Domani l'incontro con le parti sociali. Maurizio Landini insiste sul blocco dei licenziamenti, ma l'ex capo della Bce già dal 2011 ha una ricetta: sussidi solo ai settori competitivi. Sarebbe una rivoluzione pure per Confindustria.
Domani l'incontro con le parti sociali. Maurizio Landini insiste sul blocco dei licenziamenti, ma l'ex capo della Bce già dal 2011 ha una ricetta: sussidi solo ai settori competitivi. Sarebbe una rivoluzione pure per Confindustria.Domattina Mario Draghi incontrerà le parti sociali. Giusto per preparare il terreno, ieri i sindacati hanno mandato due messaggi. Il primo è stato uno sciopero del trasporto pubblico locale, al quale ha aderito un numero irrisorio di autisti, che evidentemente hanno altre priorità rispetto ai delegati. Il secondo messaggio è uscito dalla bocca di Maurizio Landini, capo della Cgil. Il sindacalista ha deciso di presentarsi riproponendo la summa delle scelte che la sua sigla è riuscita a infondere nei giallorossi, conquistando manu militari il ministero del Lavoro. «Vogliamo rimettere al centro il lavoro, e anche la qualità del lavoro stesso», ha affermato ieri il sindacalista, sollecitando una riforma degli ammortizzatori sociali. «Prima di vedere come va a finire, la giocherei la partita della proroga del blocco dei licenziamenti», ha concluso Landini, dopo aver spiegato ai cronisti che lui è d'accordo con «Draghi nel togliere la politica degli incentivi», ma che «servono politiche attive per il lavoro». Semmai riuscisse a riprendersi da un sindacalista che chiede più lavoro dopo aver chiesto sussidi per stare a casa, c'è da aspettarsi che Draghi, per rimettere mano al fallimento dei giallorossi, parta dalla famosa lettera della Bce dell'agosto 2011. In quella missiva che che segnò la fine del governo Berlusconi, l'allora governatore della Bce evidenziava due aspetti. Primo, esigenza di riformare il sistema della contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi di secondo livello in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze delle specifiche aziende e «rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione». Un altro passaggio presente nella lettera del 2011 rimarcava la necessità di riformulare tutte le politiche attive del lavoro, risistemando le norme che regolano l'assunzione e il licenziamento. Obiettivo, ricollocare anche le risorse verso le aziende e i settori più competitivi. Certo, in dieci anni si può dire che il mondo è cambiato e l'Italia, nel frattempo, ha visto una breve applicazione del Jobs act, finito in frigorifero per via dei grillini e poi delle leggi sul Covid. Nessuno si aspetta che Draghi entri e rispolveri per intero quella lettera nemmeno sulle tematiche del lavoro. Però è bene ricordare che gli ultimi due bollettini della Bce hanno ricordato, puntando il dito soprattutto sul nostro Paese, che cassa integrazione diffusa e prolungata con l'aggiunta del divieto di licenziamento sono una bomba sociale. Quando si toglierà il tappo esploderà la situazione. Toccherà a Draghi molto probabilmente togliere il tappo e al tempo stesso trovare il modo di sostituire i bonus e la cassa integrazione con risorse mirate ad agevolare nuove assunzioni nelle aziende e nei settori che dovrebbero crescere. Dirlo è facile, farlo molto difficile. Ieri, come al solito, il premier incaricato non ha detto nulla. All'uscita dall'incontro in cui Maurizio Lupi rappresentava Noi con l'Italia, l'ex azzurro ha riferito: «Draghi non ha fatto alcun cenno al divieto di licenziare». Forse Lupi intendeva far filtrare la notizia che si va verso lo sblocco. A fine marzo mancano meno di due mesi. E a dire il vero anche le dichiarazione di Manfred Schullian, che si è presentato per conto del gruppo Misto e delle minoranze, sembrano portare in questa direzione. «Il presidente del Consiglio incaricato ha posto il tema delle imprese tra le priorità del governo», ha detto Schullian, riportando anche un secondo concetto: «Bisogna investire e limitare di erogare contributi a fondo perduto ma finanziare le imprese così da consentire loro di riprendere l'attività una volta superata l'emergenza pandemia». Non sarebbe l'unica mossa economica che i delegati dei partiti minori ieri hanno fatto trapelare. Infrastrutture, cantieri e