L'Uzbekistan, a metà strada tra Mosca e Pechino, affida la sua diplomazia all'hockey
- La repubblica caucasica sta cercando di promuovere il suo brand attraverso lo sport. Per riuscirci a Tashkent è stato costruito un palazzetto del ghiaccio da 12.500 posti con l'obiettivo di riallacciare i fili con la storia e tornare competitivi nelle discipline invernali, come ai tempi dell'Unione sovietica.
- Il ruolo dell'ex Stato sovietico nel progetto della nuova Via della seta: un'irripetibile opportunità per sviluppare le proprie infrastrutture e favorire quel processo di inserimento nell'economia globale; ma anche un rischio di dipendenza da Pechino.
- Le ricchezze della capitale uzbeka: da una parte la città vecchia di epoca persiana che sopravvive nella parte orientale, dall'altra quella ricostruita in pieno stile sovietico sulle macerie lasciate dal forte terremoto del 1966.
Lo speciale contiene tre articoli e due fotogallery.
Secondo un'antica leggenda persiana Humo è un mitico uccello immortale in eterno volo, simbolo di amore per la libertà, che ogni cento anni brucia per poi risorgere dalle proprie ceneri, un po' come la fenice. Humo è la figura più significativa della cultura dell'Uzbekistan tanto da finire sull'emblema dello Stato e nel nome della struttura che sarà al centro della rinascita dello sport uzbeko. La Humo Arena di Tashkent, inaugurata il 15 marzo, ricorda la creatura mitologica anche nella forma, coi marciapiedi che visti dall'alto sembrano due ali. Il complesso multifunzionale, fortemente voluto dal presidente della Repubblica Shavkat Mirziyoyev, è un vero e proprio gioiello architettonico incastonato all'incrocio tra le vie Afrosiyob e Beshyogoch. Per costruirlo ci sono voluti 13 mesi e un investimento di 175 milioni di euro, in buona parte finanziati dalla compagnia petrolifera uzbeka Uzbekneftegaz e da quella russa Eriell.
Potrà ospitare svariate discipline, dall'hockey allo short track, dal pattinaggio artistico al curling grazie a una pista da pattinaggio 30x60 e una secondaria per l'allenamento, passando per il pugilato, il basket, il futsal, la pallavolo, la pallamano, il taekwondo e il kurash, una variante del wrestling di paternità uzbeka. Ma non solo. I 74.000 metri quadrati della Humo Arena sono stati concepiti anche per mostre, concerti e spettacoli teatrali: 12.500 i posti a sedere, con ristoranti, palestre e un parco a tema per bambini a completare il quadro. Un modo per rendere la struttura attiva tutto l'anno e attrarre non solo gli appassionati di sport.
Oltre a ricoprire una grande importanza sociale, la Humo Arena apre una nuova pagina nella storia dello sport uzbeko, che dopo lo scioglimento dell'Urss ha vissuto una fase di declino, soprattutto per quanto riguarda le discipline invernali: in particolare l'hockey su ghiaccio, uno degli sport più amati e ritenuti importanti ai tempi dell'Unione sovietica.
Era il 1971 quando nasceva il Binokor, il primo club di hockey uzbeko, e Tashkent era la città più a Sud del pianeta dove poter giocare una partita sul ghiaccio. Diciassette anni dopo, nel 1988, la squadra si è dovuta sciogliere ed è riapparsa solo pochi anni fa, nel 2012.
