2021-06-15
Scarcerato Zennaro, ma ancora niente Italia
Dopo 74 giorni tra un commissariato di Khartoum e una prigione con standard igienico sanitari allucinanti, al manager veneto sono stati concessi i domiciliari in un albergo della capitale sudanese. A sbloccare la vicenda, una garanzia da 800.000 euroIntravede il primo barlume di giustizia Marco Zennaro, l’imprenditore italiano che si trova in Sudan ed è stato privato della libertà dallo scorso primo aprile. Ieri dopo 74 giorni trascorsi tra un commissariato di Khartoum e una prigione con standard igienico sanitari sotto la norma, il manager di Marghera (Venezia) è stato scarcerato e portato agli arresti domiciliari in un albergo della capitale sudanese. Le accuse di frode nei suoi confronti non sono ancora cadute, ma il rilascio segna un passaggio importante all’interno di questa drammatica vicenda. Che nelle fasi iniziali, bisogna ricordare, è stata in larga parte ignorata sia sotto il profilo mediatico, sia dalla politica. È stato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, a dare l’annuncio dell’avvenuta scarcerazione, sul suo profilo Facebook: «Il connazionale Marco Zennaro, in carcere in Sudan da circa due mesi, è stato rilasciato pochi minuti fa. Rimarrà in Sudan in attesa degli sviluppi sui contenziosi che lo riguardano. Ringrazio […] in particolare il nostro ambasciatore in Sudan, Gianluigi Vassallo, che dal primo istante sta seguendo il caso con il massimo impegno, e il direttore generale Luigi Vignali, al quale avevo chiesto nei giorni scorsi di recarsi in missione sul posto (in Africa dallo scorso 31 maggio, ndr). Continuiamo», ha concluso il titolare della Farnesina, «a seguire da vicino la situazione». L’odissea giudiziaria di Zennaro, causata da alcuni problemi sulle forniture di trasformatori elettrici del produttore veneto, è stata sbloccata grazie ad una garanzia da 800.000 euro richiesta dalle autorità locali a favore dei denuncianti. Denaro che tornerà nella disponibilità del nostro connazionale, se i suoi avvocati dimostreranno che ha rispettato quanto pattuito con l’unico intermediario della trattativa, Ayman Gallabi (secondo la versione ufficiale deceduto lo scorso 22 maggio durante un’immersione subacquea nel Nilo). Il quale ha fatto scattare le indagini della giustizia sudanese su Zennaro, avendolo accusato per la qualità della merce fornitagli. Nonostante i due in seguito abbiano trovato un accordo per chiudere definitivamente la questione, ritiro della denuncia da parte di Gallabi (che trattava per Sedc, azienda nazionale dell’energia elettrica) e riconsegna del passaporto all’imprenditore italiano in cambio di 400.000 euro, sono emerse altre contestazioni sempre per frode a carico di Zennaro. Non bisogna dimenticare che dietro alla Sedc ci sarebbero i veri finanziatori dell’affare: il militare Abdallah Esa Yousif Ahamed, sottoposto del potente generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti, capo di Rsf (Rapid support force), compagine militare protagonista durante il golpe del 2019. Nelle ultime ore è emerso che il primo bonifico di Zennaro, poco inferiore al mezzo milione di euro, non avrebbe soddisfatto completamente Ahamed. Quest’ultimo pretenderebbe altri 700.000 euro, al momento garantiti dalla seconda transazione del manager veneto, amministratore unico della Zennaro Trafo. «Con queste cifre in ballo, rilevanti anche per il mercato italiano, in Sudan credevano di aver trovato la gallina dalle uova d’oro», così una fonte qualificata della Verità riassume il caso dell’imprenditore di Marghera.Già in altre due occasioni Zennaro, grande appassionato di remiere e rugby, riteneva che la sua permanenza in Sudan fosse finita. Il primo aprile, dopo aver concluso l’affare con Gallabi all’interno di un albergo controllato da piantoni, si era diretto verso l’aeroporto, ma sulla scaletta dell’aereo veniva bloccato da una banda di miliziani che lo portava in commissariato. Nel primo fine settimana di maggio dallo stesso commissariato, ecco il secondo caso, veniva liberato per pochi istanti, visto che sarebbe stato riportato nella struttura di sicurezza a bordo di una jeep piena di uomini armati. Poi il trasferimento in carcere. «Un inferno di 700, 800 corpi ammassati uno a ridosso dell’altro. Alla fine», ha scritto lo stesso Zennaro in una lettera indirizzata ai familiari (in Italia lo attendono la moglie e i tre figli), «mi mettono nella sezione di reati penali con giustificazione finanziaria. Ci saranno 200 persone. Mi hanno preso in cura tutti i miei nuovi compagni perché hanno detto di aver visto un morto». Poi la svolta di ieri: in un post sui social, corredato da una foto nel momento del rilascio, il cugino Luca Della Dora ha scritto: «Marco è, al momento agli arresti domiciliari, ma ora era fondamentale tirarlo fuori dall’inferno in cui è stato costretto negli ultimi 70 giorni. Ci vuole cautela, ma la felicità di questo momento è indescrivibile». Sul caso di Zennaro è intervenuto anche il consigliere comunale di Venezia e parlamentare della Lega, Alex Bazzaro, che insieme al collega Massimo Bitonci, per primo ha sollevato pubblicamente la questione con un’interrogazione dello scorso 26 maggio. «La scarcerazione è il primo passaggio, ora bisogna riportarlo in Italia».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)