital e il classico fondo di sussidi pubblici. La novità è quella di voler attrarre anche investitori privati, normalmente disincentivati ad assumere certi rischi, ma stavolta più propensi a farlo proprio per il rilevante ruolo pubblico, moltiplicando in questo modo la capacità di investimento del veicolo finanziario (Germany fund).Se questo è il «mondo nuovo» voluto da Berlino, è da valutare con favore l’annuncio che il ministro della Difesa, Guido Crosetto, è stato incaricato dalla presidenza del Consiglio di guidare un gruppo di lavoro per sviluppare un piano industriale, che coinvolga le filiere di approvvigionamento e le grandi e piccole medie imprese. L’obiettivo è migliorare la Difesa e la sicurezza del Paese, concentrandosi su settori e tecnologie avanzate (spazio, robotica, cybersicurezza, Intelligenza artificiale).Iniziative normali che in passato violavano dogmi intoccabili. Oggi sdoganate perché così vuole la Germania. Con buona pace della Commissione e delle sue regole ormai fuori dal tempo.
Roberto Burioni (Imagoeconomica)
In due anni il mondo è cambiato. Tregua USA-Cina con l’accordo Trump-Xi. Volkswagen, trimestre in rosso. Rame, i prezzi record preoccupano le fonderie cinesi.