Nell'Unione sovietica lo sport era intriso di ideologia, mezzo per dimostrare la superiorità del modello socialista sui rivali capitalisti, ma anche tra le stesse repubbliche dell'Asia centrale c'era una rivalità sportiva piuttosto accesa. Quella tra Uzbekistan e Kazakistan, ad esempio, si accendeva sulla pista da hockey: il primo segretario del Partito comunista uzbeko - nonché il più longevo dell'era sovietica in Uzbekistan - Sharaf Rashidov ordinò la costruzione del palaghiaccio più bello di tutta l'Asia centrale dopo che il Kazakistan aveva ospitato nel gennaio del 1956 il primo campionato competitivo di hockey. L'arena Yubileiny, sorta nelle vicinanze di un campus universitario a Tashkent, fu terminata nel 1970, anno del centenario della nascita di Vladimir Lenin. Divenne la casa del Binokor, la cui spina dorsale era formata inizialmente da giocatori provenienti per lo più da altre repubbliche sovietiche, fino a quando la passione per l'hockey non crebbe al punto da incoraggiare un sistema di allenamento locale e formare giovani atleti uzbeki. Il punto di rottura nella storia dell'hockey su ghiaccio in Uzbekistan è il 31 ottobre 1983, il giorno in cui morì Rashidov e con lui l'interesse dello Stato per questo sport: il Binokor resistette altre cinque stagioni e poi sparì, con la maggior parte dei giocatori costretta ad appendere al chiodo i pattini. Dopo l'indipendenza uzbeka l'arena Yubileiny divenne un'area espositiva, il campo d'allenamento fu adibito a mercato all'ingrosso. Vent'anni dopo, nel 2012, un gruppo di appassionati ha deciso di rispolverare la storia del Binokor e di riaccendere i riflettori sull'hockey in Uzbekistan. Un anno fa è nata la Federazione internazionale di hockey uzbeka e il Binokor ha ricostruito una prima squadra e un settore giovanile. «Avere un campionato interno è un requisito fondamentale per aderire all'Iihf, la Federazione internazionale di hockey su ghiaccio. E avere a disposizione un'infrastruttura adeguata come la Humo Arena è fondamentale» ha detto il direttore tecnico del Binokor, Abdumadjid Nasirov.
E ora che la Humo Arena è stata inaugurata, il prossimo passo per completare il processo di ricostruzione dell'hockey, ma anche di tutti gli altri sport invernali, è quello di avvicinare le nuove generazioni al ghiaccio. La difficoltà più grande per il rilancio dell'hockey in Uzbekistan è il costo elevato che ogni famiglia è chiamata a sostenere per far giocare i figli: per un kit completo, dall'uniforme ai pattini, si può spendere fino a 4.185.031 sum, pari a 440 euro. «La Humo Arena rappresenta una svolta per lo sviluppo degli sport invernali in Uzbekistan. Saremo in grado di attrarre i ragazzi al gioco dell'hockey sul ghiaccio ma anche ad altre discipline» ha dichiarato il ministro della Cultura fisica e dello sport Dilmurod Nabiyev durante la presentazione dell'arena. All'interno del palazzetto saranno infatti aperte due scuole: una di hockey per bambini dai cinque ai 17 anni, l'altra di pattinaggio artistico rivolta a bambini dai tre anni in su.
Nei progetti futuri del presidente Mirziyoyev c'è la costruzione di nuove arene nelle altre città del Paese, nello specifico a Samarcanda e Bukhara. Questo perché l'Uzbekistan ha intenzione di ospitare nei prossimi anni diverse competizioni internazionali, a partire dai Giochi asiatici del 2030 per i quali è già stata presentata una candidatura ufficiale che si aggiunge a quelle di India, Filippine e Qatar. Inoltre Tashkent organizzerà alcune gare di livello mondiale di Khl, la Continental hockey league.
È stato proprio Mirziyoyev a pronunciare il discorso di apertura della cerimonia di inaugurazione della Humo Arena. Il capo dello Stato ha osservato che «nel processo di continue riforme su larga scala e trasformazioni dinamiche del Paese, un'importanza particolare è attribuita all'educazione della giovane generazione fisicamente sana e armoniosamente sviluppata, alla promozione attiva della cultura fisica e dello sport. Negli ultimi due anni, infatti, il numero di persone impegnate nella cultura fisica e nello sport è raddoppiato, e i nostri atleti hanno vinto oltre un migliaio di medaglie, di cui più di 400 d'oro, nelle varie competizioni internazionali». Il presidente ha poi aggiunto: «Ci impegniamo a garantire che l'Uzbekistan sia adeguatamente rappresentato negli sport invernali. Nella nostra storia ci sono medaglie d'oro conquistate ai Giochi olimpici invernali e ai Campionati del mondo di freestyle, più di 70 medaglie nel pattinaggio artistico ai Giochi asiatici e riteniamo quindi un nostro dovere continuare queste gloriose tradizioni sportive».
