2022-05-26
Siluro di Zagrebelsky al pensiero unico: «Chi è contro l’aborto non si può zittire»
Vladimiro Zagrebelsky (Imagoeconomica)
Il giurista ha preso posizione sulla «Stampa» circa le polemiche a Torino per i manifesti pro life. Gettando nel panico la sinistra.Un’altra «zeta» da oggi deturpa il giardino fiorito della sinistra del pensiero unico. È quella togata di Vladimiro Zagrebelsky, insigne giurista, che come un carro armato di Vladimir Putin sveglia a cannonate chi si addormenta tutte le sere dalla parte della ragione. «Invece di contrapporre argomenti, vogliono zittire chi pensa diversamente», scrive in un editoriale su La Stampa riferendosi a partiti (Pd, radicali e affini) e ad associazioni, impegnati da anni a discriminare, demonizzare e rimuovere le campagne antiabortiste strappando manifesti e denunciando chi li espone. Titolo della riflessione: «Non si può far tacere chi è contro l’aborto». L’uscita è sorprendente perché arriva da un fautore di molte battaglie progressiste, che mette a fuoco una realtà e semplicemente commenta: ceci n’est pas une pipe. L’ex giudice della Corte europea dei Diritti dell’uomo demolisce la pretesa di dialogare silenziando l’avversario. In democrazia dovrebbe essere una banalità, invece è una doccia gelata. «Secondo le associazioni che promuovono la libertà di abortire, quei manifesti sarebbero offensivi di una legge dello Stato e della libertà di scelta delle donne» spiega Zagrebelsky. «Per questo chiedono all’autorità pubblica di vietarne l’affissione. Ma la critica delle leggi è ovviamente libera, così come lo è la proposta di modificarle per restringerne la portata o per allargarla. Non solo, ma libera è anche la propaganda diretta a non usufruire di possibilità che la legge ammette». Vladimiro Z sta parlando ai suoi discepoli, all’area di riferimento, e sostanzialmente dice che turbare il sonno di piddini e femministe, pensandola diversamente, non è reato. Per l’alieno paracadutato da Marte dovrebbe essere ovvio, nell’Italia del conformismo di Stato è una boccata d’aria fresca. Lo spunto di cronaca è la polemica sorta a Torino dopo l’affissione da parte di Pro Vita & Famiglia di grandi manifesti che riproducono l’immagine di un feto con la scritta: «Potere alle donne? Facciamole nascere». È la replica della campagna censurata a Roma dalla giunta del sindaco Roberto Gualtieri e rischia di fare la stessa fine. Sotto la Mole si è scatenata la consueta canea delle associazioni abortiste: il collettivo «Non una di meno» ha invitato gli adepti a imbrattare i manifesti e a rimuoverli. E l’assessore alle Politiche sociali Jacopo Rosatelli (Sinistra ecologista) ha liquidato l’iniziativa con tre parole: «Orrenda, reazionaria, antistorica» anticipando implicitamente temporali a colpi di ordinanze.Il fratello di Gustavo Zagrebelsky, di fatto, chiede di interrompere l’oscurantismo sovietico camuffato da pretesa superiorità morale (avvelenata eredità di Enrico Berlinguer) e prova a sminare il riflesso condizionato del conformismo come unica opzione dialettica. «Quel manifesto non ha nulla di violento o offensivo. Può non essere condiviso, così come dall’altra parte può non essere condivisa la posizione di coloro che interpretano la legge italiana come base di una pura e semplice libertà delle donne». Poi aggiunge un passaggio fondamentale: «In realtà la legge italiana regolamenta l’interruzione volontaria della gravidanza, ammettendola, se per la donna la prosecuzione, il parto o la maternità comportano un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, per le condizioni economiche, sociali, famigliari, o in previsione di anomalie o malformazioni del concepito. Fuori da quei casi non esiste un diritto rimesso alla scelta della donna (…). Dalla Corte europea dei Diritti umani la legge italiana è stata riconosciuta equilibrata e rispettosa dei contrastanti diritti ed esigenze di tutela».Forte della sua cultura giuridica, Zagrebelsky recapita l’ultima considerazione dentro la comfort zone progressista: «La libertà di espressione vale non soltanto per le informazioni o le idee accolte con favore o inoffensive, ma anche per quelle che urtano, colpiscono, inquietano lo Stato o una qualunque parte della popolazione. È questa l’esigenza propria del pluralismo. Qualunque posizione si abbia sul tema dell’aborto, in difesa della libertà di opinione e di espressione c’è da sperare di non dover assistere a un atto di censura da parte dell’autorità pubblica». Il pronunciamento scompiglia le certezze talebane e accusa chi, nei consigli comunali, nelle sedi dei partiti, in parlamento, nei convegni, nelle assemblee associazionistiche da quinta liceo, si arroga il diritto di definire scioccanti e inaccettabili, convinzioni differenti dalle proprie. Coscienze inquiete a stipendio fisso. Eppure dominano, impongono, censurano con prese di posizione talvolta fascio-femministe. Come a Roma, dove collettivi di sinistra hanno vandalizzato la sede di Pro vita. Le parole di Vladimiro Z hanno riscosso l’approvazione di Jacopo Coghe che ieri ha twittato, accanto all’articolo: «Meno Zan e più Zagrebelsky». Il portavoce di Pro vita & famiglia ha commentato: «Quanto scritto ci fa ben sperare che un dialogo e un confronto costruttivo siano ancora possibili anche con chi la pensa in modo diametralmente opposto. Ci chiediamo anche perché, nell’Italia del XXI secolo, occorra ribadire l’ovvio».