fisco. Sarebbero gli altri temi che presto potrebbero essere stravolti dal governo. Come, è ancora presto per dirlo. D'altronde Draghi ha ascoltato in silenzio le varie richieste. Molte opposte e discordanti tra di loro. Basti pensare che Matteo Salvini, numero uno della Lega, ha avanzato l'idea di ripristinare la flat tax per le partite Iva e avviare un sistema di prelievo semplificato. Il Pd ha chiesto l'opposto, con l'idea di concentrare le risorse sul cuneo fiscale. Landini si presenterà chiedendo di non applicare mai una imposta come quella introdotta dalla Lega.In molti saranno in grande imbarazzo. Chissà come reagirà il numero uno di Confindustria, che meno di dieci giorni ha fatto un appello per chiedere che nessuno toccasse Roberto Gualtieri, il ministro che l'anno prima aveva criticato per aver creato il «Sussidistan». In questo caso l'imbarazzo non sarà tanto per la gaffe politica, quanto per il bivio cui Confindustria rischia di andare incontro. Gli incentivi non sono stati solo un beneficio finito nelle tasche di chi percepisce il reddito di cittadinanza, ma anche di molte aziende che hanno beneficiato delle cosiddette tax expenditures. Se Draghi intende rilanciare il mondo del lavoro agevolando solo i settori in crescita, significa per Viale dell'Astronomia dover imboccare una cammino degno di una rivoluzione copernicana. Una novità che imporrebbe a molti imprenditori di smettere i panni degli imprenditori di Stato. Uno choc forte quasi quanto fare una legge che imporrebbe alle partecipate pubbliche di lasciare Confindustria. Ci vorrebbe una legge. Anzi c'è già, solo che è rimasta nei cassetti. Chissà se Draghi dovesse riesumarla.
Alessia Pifferi (Ansa)
Cancellata l’aggravante dei futili motivi e concesse le attenuanti generiche ad Alessia Pifferi: condanna ridotta a soli 24 anni.
L’ergastolo? È passato di moda. Anche se una madre lascia morire di stenti la sua bambina di un anno e mezzo per andare a divertirsi. Lo ha gridato alla lettura della sentenza d’appello Viviana Pifferi, la prima accusatrice della sorella, Alessia Pifferi, che ieri ha schivato il carcere a vita. Di certo l’afflizione più grave, e che non l’abbandonerà finché campa, per Alessia Pifferi è se si è resa conto di quello che ha fatto: ha abbandonato la figlia di 18 mesi - a vederla nelle foto pare una bambola e il pensiero di ciò che le ha fatto la madre diventa insostenibile - lasciandola morire di fame e di sete straziata dalle piaghe del pannolino. Nel corso dei due processi - in quello di primo grado che si è svolto un anno fa la donna era stata condannata al carcere a vita - si è appurato che la bambina ha cercato di mangiare il pannolino prima di spirare.
Toga (iStock). Nel riquadro, Roberto Crepaldi
La toga progressista: «Voterò no, ma sono in disaccordo con il Comitato e i suoi slogan. Separare le carriere non mi scandalizza. Il rischio sono i pubblici ministeri fuori controllo. Serviva un Csm diviso in due sezioni».
È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.
Antonella Sberna (Totaleu)
Lo ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Ue Antonella Sberna, in un'intervista a margine dell'evento «Facing the Talent Gap, creating the conditions for every talent to shine», in occasione della Gender Equality Week svoltasi al Parlamento europeo di Bruxelles.
Ansa
Mirko Mussetti («Limes»): «Trump ha smosso le acque, ma lo status quo conviene a tutti».
Le parole del presidente statunitense su un possibile intervento militare in Nigeria in difesa dei cristiani perseguitati, convertiti a forza, rapiti e uccisi dai gruppi fondamentalisti islamici che agiscono nel Paese africano hanno riportato l’attenzione del mondo su un problema spesso dimenticato. Le persecuzioni dei cristiani In Nigeria e negli Stati del Sahel vanno avanti ormai da molti anni e, stando ai dati raccolti dall’Associazione Open Doors, tra ottobre 2023 e settembre 2024 sono stati uccisi 3.300 cristiani nelle province settentrionali e centrali nigeriane a causa della loro fede. Tra il 2011 e il 2021 ben 41.152 cristiani hanno perso la vita per motivi legati alla fede, in Africa centrale un cristiano ha una probabilità 6,5 volte maggiore di essere ucciso e 5,1 volte maggiore di essere rapito rispetto a un musulmano.