L'Uzbekistan si muove tra Pechino e Mosca sognando la nuova Via della seta
Giovedì il Presidente della Repubblica Popolare cinese Xi Jinping arriverà in Italia per incontrare il giorno successivo il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il 23 il premier Giuseppe Conte, per firmare gli accordi bilaterali istituzionali e commerciali, e quindi la possibile adesione dell'Italia alla Belt and road initiative (Bri). Dopo l'Italia Xi visiterà la Francia e il Principato di Monaco per provare a stringere nuove alleanze e costruire la nuova Via della seta.
Il piano «One belt, one road», annunciato nel settembre del 2013 dal presidente cinese, consiste nella realizzazione di una rete di collegamenti infrastrutturali, terrestri e marittimi, che coinvolge 65 paesi nel mondo e attraversa Asia, Europa e Africa. Il costo stimato è di oltre 790 miliardi di euro. L'obiettivo è quello di porre la Cina al centro dei mercati internazionali e ridisegnare quindi gli equilibri dell'economia mondiale. In tutto questo l'Italia sarebbe coinvolta offrendo gli ultimi porti del Mediterraneo (Vado Ligure e Trieste) prima che le merci transitino verso il Nord Europa.
L'area maggiormente coinvolta nella realizzazione della Bri è però quella dell'Asia Centrale che collega l'Est con l'Ovest e che comprende i cinque ex Stati sovietici, ovvero Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan.
Per quanto riguarda invece l'Uzbekistan, è chiaro che trovandosi geograficamente al centro della direttrice continentale che parte dalla Cina occidentale e arriva all'Europa del Nord attraverso l'Asia Centrale e il Medio Oriente, ricopre un ruolo fondamentale nella realizzazione di questo progetto, con l'Europa spaccata in due tra chi strizza l'occhio al Dragone e chi, invece, non intende fare uno sgarbo agli Stati Uniti, da sempre contrari alla nuova Via della seta.
Pensando all'Uzbekistan, il collegamento con la Via della seta viene quasi naturale. Compiendo un tuffo nel passato, infatti, «One belt, one road» richiama l'immaginario delle antiche carovane che per millenni hanno percorso l'Asia da Xian a Istanbul e viceversa, attraversando le città uzbeke di Samarcanda e Bukhara, per favorire il commercio tra l'impero romano e quello cinese, che si scambiavano merci come seta, cotone, porcellana, pietre preziose e sale. Ma non solo. Il passaggio di mercanti e pellegrini ha lasciato nel Paese un ricco patrimonio architettonico, culturale e artistico.
L'Uzbekistan è infatti uno dei primi Paesi visitati da Xi Jinping nel 2013, subito dopo l'annuncio del progetto. Allora alla guida dell'ex Stato sovietico c'era Islom Karimov, sostituito dopo la sua morte dall'attuale presidente Shavkat Mirziyoyev, in carica dal dicembre del 2016 e stretto collaboratore di Karimov. Allora Xi espresse al suo omologo uzbeko la volontà di imprimere nuovo impulso alle storiche relazioni economiche e commerciali tra i due Paesi. In quei documenti firmati nel 2013 a Tashkent figurano accordi tecnici e di finanziamento per il commercio di materie prime e lo sviluppo del settore energetico. La Cina, essendo il principale investitore estero in Uzbekistan dove ha già investito ingenti risorse per costruire il tunnel di Qamchiq che collega due regioni uzbeke divise dalle catene montuose e la ferrovia Angren-Pop, considera il potenziale economico dell'Asia Centrale come la forza motrice della nuova Via della seta.
In tutto questo va definito il ruolo della Russia. Negli ultimi anni Vladimir Putin ha visitato diverse volte l'Uzbekistan con l'obiettivo di mantenere saldo il profondo legame costruito in precedenza con Karimov e confermare una partnership tra due Paesi che in passato qualche screzio lo hanno avuto, dovuto soprattutto all'apertura uzbeka nei confronti degli Stati Uniti ai tempi della guerra in Afghanistan, quando misero a disposizione degli americani le proprie basi militari in cambio di aiuti e accordi commerciali bilaterali. Per il momento Mosca sta assistendo da spettatrice allo sviluppo cinese in Asia Centrale.
