2022-04-17
Se Draghi va alla Nato, Franco al suo posto
Mario Draghi e Jens Stoltenberg (Ansa)
Segreterie politiche in agitazione per l’ipotesi, rivelata dalla «Verità», di Supermario come nuovo segretario dell’Alleanza atlantica. Dal centrosinistra si ironizza: «Ha detto che il lavoro lo trova da solo: non mentiva...». Il casus belli sarà il prossimo incidente in cdm.«Di sicuro non farà né il nonno né un partito». L’ex ministro nordista nel campo larghissimo del centrosinistra la butta in battuta, ma non c’è segreteria politica che non cominci a tenere conto dell’insopprimibile voglia di elmetto di Mario Draghi. Tutti sanno che un banchiere dal passo felpato non s’infila gli scarponi militari per divertimento e tanto meno per follia. «Ma per necessità sì. Quando ha detto che il prossimo lavoro se lo trova da solo non mentiva. Infatti sta affinando il curriculum», aggiunge sempre il politico avvezzo ai corridoi del Nazareno, confermando che la svolta belligerante del premier ha uno scopo e che nel governo tutti si preparano ad affrontare la sua exit strategy invernale.Segretario generale della Nato: è l’obiettivo di Supermario al fronte, come scritto ieri dal nostro giornale. Jens Stoltenberg è in scadenza (prorogato per la guerra in Ucraina) e il premier italiano è ritenuto il più fedele esecutore dei desiderata della Casa Bianca. Lui salirebbe molto volentieri al piano nobile dell’avveniristico quartier generale di Bruxelles, costato oltre un miliardo. Sarebbe una via d’uscita perfetta dalla schizofrenia della politica italiana; è bastato meno di un anno a estenuarlo, a raffreddarne gli entusiasmi, a fargli amare la bizzarra via di fuga. Draghi non ha nessuna intenzione di presentarsi alle prossime elezioni, come sperano gli apostoli mediatici sgomitanti sul suo pianerottolo, e tanto meno di fondare un partito e di andare a chiedere i voti nelle urne. È meno illuso e vanitoso di Mario Monti, ne ha studiato la parabola e ha saggiamente concluso che «un tecnico è come un sacerdote, deve rimanere tale per la vita». E poi non ne vale la pena.Poiché il posto dovrebbe liberarsi tra la fine dell’anno e l’inizio del prossimo (dipende dai carri armati di Vladimir Putin e dai missili inglesi di Volodymir Zelensky), lui medita il blitz in quel periodo, approfittando del primo caso controverso in Consiglio dei ministri. La successiva mossa sarebbe del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, come sempre fermamente intenzionato a non sciogliere le Camere: incarico al ministro dell’Economia, Daniele Franco, con lo scopo di tenere i conti in ordine fino alle elezioni della primavera 2023. Senza il collante Draghi è probabile che la maggioranza perda i pezzi; una balcanizzazione preelettorale per favorire il posizionamento è del tutto ipotizzabile. Questo ascoltano le orecchie pasquali nei dintorni dei partiti.Segretario generale della Nato. In questo periodo non c’è ruolo più scottante se non sei un autocrate russo o un capo partigiano ucraino. E non c’è poltrona sulla quale l’amministrazione americana abbia più diritto di veto nell’alleanza; ecco spiegato l’effetto «leone da scendiletto» di palazzo Chigi rispetto alle sparate di Joe Biden. Mentre Emmanuel Macron e Olaf Scholz le criticano e ne prendono le distanze, noi siamo più realisti del re. Zero gas, più armi, via i diplomatici, fucilate i dubbiosi: nessun distinguo, sembriamo Signorsì. «Non è la parte che Draghi preferisce, anzi per carattere la detesta anche se i massacri russi legittimano questo suo porsi in modo frontale rispetto agli eventi», spiegano dal suo entourage con la richiesta dell’anonimato. «L’Italia ha comunque un ruolo strategico, è una nazione che gli Stati Uniti considerano storicamente vicina alla Russia (il Pci ha incassato miliardi in rubli sino a fine anni 80 e anche le serie Tv mandano le spie della Stasi a svernare a Sorrento passando dal Bottegone dopo il crollo del Muro, ndr), quindi la fermezza è ritenuta necessaria. Poi le simpatie di Silvio Berlusconi, del Movimento 5 stelle e di Matteo Salvini... Insomma, abbiamo qualcosa in più da farci perdonare rispetto agli altri». In questo contesto Draghi prepara il passaggio. Il segretario attuale, il pallido norvegese Stoltenberg, guida l’alleanza atlantica da otto anni, oltre il termine dopo due mandati consecutivi. Avrebbe già dovuto lasciare la mano ma l’invasione dell’Ucraina ha indotto gli Stati membri (che nel linguaggio della realpolitik si traduce in: il Pentagono) a non muovere nulla per non complicare ancora di più una catena di comando storicamente mai del tutto oliata. Il vertice della Nato, previsto in giugno a Madrid, dovrebbe esprimere il nome del successore ma è probabile che la decisione venga presa in autunno, sempre che il conflitto sia stato fermato. L’Italia ha le carte in regola per quel posto; dopo tre nordici (l’olandese Sheffer, il danese Rasmussen e appunto Stoltenberg) tutti considerano legittimo che il comando tocchi a un mediterraneo. Bruciato l’autocandidato Matteo Renzi dagli amorosi sensi con gli sceicchi arabi, bruciato Enrico Letta perché ritenuto da Washington troppo filofrancese, Draghi sarebbe perfetto per quasi tutti. Nel «quasi» sono contenuti alcuni falchi neocon che non si fidano a prescindere degli italiani. Ricordano i tempi di Giulio Andreotti, di Bettino Craxi e la frase di Henry Kissinger: «Gli italiani sono fortunati, hanno la moglie americana e l’amante araba».
Pier Luigi Lopalco (Imagoeconomica)
Nel riquadro la prima pagina della bozza notarile, datata 14 novembre 2000, dell’atto con cui Gianni Agnelli (nella foto insieme al figlio Edoardo in una foto d'archivio Ansa) cedeva in nuda proprietà il 25% della cassaforte del gruppo