2022-01-09
Scuola, le nuove regole cancellano la privacy
Nota del ministero dell’Istruzione elenca i requisiti per frequentare in presenza durante il regime di autosorveglianza: gli alunni devono provare di essere vaccinati o guariti. Insorge il Moige. Lo spettro Dad: Vincenzo De Luca, in rotta con il Pd, insiste per riaprire il 31.«L’istituzione scolastica, per effetto dell’intervento legislativo, è abilitata a prendere conoscenza dello stato vaccinale degli studenti». È scritto nero su bianco in una nota ufficiale firmata dal capo dipartimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali e dal direttore generale per la prevenzione sanitaria del ministero dell’Istruzione. Era inevitabile che finisse così, d’altra parte non c’era modo di poter avviare in altra maniera la didattica differenziata tra studenti vaccinati e non. La privacy degli alunni quindi sarà messa da parte in favore delle nuove regole imposte dal governo. I requisiti per frequentare in presenza durante il regime di autosorveglianza devono essere provati dagli alunni che dovranno dimostrare di avere concluso il ciclo vaccinale primario o di essere guariti da meno di centoventi giorni oppure di avere effettuato la dose di richiamo. Nella giornata di ieri il ministero dell’Istruzione ha incontrato i rappresentanti dei sindacati per spiegare anche a loro quali sono le linee guida adottate. La nota operativa, che è stata inviata anche alle scuole, contiene le indicazioni per l’applicazione delle nuove misure per la gestione dei casi di positività come disposto dal decreto legge approvato lo scorso 5 gennaio in Consiglio dei ministri. Il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, che ha partecipato all’incontro aveva chiesto che si chiarisse il problema della privacy: «le scuole devono essere autorizzate, in maniera chiara e inattaccabile, al trattamento dei dati sanitari degli studenti per quanto riguarda il loro stato vaccinale al fine di gestire le relative quarantene». Le scuole adesso saranno inattaccabili, ma la privacy delle famiglie un po’ meno. Il Moige (Movimento italiano genitori) ritiene: «Gravissimo chiedere ai minori di autodichiarare lo stato sanitario». Il tema è divisivo ed è difficile pensare che non si creeranno divisioni tra famiglie e studenti nelle scuole. Un nuovo tavolo è previsto lunedì 10 gennaio, proprio nel giorno delle riaperture. La Cisl si esprime contro la gestione dei positivi. «Il green pass per stare in aula collide con il diritto allo studio» riferisce Maddalena Gissi, segretaria generale della Cisl scuola che nei giorni scorsi aveva chiesto uno slittamento delle riaperture.Non tutto il mondo della scuola tifa per la Dad. «Vedere i dirigenti scolastici chiedere di fermare le scuole mi rattrista e, francamente, mi fa vergognare». Domenico Squillace, dirigente scolastico del liceo scientifico Alessandro Volta di Milano è molto critico nei confronti dell’iniziativa che alcuni presidi hanno portato avanti per chiedere il rinvio della didattica in presenza al ministro Patrizio Bianchi. A Milano non è solo. Anche Antonella Caleffi, preside dell’Istituto comprensivo Perasso, è critica verso la Dad perché chiudere la scuola produrrebbe una situazione insostenibile per le famiglie: «Siamo una scuola di periferia e la Dad significherebbe mettere in difficoltà i genitori». La didattica a distanza è infatti una soluzione che può andar bene per le classi privilegiate, ma tutto il resto della popolazione non può contare sui mezzi che servono per seguire le lezioni online. Vincenzo De Luca probabilmente ritiene che questo sia un problema minore e continua la sua battaglia per le chiusure, qualunque esse siano. Questo costituisce per altro un unicum rispetto alla posizione del suo partito di origine, il Pd, che si è schierato con la posizione aperturista del governo. L’ordinanza di De Luca dispone la sospensione dell’attività scolastica in presenza nelle scuole dell’infanzia, elementari e medie e la chiusura degli asili nido fino al 29 gennaio in tutta la regione Campania. Patrizio Bianchi però, interpellato su questo, ha dichiarato che non esistono i presupposti per chiudere: «La legge permette ai presidenti di Regione di intervenire solo in zona rossa e in circostanze straordinarie. Queste condizioni oggi non ci sono oggi. Ritengo vi siano gli estremi per impugnare quell’atto». Eppure anche la Sicilia si muove da sola con il suo governatore Nello Musumeci che ha rinviato di tre giorni l’apertura di tutte le scuole dopo che duecento sindaci gli avevano rivolto questo appello. L’obiettivo è quello di consentire una verifica di tutti gli aspetti organizzativi. Luca Zaia, governatore del Veneto, chiede invece che intervenga il Cts su questo tema perché a suo avviso quella della scuola rischia di essere una falsa apertura: «Penso sia fondamentale l’autorevole espressione scientifica del Cts, che stiamo ancora attendendo, dopo che su mia iniziativa questa richiesta è stata presentata in Conferenza delle Regioni». La linea del governo per adesso è chiara, la scuola riprende in presenza. Lo ha ricordato il ministro Bianchi: «Il ricorso massiccio alla Dad, oggi, come se i vaccini non ci fossero, sarebbe un errore«. Se poi al Ministero si ricordassero anche di disporre nuovi interventi di prevenzione come l’acquisto di purificatori chiesto dai pediatri, sarebbe meglio, perché con le sole dichiarazioni, si rischia la falsa partenza.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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