Uno dei punti cardine del programma politico di Mirziyoyev, oltre a trasmettere alla popolazione uno spiccato senso di appartenenza nazionale e dare particolare attenzione alle problematiche interne, è stato fin dall'inizio avere una certa neutralità in materia di politica estera per sfruttare al meglio il peso strategico dell'Uzbekistan. Considerate le grandi potenzialità legate soprattutto al gas, alle energie rinnovabili e ai metalli rari presenti sul suolo, lo Stato asiatico può avere in futuro un ruolo internazionale di rilievo assai importante. La nuova Via della seta, però, è un progetto da maneggiare con cautela: nel breve periodo può essere una grande e irripetibile opportunità per sviluppare le proprie infrastrutture e favorire quel processo di inserimento nell'economia globale; più avanti nel tempo può rivelarsi una trappola nel caso in cui Tashkent decidesse di legarsi troppo agli investimenti di Pechino e finire per esserne dipendente.
Tashkent, un connubio tra passato islamico e quello sovietico
Tashkent, con due milioni abitanti, è la principale città dell'Asia Centrale. Visitando la capitale uzbeka uno degli aspetti che balza immediatamente agli occhi è legato alla sua architettura. Tashkent non risponde ai canoni classici delle grandi città, non ha un centro storico e non ci sono vie né vicoli. La maggior parte delle strade sono larghissime, alcune con cinque o sei corsie popolate in larga misura da Chevrolet e da qualche vecchia Lada, dove il traffico scorre velocemente anche nelle ore di punta. Il senso di questi stradoni lo si può trovare in una spiegazione tutta politica: uno spazio così largo è difficilmente occupabile dalle masse in protesta e favorisce, al contrario, il controllo dell'esercito.
Altra caratteristica fondamentale di Tashkent è come essa sia una cerniera tra le due grandi epoche storiche che hanno segnato il Paese: da un lato quella persiana che sopravvive nella parte orientale, denominata appunto città vecchia, dall'altro quella ricostruita in pieno stile sovietico sulle macerie lasciate dal forte terremoto del 1966. Dopo la caduta dell'Urss e la conseguente nascita della Repubblica presidenziale dell'Uzbekistan nel 1991, i monumenti sovietici sono stati rimpiazzati con rappresentazioni di eroi nazionali, come la statua equestre di Tamerlano al centro di Amir Temur Square, piazza dove spicca imponente l'Hotel Huzbekistan, un palazzone in pieno stile sovietico.
Spostandosi invece nella parte vecchia della città si trova Kukeldash Madrasah, la madrasa che sorge sulla collina situata accanto alla moschea Juma del venerdì che venne costruita negli anni Novanta lì dove esisteva quella distrutta dai russi. Nella biblioteca della moschea Tellya Sheikh, invece, è custodito il corano di Osman, ovvero il più antico al mondo che venne trasportato inizialmente da Tamerlano a Samarcanda, per poi essere portato a San Pietroburgo nel 1868 e riportato nuovamente nella capitale uzbeka da Vladimir Lenin nel 1924.
Caratteristico anche il coloratissimo Bazar Chorsu (in persiano significa «incrocio»), situato proprio al centro della città vecchia e accanto alla Kukeldash Madrasah, dove si può trovare qualunque cosa, dal cibo (frutta, verdura, frutta secca e spezie) all'abbigliamento e articoli per la casa.
Se poi si sceglie come periodo quello primaverile, il più consigliato per la temperatura ancora mite, visto che in estate il termometro può sfiorare i 50 gradi, è possibile scoprire una delle più importanti feste uzbeke. Ogni anno, durante l'equinozio di primavera, in Uzbekistan si festeggia Navruz (letteralmente significa «nuovo giorno del nuovo anno»), il capodanno secondo l'antico calendario solare. Una festa nazionale che coinvolge l'intero Paese in cerimonie, eventi culturali, balli folcloristici caratteristici della tradizione uzbeka. Insieme al piatto tipico Palov, cucinato con carne, carote e spezie, Navruz fa parte della lista dei patrimoni orali e immateriali dell'umanità dell'Unesco. Quest'anno i festeggiamenti, che vivranno la giornata principale il 21 marzo, sono cominciati sette giorni prima a Kurgan, piccolo paese a 30 chilometri dalla capitale Tashkent.
L'Uzbekistan è un Paese ricco di diversità e in continua evoluzione dove il turismo sta ricoprendo in questi anni un ruolo trainante per tutta l'economia nazionale, comunque basata in gran parte sull'agricoltura e sull'industria.











































